Felipe si avvio' su per le scale massaggiandosi i genitali. La scarica elettrica gli aveva fatto più male del solito, ma per fortuna lo avevano risparmiato di nuovo. Ce l'aveva quasi fatta questa volta... Certo, nascondersi nel cassonetto dell'immondizia non era forse il metodo di fuga più profumato, ma sarebbe stato efficace, se solo non si fosse messo a starnutire come un matto. Il cassonetto in cui si era infilato, infatti, era pieno di pomodori. E lui, purtroppo, ne era allergico. Alfonso lo aveva trovato e lo aveva portato dal direttore che, a sua volta, aveva ordinato all'ufficiale di "torturarlo fino a quando non si sarebbe sentito più le palle".
Prima di uscire poi Guillermo aveva minacciato Felipe dicendo: "Questa è la quindicesima volta in sei mesi, Aguirre! Se lo rifai giuro che ti taglio le palle e le butto nel cesso!" Felipe aveva fatto l'errore di scoppiare a ridere e rispondergli a tono: "Basta che non mi taglia l'uccello, così posso ancora fare pipi'. Non mi dispiacerebbe diventare eunuco."
A quelle parole Guillermo era andato su tutte le furie e gli aveva dato un sonoro schiaffo. Se si appoggiava la mano sulla guancia Felipe riusciva ancora a sentire il bruciore che quello schiaffo gli aveva procurato. "Piccolo insolente, come ti permetti di parlarmi in questo modo?!" aveva ruggito Guillermo. "Alfonso, torturalo fino all'ora di cena! E sii spietato!" aveva aggiunto con il viso rosso dalla rabbia.
E così Felipe era stato condotto nel seminterrato. Le scariche elettriche sui suoi genitali erano state senza pietà, ma lui non si era arreso. E non l'avrebbe mai fatto: avrebbe sopportato questo e altro pur di poter tornare dalla sua famiglia. Gli mancava così tanto, soprattutto Paula, la sua Paulina.
Con ancora i testicoli doloranti, Felipe raggiunse finalmente la porta della sua stanza, quella in cui era rimasto per sei mesi da solo, rischiando di impazzire. Parlare con il muro non era molto divertente, anzi. Era una noia mortale.
Ma quando Felipe aprì la porta si trovò davanti una piacevole sorpresa.Oliver si voltò di scatto. Era così assorto a guardare fuori dalla finestra che non si era accorto che la porta si era aperta.
Il suo coinquilino era molto alto, doveva essere più o meno un metro e ottanta, le sue gambe erano lunghe e affusolate, il fisico asciutto. Anche il viso era lungo e sottile, di forma ovale.
Ma quando gli occhi azzurri di Oliver incontrarono quelli del ragazzo il cuore di Oliver perse un battito.
Gli occhi di Felipe erano verdi con delle sfumature marroni. La cosa che colpi' Oliver, però, non fu tanto il colore degli occhi, quanto la storia che essi raccontavano.
In quegli occhi c'era il sole di Buenos Aires, l'allegria dei suoi abitanti, i colori delle case della via del Caminito e il calore di una famiglia.
Oliver non aveva mai visto degli occhi così vivaci e pieni di vita.
Osservando attentamente, però, si accorse che quegli occhi non svelavano solo gioia, ma anche dolore. Un dolore immenso, le urla, i pianti, le torture, non solo fisiche, ma anche psicologiche.
In quegli occhi c'era la vita. C'era la morte. In quegli occhi c'era tutto.
Assolutamente tutto.
STAI LEGGENDO
Naked
General FictionBuenos Aires, 1979. Oliver Castro è un giovane ragazzo di diciotto anni molto viziato, essendo cresciuto in un ambiente pieno di comfort. I suoi genitori, resisi conto di aver cresciuto il loro figlio male, decidono quindi di portarlo in una scuola...