Il tempo passò con estrema lentezza.
Dopo nemmeno un'ora, fui tentata di accendere il telefono. Resistere fu difficile, quasi fisicamente doloroso. Non volevo sapere cosa fosse successo dopo l'invio del mio messaggio. Eppure, se avessi acceso il telefono per distrarmi e ascoltare un po' di musica, sarebbe stato inevitabile scoprirlo.
Passata un'ora e mezza, mi ritrovai a dubitare che qualcuno sarebbe venuto a prendermi. Il mio comportamento era stato stupido e come sempre la "mia famiglia" mi aveva lasciata da sola a subirne le conseguenze. Magari mia madre si sarebbe fatta viva appena terminato di lavorare.
La paura di accendere il telefono e scoprire che ero stata ignorata crebbe.
Quando avevo inviato il messaggio, la sicurezza che almeno Jackson sarebbe venuto mi aveva dato un po' di determinazione. Dopo le ore passate a fare niente, quella sicurezza era sparita.
Dopotutto non avevamo ripreso a parlare. Perché sarebbe dovuto venire per me?
Dopo due ore di attesa, decisi di passeggiare. Attraversai il parcheggio, facendo passi corti e passi ampi al giro successivo. Non era un percorso molto emozionante, ma almeno muovermi mi teneva distratta. Dopo cinque giri, tornai a sedermi vicino all'entrata, essendomi stancata e avendo visto uno strano uomo aggirarsi per le auto. Non volevo essere presente nel momento in cui avesse cercato di rubarne una o accoltellare qualcuno.
La noia mi spinse a leggere con attenzione i volantini presenti nella bacheca che si trovava affianco all'entrata. Al minimo rombo in un'auto mi voltavo verso la strada, rimanendo delusa ogni singola volta. Prese il volantino di Gardaland per ultimo. Il giorno successivo sarei andata lì con Gabriele e una mappa del parco era proprio ciò di cui avevo bisogno. Mi misi a studiare le attrazioni presenti.
Quando sentii l'ennesimo rombo non mi voltai. Continuai a riservare la mia attenzione alla mappa finché non sentii l'automobile, che dal suono del suo motore mi sembrava un modello sportivo, fermarsi alle mie spalle. Cedetti alla curiosità e mi girai, fissando con stupore il ragazzo che si trovava al volante.
La mia mascella cadde aperta per qualche secondo. La richiusi solo per sorridere.
Erano venuti. Erano venuti per me.
Filippo scese dall'auto, mentre Cameron, che era seduto nel sedile del passeggero, spalancava la portiera del suo lato.
In quel momento, per la prima volta mi concessi di pensare a quei due come a dei fighi.
«Beatrice!» Sentire il mio nome mi riscosse.
Cameron venne verso di me. Il suo sguardo era furioso. Indietreggiai, preoccupata che potesse farmi male come aveva fatto Edoardo. Cameron, diversamente dal fratello, mi raggiunse per abbracciarmi. Il suo corpo stava tremando per la preoccupazione e quando confermai che non voleva recarmi danno, mi lasciai andare e ricambiai la sua stretta.
«Ero così preoccupato» sussurrò in modo che solo io potessi sentirlo.
Appoggiai la testa sul suo petto, ascoltando i battiti rapidi del suo cuore. Ero felice di vederlo.
Cameron si rifiutò di lasciarmi andare per quasi un minuto. E quando lo fece, non si allontanò di molto.
Filippo era rimasto lontano e la sua espressione era ancora più seria. «Hai esagerato, Beatrice» mi rimproverò.
«Mi sono solo persa» dissi in mia difesa. Ricevetti un'occhiataccia da entrambi i ragazzi. Il fatto che non mi credessero era un problema, benché non mi stupisse.
«Bea.» Il tono usato da Cameron ero lo stesso di mia madre o Emily quando mi stavano sgridando. Alzai gli occhi al cielo e mi allontanai da lui.
«Non è successo niente» insistetti. Non aspettai che rispondessero. Andai verso l'auto di Filippo e mi sedetti nei sedili posteriori. Cameron e Filippo si scambiarono un'occhiata e mi seguirono.
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Ocean of Lies
ChickLitIN REVISIONE (la storia è completata, ma sto riscrivendo i capitoli e ogni settimana ne rendo visibile uno nuovo!) Libro primo. Arrivata a diciotto anni l'ultima cosa che Beatrice vorrebbe è avere a che fare con i fratelli Nobili. Affascinanti, car...