16.

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Quando riapro gli occhi, è già notte e mi sembra di essere bloccata lì da giorni. Mi sento stanca e debole, ma non posso addormentarmi qui. Dov'è quell'uomo? Tento in tutti i modi di alzarmi ma la neve mi fa scivolare. Sfrego i polsi fino a non sentirmeli più, sperando che il nastro stringi cavi ceda. Ma dove sono? È strano che non passi nessuna macchina o che non ci sia nessuna casa nelle vicinanze. Non conosco la zona, a malapena conosco la città in cui vivo. Sono a Sofia da poco e non sono mai uscita nei paesi limitrofi.
Bene, a questo punto credo di essere spacciata. Ivan non tornerà, Damian non sa dove sono. Per quanto ne so, potrebbe essere già morto. Spero di no. Vorrei rivederlo e dirgli tutto quello che provo. Questi non sono gli ultimi momenti della mia triste vita. Di solito si pensa alle cose non fatte e al rancore soffocato, negli ultimi instanti, prima di lasciarsi trasportare via dalla marea. Io non lo farò. Ne uscirò. Tento ancora una volta di alzarmi, spingendo gli anfibi verso l'esterno. Mi do la spinta con il palmo della mano. Dopo pochi secondi sono in ginocchio, guardando oltre le balle di fieno. Niente, non c'è anima viva. Devo arrivare in strada.

***

"Vuoi andare più veloce?" urlo, guardando le macchine davanti a noi. La nostra corsia è piena di macchine che vanno nella nostra stessa direzione. "Non ho mai visto così tanto traffico a Sofia".
"Ma cosa sta succedendo?!" digrigno i denti, sperando che Georgia stia bene e al sicuro. Mi sporgo su Tim, spingendo il clacson più volte. "Sei un poliziotto. Fai valere la tua autorità!" rispondo al suo sguardo accusatorio. "Mi devi spiegare come fai a conoscere Georgia".
"Dovrai aspettare. Non ho la mente lucida adesso. Non ricordo nemmeno il giorno del mio compleanno" restiamo in silenzio per la successiva mezz'ora. Siamo fuori città e seguiamo le orme di un van che hanno lasciato il segno sul ghiaccio. Tim accende l'aria calda vedendomi tremare nel sedile del passeggero. Non tremo solo per il freddo, ma soprattutto per la paura di arrivare troppo tardi. Dopo aver camminato per vari chilometri, non troviamo anima viva, solo una vasta campagna cupa e desolata. Tim si prepara a fare inversione. "No!" mi sporgo ancora su di lui, bloccandogli le mani sul volante. "Non possiamo andarcene".
"Non c'è niente qui".
"Ho una strana sensazione. Credo che dovremmo continuare a cercare" lo vedo sbuffare, come se non gli importasse niente di lei. Gran bel pezzo di merda.

"È notte ed è buio. Non vedremmo ad un palmo dal nostro naso" mi preparo a scendere dall'auto, deciso a continuare la ricerca da solo.
"Dove vai?" urla lui, furioso. "Tu che dici?!". Tira un grosso respiro prima di rispondere.
"Prima di tutto, sai che non puoi uscire fuori paese. Non siamo ancora certi sulla colpabilità di Breznev..".
"Cosa? Ti ho appena detto che ha rapito Georgia. Ma mi ascolti?".
"Sali in auto. Continueremo a cercarlo in città, qui non c'è nulla oltre le balle di fieno". Gliela do vinta, stavolta. Fino al nostro ritorno in città, resto con uno strano nodo alla gola, come se qualcuno mi stesse premendo sulla giugulare.
"Lei lo sa?" mi domanda Tim all'improvviso, rompendo il silenzio.
"Cosa?".
"Georgia lo sa quello che provi?" lo guardo con aria perplessa, non capendo dove vuole arrivare. "Limitiamoci a cercare quel figlio di puttana, poi potremo parlare dei miei sentimenti".
Con Tim torno nel vicolo dove Ivan l'ha rapita. Con nostra sorpresa, lo troviamo lì, in attesa. Scendo dall'auto ancor prima che Tim accosti.
"Tu, pezzo di merda. Dimmi dove l'hai portata". Lui se la ride.
"È ancora viva, ma non per molto...".
"Se le torci un solo capello, desidererai solo morire". Mi invita a seguirlo sul van e prontamente Tim si mette tra di noi. "Hai coinvolto la polizia? Sai che così potranno esserci serie ripercussioni sulla situazione della tua amica?". Mi volto verso Tim, allontanandolo. "Lui non c'entra nulla. Verrò con te, basta che non le fai del male".
"Non gliene farò se avrò te". Rivolgo un cenno a Tim per fargli capire di mettersi da parte. Questa cosa riguarda solo me. Non avrei mai dovuto coinvolgere nessuno, specialmente Georgia.
Ah, quanto vorrei tornare indietro a quel giorno di agosto.

