Capitolo 62

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Il drago di Azael si avvicinò a me per studiarmi, dopodiché mi annusò e mi guardò con un'intensità disarmante. Ricordai come il mio sguardo dorato lo avesse indotto ad attaccare la creatura, creando un legame fra noi.

«Sei stato fondamentale per il risultato della battaglia.» Allungai la mano sul muso dell'animale, seppur non fossi sicura che fosse una buona idea.

Lo osservai attentamente e notai che sul suo fianco c'era ancora la ferita inferta dal wendigo, anche se non pareva essere così profonda. Prima aveva anche continuato la lotta contro il soldato di Distruzione. Mi avvicinai cautamente a lui con il timore di spaventarlo.
Non sapevo se avrebbe funzionato o meno, ma valeva la pena tentare. Concentrai le ultime forze rimaste per fare brillare di cura angelica le mie dita e, con quest'ultime, sfiorare la superficie squamosa del drago, sulla quale vi era la lesione.

La creatura di Azael parve tranquilla e, dopo che ebbi guarito la parte lesa e mi fui allontanata di qualche passo, strofinò piano il muso sulla mia spalla.

«Mi riesce a capire, vero?» domandai ad Azael, che annuì.

«Certo, era qua da molto prima di te. È il mio stemma, il mio emblema, creato con il fondarsi della mia corte millenni di anni fa. Ogni corte ha una creatura feroce e antica, legata alle forme primordiali di bestie e demoni» mi spiegò lui.

«E il tuo è il drago, perché ha gli occhi dorati...» dedussi io.

«Come sono i miei occhi?» mi chiese lui con una tonalità di voce provocante.

«Io non ho detto nulla» mentii, cercando di nascondere il tutto con la massima naturalezza.

Quando non avvertii una risposta sarcastica del demone, mi voltai.
Non mi ero accorta che si fosse silenziosamente avvicinato.

«Non puoi mentire, gattina, non a me» sussurrò talmente vicino a me da farmi sentire il suo profumo.

«E ha un nome?» domandai, provando a cambiare argomento e ritornando a guardare il drago.

Seppur Azael avesse molti secoli in più rispetto a me, era pur sempre un demone e controllare gli impulsi del desiderio, per quanto ne sapevo, non era nella sua natura. Era una mia responsabilità fare in modo di mantenere quel barlume di controllo.

«Sì, il suo nome è Aurum, vale a dire "oro" in latino» spiegò Azael con un tono indifferente. Forse aveva notato il mio distaccamento.

Mi voltai verso di lui, facendo cedere le barriere che opprimevano il mio cuore. «Io non voglio sposare un angelo. Non li conosco nemmeno. Non mi pareva di essere apprezzata da loro, visto come sembravano essere prevenuti nei miei confronti al ricevimento di prima.»

«Non hai scelta, gattina. O ti sposi o muori.» Aveva chiuso gli occhi.

«Be' non mi sembra di avere solo l'opzione di sposarmi» borbottai.

In quel momento Aurum si avvicinò a noi, si sgranchì le zampe e cominciò a diventare di piccolissime dimensioni, per poi ritornare sul braccio di Azael nella forma di tatuaggio.

«È la tua unica decisione invece. Non ti è concesso morire» disse il demone, riprendendo la sua spada e la rinfoderò, mentre lasciò l'altra a me.

Azael cominciò ad incamminarsi verso la direzione da cui eravamo arrivati. Nel mentre recuperammo le nostre maschere e le indossammo nuovamente.

«E chi me lo impedirebbe? Basta solo che io svolga le missioni richieste dal mio ruolo e quelle volute da Lucifero. Successivamente non penso che il re degli inferi e il regno dei cieli vogliano interferire.» Ragionai con freddezza.

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