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Un anno dopo.

"Esci!" urla mia sorella dalla stanza da letto.
"Ti ho detto che non mi va. Ho del lavoro da sbrigare" stavo sul mio computer da due ore ormai e non esitava a finire.
"Dai, c'è questa mia collega che devi assolutamente conoscere". Anastasia ha ripreso a lavorare nel negozio sulla Pos'yetskaya Ulitsa da dieci mesi ormai.
"Prekratyte!" le ho detto. Smettila.
"Come vuoi, ma sappi che è persino meglio di..." non fa nomi ma capisco chi intende. Chiudo di colpo lo schermo del pc, andando verso di lei.
"Non credo. E, non devi più nominarla, d'accordo?" Ana alza le mani in segno di scuse. Infine si mette in ghingeri andando via.

Sono di nuovo da solo, in un appartamento troppo grande per due persone

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Sono di nuovo da solo, in un appartamento troppo grande per due persone.
Controllo velocemente un profilo su Facebook. Ebbene si, mi sono iscritto a Facebook anche se non pubblico mai nulla. Sono come un visitatore invisibile.
Sul suo profilo non c'è nulla, non condivide nulla da mesi. Spero almeno che stia bene.
Stasera non voglio restare a casa, quindi chiamo un paio di colleghi per una birra.
Ci incontriamo dopo un'ora in un pub nel centro.
Sono entrambi sposati ma per fortuna non lo danno a vedere. Si divertono quanto possono, chiacchierano, scherzano e, soprattutto, bevono.
Per qualche mese, ho avuto problemi con l'alcool.
La vodka è stata la mia migliore amica per un po' di tempo. Mi ha aiutato a dimenticare o almeno, a seppellire per un breve periodo i sentimenti repressi, il senso di colpa.
Faccio serata, tornando a casa alle due di notte. Tanto domani non si lavora.
Anastasia non è ancora tornata. Accendo la TV, aspettandola. Faccio zapping ma a quest'ora sono per lo più documentari o soap in lingua.
Non ho la testa di sorbirmi una storia d'amore russa. Chiudo tutto, poggiandomi sul letto.
Resto inerme a contemplare il soffitto, poi prendo il cellulare scorrendo le varie immagini nella galleria.
Tra di queste, una attira la mia attenzione.

Eravamo insieme la sera di capodanno

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Eravamo insieme la sera di capodanno. Ce la fecero quasi per caso, vedendoci appartati a parlare. Quella volta, lei era mozzafiato, come sempre. Ma questa foto è speciale perché mi rimanda al giorno in cui ho capito di amarla.
Ad un tratto la porta dell'ingresso sbatte. Spengo il cellulare come se dovessi nascondermi, poi mi alzo.
Anastasia alza gli occhi al cielo. "Mi hai aspettato?".
"No, scema. Sono appena tornato anche io" lascia borsa e giaccone sul divano.
"Com'è andata?".
"Bene" dice con un sorriso forzato.
"Non sembra, che è successo? Ti hanno provocato?".
"No, ma che dici?" sgrana gli occhi, portandosi le mani nei capelli. "...è che c'è una novità".
"Ah sì?" annuisce. "Sentiamo" ci mettiamo seduti l'uno accanto all'altra.
"Una collega che lavora in bulgaria è stata rimandata qui, perciò lì hanno bisogno di una mano e stavano pensando a me..." ingoio la saliva.
"Bulgaria, eh? E dove?".
"Sofia". Non sentivo quel nome da mesi. L'avevo rimosso, stavo cercando di rimuoverlo.
A quel posto sono collegate troppe cose, alcune da dimenticare come il rapimento, altre da custodire come Georgia.
"E quando dovresti partire?".
"Devo parlare con il caporeparto domani, ma sarebbe entro la settimana prossima". Annuisco, prendendole la mano.
"Non è la fine del mondo. Sistemeremo le nostre cose e partiremo. La casa possiamo metterla in vendita. Anzi, c'è un mio collega che è interessato..." Anastasia mi abbraccia, baciandomi sulla guancia.
"Ti voglio bene..." Si alza dal divano.
"Noapte bună, frate".
Il giorno dopo mi sveglio comunque presto, andando a trovare mia sorella al negozio per avere novità. Quando arrivo, lei sta parlando con una cliente facendomi un cenno con la testa. Dopo qualche minuto mi raggiunge e le porgo la busta del pranzo. "Grazie" annuisco, tenendo le mani nelle tasche dei jeans.
"Allora? News?" fa di sì con la testa, chiamandomi da parte.
"Mi hanno detto che sarò responsabile reparto nel negozio gemello di Sofia. Ci credi?".
"Sono felicissimo per te, te lo meriti Any". Fa una smorfia.
"Non mi chiamare Any, non lo sopporto". Fa una pausa, poi continua.
"Per quanto riguarda il trasferimento, dovremmo essere lì sabato". Sgrano gli occhi.
"Tra tre giorni?" annuisce.
"Ma dovremmo partire domani. Il viaggio dura diciotto ore" Ana fa spallucce.
"Okay, va bene. Tu pensa a lavorare. Sistemo io tutto entro oggi. Ci vediamo stasera a casa". Vado via, andando nell'azienda in cui lavoro.
Parlo con il mio capo, chiedendo un periodo di aspettativa.
"Quanto ti serve?".
"Non so. Due mesi?" lui annuisce, facendomi firmare un documento.
"Sei un gran lavoratore, Dobovan. Spero che torni tra di noi". Ci salutiamo con una stretta di mano mentre mi pagano l'ultimo mese con l'assegno.
Dopodiché vado all'agenzia immobiliare.
Qui ci vorrà molto di più per mettere in vendita l'appartamento.
"Non possiamo vendere e far acquistare in soli due giorni" dice l'agente immobiliare, cliccando velocemente sulla tastiera.
"Si, lo so. Ma c'è una persona già interessata. Per tutto il resto, vorrei che si potesse fare a distanza. In caso contrario, tornerò qui a terminare le pratiche".
Insieme chiamiamo il mio collega dicendogli dell'appartamento.
"Certo che sono ancora interessato, amico".
"Perfetto" sorrido. "Potresti passare dall'agenzia per parlarne meglio con l'agente immobiliare? Io dovrei andare via per delle commissioni" accetta, quindi ci raggiunge in dieci minuti. La sera stessa, c'è un cartello con scritto prodavat' davanti casa mia. Venduto.
Aspetto Anastasia steso sul divano, con un sorriso che va da un orecchio all'altro. Quando mia sorella mi vede, scoppia in una risata.
"Che c'è?".
"Ne deduco che sia andato tutto bene".
"Alla grande. Possiamo tornare a casa".
"Casa?" ripete lei. "Si vede davvero poco che non vedi l'ora di andare a Sofia. Qualcosa in programma? Una persona specifica da voler vedere?" Anastasia mi guarda con fare malizioso, mentre io le tiro un cuscino.
"Smettila, sono solo felice per te".