Lascio che Ivan mi leghi i polsi, a costo di morire o restare ferito. Voglio solo che Georgia sia salva.
Siedo accanto a lui sul sedile del passeggero, guardando la strada che percorre. È la stessa che abbiamo preso noi poco fa. Il mio istinto non sbagliava. Dopo una buona mezz'ora, accosta vicino ad un traliccio afferrandomi il braccio. Lo seguo in un campo pieno di balle di fieno ed erba altissima. All'improvviso si ferma, guardandosi intorno. Seguo il suo sguardo, battendo i denti.
"Beh? Dov'è?".
"Era qui".
"Era?" lo guardo con fare minaccioso. "Dimmi dove si trova".
"Ti giuro che era qui..." inizia a dire, come se davvero gli importasse della sua incolumità. "Oh vabbè, non importa più. Adesso ho te!" mi afferra ancora una volta il braccio gettandomi contro la balla di fieno. "Non resterò un minuto di più se non liberi lei. Gli accordi erano questi".
"Non abbiamo fatto nessun accordo.." si porta la mano nella tasca posteriore dei jeans, tirando fuori una rivoltella. "Sai, il coltello sarebbe stato troppo veloce. Con questa ti vedrò soffrire come ha sofferto Bianca".
"Non l'ho uccisa io Bianca".
"Lo so" dichiara, grattandosi la fronte con la volata della pistola "..ma eri lì quando l'hanno uccisa e sei sopravvissuto, perciò meriti di morire".
"Io non morirò, non per mano tua e non oggi. Ho una lunga vita davanti...".
"E la vuoi passare con quel bocconcino dai capelli rossi, non è vero?". Non rispondo, sto ancora elaborando il fatto che lei sia qui intorno, da qualche parte, infreddolita e impaurita. "Non conosce quello che provi ma so per certo che prova le stesse cose. Ti guarda con certi occhi, ti cerca come se fossi l'unica persona che ha al mondo..." fa una pausa, sognante. "Bianca era così. Sai, non era proprio mia sorella, era la mia sorellastra ed io me ne sono perdutamente innamorato". Soffoco una risata. "Tu sei malato!".
"L'amore è malato, altrimenti non sarebbe vero amore". Viene verso di me, puntandomi la pistola contro la tempia. "Giochiamo alla roulette russa, ti va?". Ivan ruota velocemente il tamburo, chiudendo la rivoltella senza guardare. Me la punta contro, premendo il grilletto. La pistola si inceppa, quindi ripete la stessa identica cosa. Si inceppa ancora. "Forse non è arrivato il tuo momento, ma lo faremo arrivare" indietreggia, puntandomi l'arma in mezzo agli occhi.

"Dì le tue ultime parole"

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"Dì le tue ultime parole".
"Ti giuro che tornerò dall'aldila e tormenterò la tua vita finché non ti vedrò appendere ad un cappio" scoppia in una risata, mettendo il dito sul grilletto. "Peccato che Georgia non saprà mai quello che provi" in quel momento, odo dei rumori lontani. Provengono dal van di questo tipo malato e pallido, evidentemente a digiuno da mesi. Mi lascia lì, inerme e annientato. Lo sento urlare e picchiare qualcuno. Respiro profondamente, sentendomi scivolare via. Bang.
Il proiettile ha colpito, ma non me. Lo sparo squarcia il silenzio di questa notte oscura e gelida.
"Aiuto!" urlo, sperando di essere ascoltato. Odo dei passi veloci correre verso di me. È Tim, incappucciato e spaventato. "Amico, tutto ok?" chiede e per la prima volta sono contento di vedere la sua faccia di cazzo. "Liberami!" gli dico, vedendolo sporgersi su di me con delle forbici. Taglia il nastro, liberandomi. "Grazie" gli porgo la mano. "Dobbiamo trovare Georgia, sbrighiamoci...".
"In realtà..." Tim si volta, indicandomi qualcuno. Lei è davanti a me, ancora avvolta dal suo enorme parka. "...È stata lei a trovare te".
"Damian!" mugugna con voce flebile, correndo verso di me. Mi butta le braccia al collo, stringendomi forte. Gli accarezzo i capelli assaporando l'odore del suo shampoo. "Stai bene?" mi chiede con voce soffocata. "Adesso sì, grazie a voi".

𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora