Tortura

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L'uomo non sapeva che ore fossero. Dopo sette mesi rinchiuso in una cella piccola, buia e gelida, con le catene alle caviglie e ai polsi, con le luci neon giorno e notte era facile perdere la cognizione del tempo.
Per l'uomo era dura. Molto dura. Ma finché avrebbe avuto vita non si sarebbe mai arreso. Avrebbe resistito fino alla fine. Per Lei.
Quattro colpi alla porta gli fecero alzare impercettibilmente la testa. Sapeva che cosa gli sarebbe successo di lì a poco. "Alzati, figlio di buona donna!" ordinò quella voce che l'uomo conosceva fin troppo bene. "È ora." L'uomo si alzò; la porta si aprì. Due uomini entrarono nella cella e lo liberarono dalle catene. "Grazie Alfonso, Ramiro. Potete andare" disse di nuovo la voce. "A questo bastardo ci penserò io." "Sì signore" dissero i due uomini in coro prima di uscire dalla cella. Al loro posto entrò un uomo molto imponente: era alto più di un metro e novanta e aveva una frusta in mano. "Andiamo" ordinò con voce severa al suo prigioniero. L'uomo si limitò a seguirlo fuori dalla cella.
I due uomini scesero le scale fino ad arrivare al seminterrato. Al centro della stanza c'era una sedia elettrica. Il prigioniero impallidi'. "Siediti" ordinò l'uomo imponente. Il prigioniero ubbidi'. L'uomo imponente fece partire la sedia elettrica. Il prigioniero urlò di dolore. Faceva malissimo, ma doveva resistere. Per Lei.
Quando la scarica elettrica fini' l'uomo cadde al suolo, sfinito. L'uomo imponente lo afferrò per il colletto della camicia e lo rimise sulla sedia. "Non credere che sia già finita, deficiente" sibilo'. L'uomo imponente aziono' di nuovo la sedia elettrica; il prigioniero urlò di nuovo di dolore, ma strinse i denti. Per Lei.
La scarica elettrica fini'. L'uomo si sentiva debolissimo, ma riuscì a chiedere: "Perché mi fai questo?" L'uomo imponente gli si avvicinò lentamente; anche se era buio, il prigioniero riuscì comunque a distinguere gli occhi brillanti di rabbia del suo torturatore. Quando gli fu vicino l'uomo imponente gli diede uno schiaffo talmente forte da fargli girare il viso dall'altra parte. "Hai il coraggio di chiedermi una cosa del genere, pezzente?" ruggi' l'uomo imponente afferrandogli il mento. "Be' la risposta è molto semplice" aggiunse con una calma raggelante. Fissò i suoi occhi arrabbiati in quelli del prigioniero e gli rispose: "Perché ti odio. Ti odio da quella sera del '64, quando Lei ha preferito te a me." Il prigioniero sospirò: "Guillermo sono passati quindici anni. Quindici anni! E tu ce l'hai ancora con me solo perché... Lei ha scelto me invece di te?" "Zitto imbecille!" gridò Guillermo schiaffeggiandolo di nuovo. "Non sei degno di pronunciare il mio nome, traditore." Gli occhi del prigioniero si riempirono di lacrime: "Non ti riconosco più. Tu eri un fratello maggiore per me. Mi volevi bene, mi proteggevi. Perché non possiamo tornare amici come una volta?" Guillermo rise: "Amici? Credi davvero che io possa perdonarti dopo il tuo voltafaccia? E adesso spogliati. Non ho nessuna intenzione di sprecare tutta la notte per te... Vito."
Vito si alzò dalla sedia e fece come Guillermo gli aveva ordinato. Guillermo prese la frusta e cominciò a frustare Vito sulla schiena. "Sai perché non possiamo tornare amici?" chiese Guillermo mentre continuava a frustare Vito. "Perché tu sei uno stronzo, un fornicatore. E sarò felice solo quando ti vedrò morto!"
Con un'ultima frustata Vito cadde a terra. La schiena e le gambe sanguinavano. Aveva una gran voglia di piangere, ma non poteva. Doveva resistere. Per Lei.
Guillermo gli si avvicinò. "Per chi sopporti tutto questo?" Vedendo che Vito non gli rispondeva lo frusto' di nuovo. "Dimmelo!" gridò. "Per Lei" disse Vito debolmente ma con decisione. Livido di rabbia, Guillermo frusto' Vito sul sedere, facendolo sanguinare. "E adesso alzati e rivestiti. Forza" ordinò Guillermo. Con grande fatica Vito si alzò, si rivestì e seguì Guillermo su per le scale. Una volta tornato nella cella  Guillermo lo incateno' di nuovo, poi gli diede uno schiaffo. Vito si sentiva così sfinito che cadde a terra. "Non finisce qui" sibilo' Guillermo. Uscì dalla cella e chiuse la porta a chiave.
Vito scoppiò a piangere disperato. Guillermo pensò che piangeva per le scariche elettriche e le frustate che gli aveva dato. Non era così. Vito non piangeva per questo. Piangeva perché aveva perso il suo migliore amico.

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