[...]

Non prendevo l'aereo dall'inverno scorso. Questa volta però mi sento più tranquillo. Anastasia legge un libro, occhiali sul naso e coda di cavallo. Questo mi ricorda Tim.
Dovrò passare da lui per prendere le mie cose.
Saranno lì da mesi, se non se n'è liberato.
Appena atterriamo, un taxi ci porta in hotel. Dovremo restare qui finché non troviamo una sistemazione.
"Io devo andare adesso" mi infilo il giaccone e il berretto.
"Di già?".
"Si, Tim mi aspetta" Ana annuisce, quindi raggiungo il mio vecchio appartamento.
Tim mi apre la porta. "Sei davvero tu o è solo uno dei miei tanti incubi?" scherza.
"Sarò sempre il tuo incubo" mi fa entrare, indicandomi la scatola sul divano. "Credevo avessi buttato tutto".
"No, stranamente credevo tornassi prima".
"Grazie, amico".
"Vuoi un po' di caffè?" accetto, sedendomi con lui alla penisola.
"Ti sei fatto crescere la barba" la indica, versando il caffè nelle tazze.
"Oh si, in realtà non ho avuto molto tempo per tagliarla".
"Stai bene" ammette.

Sorseggio piano, guardando nel vuoto

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Sorseggio piano, guardando nel vuoto.
"Mi dispiace per come è andata tra noi. Le cose che ci siamo detti l'ultima volta..." inizio a dire.
"No, Damian, non devi scusarti. È la tua vita, le scelte sono le tue. Io volevo solo evitare che qualcuno soffrisse".
Già.
I successivi minuti sono colmi di silenzio. Tim mi osserva.
"Lo leggo nei tuoi occhi che vuoi chiedermi qualcosa".
"Ti sbagli". Serro le labbra, incapace di mentire.
"Ok, c'è qualcosa che...".
"Non la vedo da due mesi se è questo che vuoi sapere". Annuisco.
"E come sta?".
"È stata male per un po', dopo ha iniziato a stare meglio. Ha lasciato il lavoro ed ha cambiato appartamento".
"Sul serio?" Tim fa di sì con la testa.
"Ma non è l'unico cambiamento drastico che ha fatto. Si è tinta di biondo. Sembra tutt'altra persona adesso" strabuzzo gli occhi, immaginandola con la criniera dorata.
"Non so altro..." aggiunge, evitando il mio sguardo.
"Bugia, sento che c'è qualcosa che non mi stai dicendo".
Tira un grosso respiro, spostando la tazza del caffè.
"Mi dispiace ma, adesso sta con un ragazzo e sembra una cosa molto seria".
"Seria quanto? Da quando stanno insieme?".
"Da marzo" digrigno i denti, stringo i pugni.
"E chi è lui?" Tim fa spallucce.
"Non me l'ha presentato, ma so che si chiama Emilian".
Prendo di corsa il giaccone e la scatola con le mie cose, raggiungendo la porta.
"Che cosa hai intenzione di fare?".
"Non lo so. Non può essere così seria. So che lei mi ama ancora. Dammi il suo nuovo indirizzo".
Tim sbuffa. "Non credo sia una buona idea".
Mi avvicino a lui con arroganza.
"Dammelo, ho detto" lui mi guarda dritto negli occhi.
"No, non te lo darò".
"Me lo procurerò da solo allora".

𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora