Capitolo 40: 𝒏𝒐𝒏 𝒑𝒐𝒕𝒆𝒗𝒂𝒎𝒐 𝒂𝒍𝒎𝒆𝒏𝒐 𝒇𝒊𝒏𝒊𝒓𝒆 𝒊𝒏 𝒕𝒆𝒂𝒎 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒓𝒔𝒊?

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I miei vestiti erano sparsi sul letto e dietro di me il telefono stava sparando a palla il sottofondo musicale che avevo scelto per prepararmi. Non ero di fretta, ma lo sarei stata se non fossi sbrigata a scegliere i vestiti.

Il mio appuntamento era alle tre, sarei andata con Cameron a un lasergame, quindi aveva senso che indossassi vestiti comodi, che mi permettessero di correre e muovermi con agilità.

Alcuni colpi alla porta mi distrassero. «Chi è?» gridai, avvicinandomi infastidita da quella interruzione.

Aprii prima di ricevere una risposta.

Trovai Cameron. Un braccio appoggiato con il muro e un sorriso felice sulle labbra. Lo osservai velocemente, chiedendomi per quale motivo si trovasse lì. Indossava una maglietta bianca che non riusciva a nascondere i suoi muscoli; e anche i suoi pantaloni marroni permettevano di vedere il suo corpo tonico. Il modo in cui si era vestito mi fece sentire la mancanza dello stile di Neels.

«Ti serve qualcosa?»

«Sono venuto a prenderti», mi rispose tutto soddisfatto, senza smettere di sorridere.

Guardai il telefono, che avevo preso prima di raggiungere la porta, per confermare l'ora. «Sei in anticipo di mezz'ora» gli feci notare. «Ho ancora un po' per prepararmi.»

Mi squadrò dalla testa ai piedi, mentre si passava un dito sulle labbra, gesto di cui non capii il significato.

«Vuoi una mano?» la sua voce mi sembrò cercare di sedurmi e l suo sorriso scomparve lentamente.

«A fare cosa?»

Non rispose, limitandosi a guardarmi.

Indietreggiai, afferrando la porta. «Aspettami giù, tra una ventina di minuti dovrei essere pronta.»

Lo sguardo di Cameron indugiò su di me. «Va bene» rispose e, senza darmi ulteriori spiegazioni, se ne andò via.

Mi chiusi la porta alle spalle, confusa da quella interazione. Decisi che Cameron era strano e non ci badai molto, preferendo concentrarmi sul finire di prepararmi.

Perché avrei dovuto farlo entrare per aiutarmi? Come se non mi sapessi scegliere i vestiti da sola!

Posai il telefono sul letto e rimisi la musica. Concentrata sullo scegliere cosa indossare e come truccarmi, mi dimenticai dell'incontro con Cameron, fino a quando non uscii di casa e me lo ritrovai davanti, appoggiato a un fianco della sua macchina.

I miei pensieri variano in una gamma che andava dal "Gesù" al "che palle". Invece di fare marcia indietro, mi costrinsi a raggiungerlo. Mi notò subito e non staccò gli occhi da me nemmeno per qualche secondo, seguendomi con ossessività finché non mi fermai vicino a lui.

«Ehi» dissi, imbarazzata e non riuscendo ad alzare lo sguardo.

«Ehi.» Usò la stessa voce di prima.

Si offrì di aprire la mia portiera e io mi sbrigai a entrare. Lo ringraziai a bassa voce, mentre la chiudeva e raggiungeva il suo posto dietro il volante.

Appena si sedette e io mi misi la cintura, mi tornarono in mente le ultime parole che ci eravamo scambiati in quella stessa automobile.

Mi venne da rabbrividire.

Appena accese l'auto, mi maledissi per aver scelto un posto lontano venti minuti dalla villa. Accesi la radio, con la speranza di nascondere la tensione presenta tra di noi e, allo stesso tempo, di convincerlo a non rompere il ghiaccio. Cameron si concentrò sulla strada e non parlò molto, limitandosi a farmi domande poco interessanti, a cui ricevette risposte a monosillabi. La mia attenzione rimase fuori dal finestrino, fissa sul mondo in movimento.

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