Capitolo 34: 𝒍𝒆 𝒗𝒊𝒕𝒕𝒊𝒎𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒄𝒐𝒎𝒖𝒏𝒊𝒕à 𝒏𝒆𝒐𝒎𝒊𝒅𝒂.

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Stavo mantenendo una distanza tra me e lui. Il suo commento aveva lasciato nella mia mente un peso opprimente e mi era diventato impossibile non pensarci. Filippo, invece, si stava comportando come se non fosse successo.

A ogni ora passata nel centro commerciale, notai che stava aumentando il numero di persone presenti. Il nostro appuntamento più che fare shopping era diventato uno slalom tra la folla di persone, che spesso si fermavano in mezzo alla strada. I piedi stavano iniziando a farmi male e io ero certa che non avrei resistito ancora per molto.

Il vibrare del mio telefono mi spinse a chiedermi chi mi stesse contattando. Mi fermai un secondo per leggere il messaggio che mi aveva lasciato Martina, la ragazza di Jackson. «Ci sono riuscita! Ha detto di sì.»

Eravamo rimaste in contatto dopo quel pomeriggio in cui ci eravamo conosciute. Alcune sere prima, le avevo scritto per ricevere degli aggiornamenti e lei mi aveva detto che si sentiva vicina a raggiungere il suo obiettivo.

Trovai incredibile che ci fosse riuscita davvero.

«Ci vediamo oggi?» mi scrisse.

«Non posso» risposi, riprendendo a camminare. Filippo non si era accorto che mi ero fermata ed era andato avanti. «Sono fuori fino a stasera.»

Mi mandò un'emoji del pollice alzato. «Te lo dirà Jackson, allora. Comunque, uno di questi giorni, io e te dobbiamo vederci.» Frase terminata con una faccina sorridente.

La notizia mi migliorò l'umore. Se Jackson aveva accettato la mia proposta, non ero più costretta ad andare a quegli stupidi appuntamenti. L'idea di dover sposare quello che io consideravo un fratello continuava a non farmi impazzire, ma era meglio stare con lui solo di facciata che stare con uno dei suoi fratelli per davvero. Sapere che avevo una via di fuga alleggerì il mio cuore.

Alzai lo sguardo in avanti e mi accorsi che Filippo mi stava guardando con espressione contrita. Si era fermato per aspettarmi, ma io non mi sbrigai per raggiungerlo.

«Tutto bene?» mi chiese quando gli fui tornata vicina.

«Sì» dissi un po' troppo brusca.

Filippo spostò la testa, puntando lo sguardo in avanti e per un secondo mi parve che fosse infastidito dal mio tono. Non disse niente e tornammo a muoverci.

Sbuffai. Non avevo bisogno che Filippo pensasse che ce l'avessi con lui.

Camminammo ancora un po', nessuno dei negozi vicino a noi sembrava interessante e Filippo mi sembrò troppo concentrato sulla strada per prestare attenzione al resto del mondo. Lo avevo davvero offeso con una risposta troppo secca? Non poteva essere tanto permaloso. E poi le sue emozioni restavano affari suoi, non miei.

Non sapevo nemmeno perché avessi risposto con quel tono. Forse mi dava fastidio che lui non si fosse accorto prima che io ero rimasta indietro? O forse era legato al messaggio di Martina. Dal momento che Jackson aveva accettato, non dovevo più impegnarmi ad analizzare i suoi fratelli né cercare di essere cortese con loro.

Mi dissi che trovare una risposta era irrilevante.

Quando il dolore ai piedi divenne insostenibile, chiesi a Filippo se potessimo fermarci un attimo per riposare. Accettò con un solo movimento della testa. Lo seguii verso i tavoli che si trovavano al centro del grande corridoio del centro commerciale. Filippo mi chiese cosa volessi ordinare e mi disse di aspettarlo al tavolo. Troppo affaticata, non obiettai. Lo osservai mettersi in fila davanti alla casa, sentendomi un po' in colpa per averlo mandato da solo. Distolsi lo sguardo, osservando i tavoli intorno a noi, tutti già pieni, e mi dissi che eravamo stati fortunati a trovarne uno libero.

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