CAPITOLO 6 - LA RAGAZZA CON LA CHITARRA

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EMMA

Arrivando dall'autostrada Castel Ligure appariva simile ad uno zaffiro incastonato nel verde delle colline che lo circondavano come a proteggere il prezioso tesoro che gli era stato dato il compito di custodire.
Il mare si iniziava ad intravedere alcuni minuti dopo essere usciti dal casello autostradale, quando le dorsali incominciavano ad aprirsi rivelando la baia di quel piccolo e nascosto borgo di mare.
Un paesino per molti considerato fuori mano, un luogo dove in un certo senso il tempo sembrava essersi fermato, come se la modernità non fosse riuscita a superare le barriere naturali che lo circondavano.
C'era qualcosa di magico in quel posto, qualcosa che lo distingueva da tutte le altre località costiere: probabilmente erano la sua purezza e la sua distanza dal caos cittadino. Lì tutto sembrava scorrere più lentamente, come se gli abitanti nei loro spostamenti seguissero il ritmo calmo con il quale le onde del mare si infrangevano sulla spiaggia.
In un mondo che obbligava tutti ad andare sempre di corsa, a sfidare ogni giorno i propri limiti, un luogo come quello era più unico che raro.
Un angolo riservato a pochi.
Probabilmente i ragazzi avrebbero preferito recarsi in qualche località più alla moda, ma non era il caso di Emma che, ogni anno, non aspettava altro che fare ritorno a Castel Ligure.
Pensava alle vacanze estive quasi tutti i giorni, più volte al giorno, quando si trovava ingabbiata tra i mille impegni scolastici ed extrascolastici.
Pensava a sé stessa sdraiata sul lettino a leggere un libro mentre era sommersa dalla mole di compiti.

Ripensava alle tranquille passeggiate sul lungo mare mentre correva per strada nel disperato tentativo di non arrivare in ritardo in classe.
Nei pomeriggi invernali, quelli in cui alle sedici del pomeriggio c'era già buio, le capitava spesso di muoversi per le vie affollate della sua città, respirando lo smog e continuando a sentire i clacson degli automobilisti impazienti di fare ritorno a casa; era in quei momenti che si sentiva oppressa e schiacciata da un posto che non aveva nulla a che fare con lei.
E i pensieri ritornavano sempre al suo mare: a quel connubio tra l'aria pulita proveniente dalle montagne e la salsedine che pervadeva le viuzze del centro, unendosi poi al profumo del pane appena sfornato.
C'era davvero qualcosa di soprannaturale in quel posto: qualcosa che rendeva tutto più inteso.
Le sarebbe piaciuto essere in grado di imbottigliare tutte quelle sensazioni positive affinché l'aiutassero a sopravvivere alle lunghe e grigie giornate invernali.

Dal momento che quell'anno era riuscita a farsi promuovere senza debiti i suoi genitori le avevano concesso di passare tutti e tre i mesi estivi nella loro villa di Castel Ligure, insieme ai custodi.

<<Mi raccomando, Emma, non metterti nei pasticci>> le disse sua madre mentre portavano all'interno i bagagli. <<Il fatto che noi non saremo qui con te non significa che se farai qualche sciocchezza non lo verremo a sapere>>

Certo, le sarebbe proprio piaciuto sapere come avrebbero fatto a scoprirlo dal momento che avrebbero passato il mese successivo in giro per il Sud America.
Forse tramite Facebook o Instragram, pensò ironica.
Lei non era stata invitata a prendere parte a quella simpatica vacanza. Ma era più che felice di rimanere a Castel Ligure da sola, senza avere orari da rispettare.

Non avrebbe avuto nessuno a cui rendere conto e quindi quella sarebbe stata l'estate migliore della sua vita.

<< Va bene>> tagliò corto <<Ho sedici anni e non ho mai combinato "sciocchezze">> 

Pronunciò l'ultima parola tentando di imitare la voce acida della madre. Nonostante fosse una donna che non faceva mai complimenti e che cercava perennemente di trovare qualche difetto in tutto, raramente si esprimeva in modo volgare. Non era nel suo stile utilizzare termini scurrili. Per lei gli adolescenti non facevano delle "cazzate" ma commettevano delle "sciocchezze"; se qualcosa non andava come previsto lei non aveva avuto "sfiga" ma solo "sfortuna".
Trovava sempre il modo di utilizzare un termine educato per esprimere qualsiasi cosa, come se facendo così potesse modificare la loro natura.
Era una filosofia di vita che, alle volte, risultava parecchio fastidiosa. 

