Jackson mi stava aspettando appoggiato al cornicione della terrazzina davanti all'entrata di casa. Era solo e in silenzio, lo sguardo perso in un punto non preciso. Indossava ancora dei vestiti decenti, spingendomi a credere che fosse da poco tornato dall'appuntamento con Martina in cui lei era riuscita a convincerlo.
Il primo campanello di allarme, che dimostrava che qualcosa non stava andando bene, era la sigaretta che pendeva dalle dita di Jackson.
Era da un anno che Jackson era riuscito a smettere di fumare e la sua ricaduta non poteva che segnalare il suo stato emotivo travagliato.
Non potei che sentirmi peggio e pensare che fosse colpa mia.
Il suo sguardo si puntò sull'auto in cui mi trovavo, sempre più vicina a lui. Continuò a osservarci anche mentre Filippo stava parcheggiando e smise solo quando iniziai a salire i gradini per raggiungerlo.
«Ciao» mormorai. «Da quanto sei qui ad aspettare?»
«Un po'» rispose, spegnendo il mozzicone di sigaretta sul corrimano, incurante che lo stesse rovinando.
Filippo mi superò, fermandosi più vicino al fratello. «Avevi bisogno di qualcosa?» gli chiese, ignaro di quello che stesse succedendo tra me e Jackson.
Jackson non gli rispose, preferendo tornare a guardarmi. «Hai già mangiato?»
«No» non fui io a rispondere. Lanciai uno sguardo torvo a Filippo, che aveva risposto al posto mio. Ignorandomi, raggiunse la porta di casa.
«No,» ripetei. «Tu?»
Jackson scosse la testa con un movimento debole e stanco. Da vicino, il suo cattivo umore era ancora più evidente e cupo.
«Venite o devo tenervi la porta aperta ancora per molto?»
Entrambi guardammo verso Filippo, che stava tenendo la porta spalancata per noi. Trovai il suo comportamento strano e non riuscii a capirlo. Dalla sua espressione, sembrava essere infastidito, ma non poteva trattarsi solo del fatto che stesse tenendo aperta la porta.
Avrei potuto rispondergli a tono e dirgli di andare avanti senza di noi. Ma ciò che davvero mi importava discutere era il piano mio e di Jackson, e non avevo alcun bisogno che Filippo fosse presente. Al contrario, la sua presenza a quella discussione non avrebbe contribuito in alcun modo.
Jackson sospirò. «Arriviamo.»
Li seguì all'interno della villa, diretta verso la sala da pranzo. In fondo, quel tipo di conversazione poteva essere tenuto in qualsiasi momento e una pancia piena forse ci avrebbe permesso di ragionare meglio.
Trovammo la sala da pranzo colma e io fui più che felice di sedermi separata dai fratelli Nobili. Preferii il tavolo di mia madre ed Emily. Jackson mi seguì senza dire una parola.
Filippo, invece, raggiunse il tavolo più lungo della sala. Nei weekend, o in generale nei momenti in cui era presente, Flavio Aureliano Nobili soleva sedersi al centro della sala, in un tavolo rettangolare abbastanza lungo da contenere gran parte delle sue concubine. Nelle rare volte in cui frequentavo la sala nel suo stesso momento, mi piaceva osservare il modo in cui quelle donne cercassero disperatamente di guadagnarsi le attenzioni del loro compagno.
Era una visione patetica, che però mi incantava. Perché avrei dovuto mai disperarmi tanto per ricevere le attenzioni di un uomo come quello? Il suo potere le aveva accecate a tal punto da far scordare loro che esistevano altri uomini come lui o persino migliori?
Ma forse la mia era solo gelosia. Non essendomi permesso di accedere a quell'élite prestigiosa, potevo solo occupare un posto marginale e trovare consolazione nel giudizio crudele che rivolgevo loro.
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Ocean of Lies
ChickLitIN REVISIONE (la storia è completata, ma sto riscrivendo i capitoli e ogni settimana ne rendo visibile uno nuovo!) Libro primo. Arrivata a diciotto anni l'ultima cosa che Beatrice vorrebbe è avere a che fare con i fratelli Nobili. Affascinanti, car...