Insisto con mia sorella per farla tornare a casa a riposare, ma esita. Tiene duro, aspettando che si svegli Georgia. Trascorriamo in un'intera notte nella sala d'attesa, osservando l'andirivieni di persone da un reparto all'altro. Poco prima che sorga il sole, il dottore mi raggiunge. "Può entrare, se vuole. La sua ragazza sta per svegliarsi" balzo in piedi, seguito da Anastasia. Mi segue nella piccola stanza e subito ho un sussulto al cuore, nel vedere Georgia stesa a letto, immobile. Mi avvicino a lei, prendendo la sua mano per portarmela alla bocca. Dopo qualche minuto, inizia ad aprire i suoi meravigliosi occhi, volgendo lo sguardo verso di me. "Ehi..." mugugna, raddrizzando la schiena sul materasso. "Ben svegliata, bellissima". Mi sorride, tenendo le sue dita tra le mie. "Dov'è Sebastian?" domanda, guardando Anastasia. "Chi?" la interrogo, non comprendendo di chi parla. "Il nostro bambino. Voglio chiamarlo Sebastian". Anastasia sorride, dichiarando: "Come nostro padre". Sorrido, anche se non ci avevo nemmeno pensato.
"Sebastian Tim Dobovan" mugugna Georgia, mentre una lacrima le sfiora la guancia paonazza. Vedo mia sorella sospirare ed infine annuire. "Comunque è nel servizio cure intensive. È prematuro, perciò dovranno monitorarlo per settimane". "Lo voglio vedere" esclama, premendosi una mano sotto allo stomaco e scostando le lenzuola. "Non so se puoi muoverti, chiamo un dottore". La blocco, tornando in corridoio per cercarlo. Lo trovo di spalle, intento a parlare con un collega. Lo richiamo, facendolo voltare. Lui mi raggiunge. "Georgia si è svegliata e voleva sapere se è possibile vedere nostro figlio". "Certo" risponde, portandosi una cartellina lungo i fianchi "...però dovrà portarsi l'asta con la flebo. È ancora molto debole". Annuisco, tornando da lei. La faccio alzare dal letto, facendola mantenere alla mia spalla. Pigramente si aggrappa all'asta, la flebo attaccata ai suoi polsi. Con Anastasia raggiungiamo l'ascensore, dirigendoci al piano superiore. Nostro figlio è dietro ad un muro di vetro. Non è l'unico messo in incubatrice. Georgia ritrova altre mamme come lei che, speranzose, siedono accanto ai loro piccoli, tenendoli la mano nella minuscola rientranza che li divide. Richiamo l'infermiera che assiste le neomamme. "Possiamo vedere nostro figlio?". Lei si limita ad annuire, indicandoci Sebastian steso supino nella sua culla di vetro. "Per quanto tempo dovrà rimanere lì dentro?" domando alla donna con il camice, mentre Georgia si sporge sull'incubatrice, contemplando il nostro miracolo.
"La crescita in incubatrice è fondamentale, per poter monitorare i parametri corporei, quali la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca. In più bisogna nutrirlo per farlo crescere di peso. Lo terremo d'occhio il tempo necessario, dopodiché potrà tornare a casa con voi". L'infermiera ci lascia soli. Mia sorella si commuove, mentre sfiora il vetro sottile. "Credo che mi somigli". La abbraccio, ammirando la sua forza di volontà e il suo tentativo di non apparire distrutta dalla morte prematura di Tim. "Ora lo hai visto quindi, va a casa. Ti chiameremo se dovessero esserci novità". Lei abbassa lo sguardo verso Georgia, che si limita a farle un cenno con la testa. Mia sorella si china a baciarle la fronte, infine va via, lasciandoci soli.
Cingo la mia ragazza a me, osservando il bambino. È così piccolo, indifeso. "Non faccio altro che pensare a Tim..." mi confessa lei, tenendo la testa appoggiata sul mento. "Non posso credere che non ci sia più". "Nemmeno io" tiro su con il naso, cingendola a me. Dopo un paio d'ore, siamo ancora seduti accanto a Sebastian, osservandolo e amandolo. Anastasia appare improvvisamente dietro il vetro, gli occhi lucidi e arrossati. Balzo in piedi, raggiungendola in corridoio. "Ehi, va tutto bene?". Lei scuote la testa, abbassando lo sguardo. "Tim..." inizia a dire, scoppiando in lacrime "...Tim mi ha detto di controllare nel cassetto dei calzini. Secondo lui avrei trovato qualcosa che voleva darmi da tempo". Annuisco. Ricordo quello che ha detto. Queste sono state le sue ultime parole. Anastasia infila una mano nel suo giacchetto di jeans, porgendomi una scatolina in velluto blu. La apro, trovandoci un anello. "È..." non finisco di parlare. Ho un grumo in gola che mi impedisce di respirare. Anastasia fa di sì con la testa. "Deve esserlo per forza. Il nostro anniversario è troppo lontano...". "Ana, io..." inizio a dire, cercando le parole giuste a confortarla. Non esistono parole abbastanza confortanti. Mi limito ad abbracciarla, mentre con i suoi enormi occhi azzurri mi bagna la camicia.
"La settimana scorsa, ha detto che doveva chiedermi un favore..." dichiaro, ricordando una conversazione avuta con Tim nel suo ufficio, prima che Breznev ricomparisse nelle nostre vite. "...se questo anello è l'argomento principale di quello che lui voleva chiedermi...". Anastasia si passa la mano sulla guancia, sbavandosi il trucco. "Voleva chiedermi il permesso per farti la proposta" realizzo le intenzioni del mio amico, guardando la reazione di mia sorella. Non riesce a smettere di piangere. "Dopo due anni, credeva ancora di dovermi chiedere il permesso...". Afferro le sue braccia, guardandola negli occhi. "Sorellina, voglio che tu sappia che lui era il mio migliore amico. Ho approvato fin da subito la vostra relazione. Lui ti rendeva felice". Fa di sì con la testa, tirando su con il naso. Mi stringe a sé e, tutta la mia buona volontà, non mi impedisce di scoppiare in lacrime.
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𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧
General FictionGeorgia Beck desidera diventare una psicologa. Trasferitasi a Sofia per lavoro, trascorre la maggior parte del suo tempo in ufficio, con l'obiettivo di veder realizzato il suo sogno. Una sera, sulla strada per tornare a casa, un uomo la aggredisce...