Un piano diabolico

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"Ehi coglione! Svegliati, ti ho portato la cena."
Vito alzò la testa con lo stomaco che ringhiava: non riusciva a ricordare quando fosse stata l'ultima volta che Guillermo gli aveva portato la cena. "Tieni." Invece di porgere il piatto a Vito, però, Guillermo lo fece cadere a terra a poca distanza dai piedi del prigioniero, e ovviamente la crema di carciofi si rovesciò sul pavimento. "Ops! Mi è scappato." Non era vero: Guillermo aveva buttato il piatto per terra apposta per far mangiare Vito come un cane. E Vito lo sapeva.
Vito cercò di raggiungere la crema di carciofi, ma dato che era legato non ci riuscì. Guillermo allora lo liberò per permettergli di mangiare e Vito mise le mani a coppa per prendere quella crema verde chiaro. Era fredda. Ed era disgustosa. "Sì, è un po' fredda" disse Guillermo vedendo la faccia disgustata di Vito, "ma d'altronde era avanzata." Vito non voleva mangiare quella schifezza, perché gli sarebbe venuta la diarrea (l'ultima volta l'aveva avuta per tre giorni di fila), ma se voleva sopravvivere e rivedere Lei doveva mangiare tutto. Così fini' la crema di carciofi fino all'ultima goccia.
Quando ebbe finito chiese a Guillermo: "Come mai mi hai portato la cena? È da tantissimo che non lo fai più." "Hai ragione. Ma poi ci ho riflettuto e ho pensato che devi essere in forze se vuoi essere trasferito."
A quelle parole Vito sgrano' gli occhi: "Trasferito? Ma che cosa stai dicendo?!" Guillermo fece un sorrisetto prima di spiegare: "Mi sono stancato di averti tra i piedi, così ho pensato di trasferirti in un posto migliore di questo, in Cile." Vito sentiva che c'era puzza di bruciato in quel discorso, così domandò: "Se mi odi così tanto perché non mi uccidi e basta?" "Se ti uccidessi sarebbe troppo semplice, no? E poi..." gli occhi del direttore della Esma brillarono di lussuria per un attimo "se tu sei in Cile, Lei sarà finalmente mia."
Vito senti' un brivido freddo corrergli lungo la schiena e la rabbia pervaderlo: "Che intenzioni hai, Guillermo? Non vorrai..." ma le parole gli morirono in gola al pensiero di Lei morta. "No, non voglio uccidere nessuno" disse Guillermo come se avesse sentito i suoi pensieri. "Almeno, non Lei. Sono Loro che devono morire."
All'inizio Vito non capi', ma poi strinse i pugni e ringhio': "Loro non hanno colpe." "Loro sono il culmine del tuo tradimento!" ruggi' Guillermo con il viso paonazzo dalla rabbia. "Devono morire!" "Non ti lascerò uccidere le mie adorate bambine!" esclamò Vito risoluto. "Ti fermerò, costi quel che costi!" Guillermo si mise a ridere beffardo: "Pensi di potermi fermare, deficiente?! Io ucciderò le tue adorate bambine e poi sai che farò?" Vito fremeva di rabbia a mano a mano che Guillermo proseguiva. Il direttore fece un sorriso folle: "Sposerò la tua cara mogliettina."
A quelle parole Vito esplose; urlando, cercò di saltare addosso a Guillermo, ma quest'ultimo, essendo molto più forte, lo prese per un braccio e lo sbatte' violentemente contro il muro. Vito gemette.
"Non sta a te dirmi cosa devo o non devo fare, bastardo" ordinò Guillermo avvicinandosi a lui e dandogli un calcio nello stinco. "Ahi!" gemette Vito dal dolore. Poi alzò lo sguardo; i suoi occhi mandavano lampi di puro disprezzo. "Sei uno sciupafamiglie." "E tu sei un grandissimo figlio di puttana. Andiamo." E senza neanche dargli il tempo di replicare lo afferrò per il polso e lo trascinò verso le stanze di tortura.
Vito non poteva permettere a quel cretino di rovinare la sua famiglia. Doveva assolutamente fermarlo prima che fosse stato troppo tardi. Ma come poteva fare? Non aveva nessuno su cui contare. Una cosa però era certa: per nessuna ragione al mondo Vito avrebbe permesso a Guillermo di fare del male alle sue amate figlie e soprattutto alla sua amata Rosalia.

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