<<Io devo comunque dirtelo, sono tua madre>>

<<Bene, e io ho il compito di ricordarti che mi sono sempre comportata bene. Sono tua figlia>>

Iniziò a disporre ordinatamente i suoi vestiti nei cassetti mentre sua madre la osservava attentamente, come se fosse in attesa di un suo più piccolo errore per poterla riprendere. 

Alla fine però rinunciò all'impresa: <<Non credo che mi fermerò per cena>> le disse prima di andarsene <<Devo ancora sbrigare alcune commissioni prima della partenza. I signori Ferrando si sono offerti di invitare a cena anche delle amiche della figlia così potrai fare nuove conoscenze>>

<<Grazie per l'interessamento>> rispose sarcastica senza neanche voltarsi a guardarla. 

I signori Ferrando, marito, moglie e figlia, erano coloro che si occupavano della gestione della casa in assenza dei proprietari e Emma non li trovava particolarmente simpatici. Specialmente la figlia, lei proprio la detestava.

Poco dopo sua madre se ne andò. Lasciò la casa senza aspettarsi un ultimo abbraccio dalla figlia. Le due non si salutarono nemmeno.

Sapeva che Emma non era una ragazza per nulla affettuosa ma sperava che, almeno in quell'occasione, si sarebbe sforzata di mostrarsi gentile con lei.
Non fu così.
D'altra parte il loro rapporto era disseminato di aspettative puntualmente disattese, di rimproveri, di parole sibilate con cattiveria ma soprattutto dal senso di inadeguatezza. Entrambe sapevano che agli occhi dell'altra non l'avrebbero mai fatta giusta. 

Dopo che sua madre se ne fu andata Emma si stese sul letto decidendo di concedersi un sonnellino per combattere la spossatezza che il viaggio in auto le aveva provocato e, senza rendersene conto, dormì per tutto il pomeriggio.

Venne svegliata dalla voce della signora Paola che l'avvisava che a momenti sarebbe stata pronta la cena. Sbuffò: i suoi programmi per il pomeriggio erano di andare a prendere il gelato e fare un giro per il paese e invece si era ritrovata a dormire per ore. Pazienza, aveva tre mesi davanti a sé per recuperare il tempo perso.

Raccolse velocemente i capelli scompigliati in uno chignon  disordinato e scese nella sala da pranzo con gli stessi vestiti stropicciati con i quali aveva dormito: una t-shirt bianca, un paio di jeans e le sue immancabili infradito rosa. Il tipico outfit di chi è appena sceso dal letto e già si pregusta un'ottima cena. Scendendo le scale che dal piano superiore portavano al piano terra le sue narici iniziarono a captare il profumo della pizza fatta in casa dalla signora Paola. Uno dei suoi piatti preferiti.

Non appena entrò nella sala da pranzo si rese conto che la cena sarebbe stata meno intima di quanto immaginasse: seduti al tavolo di casa sua non c'erano solo i custodi, la figlia e un'amica ma un gruppo di giovani vestiti come se fossero stati invitati ad una festa esclusiva. Dovevano essere una decina tra ragazze con strati e strati di trucco e ragazzi con addosso completi eleganti. 

Guardò prima loro e poi sé stessa. Poi di nuovo loro e sé stessa.

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#ANGOLO DIBATTITO

Buongiorno a tutti e grazie per aver letto questo nuovo capitolo!

Finalmente conosciamo la seconda protagonista di questa storia: Emma. 

Che legame credete ci sia tra lei e Chandra?

Seconda domanda: "Castel Ligure" non esiste, è un nome che mi sono inventata io per non ambientare la storia in un paese preciso, però nelle descrizioni mi sono ispirata ad un posto che amo molto. Qualcuno l'ha riconosciuto? (la foto aiuta parecchio)
P.S. Spero che la prima parte dedicata alla descrizione del paese non sia risultata pesante o noiosa😅

Al prossimo capitolo!

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