Capitolo 20: 𝑳𝒐𝒓𝒆𝒏𝒛𝒐.

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Prima ancora di fare colazione, inviai il file Excel in cui avevo organizzato gli appuntamenti. In pochi minuti, ricevetti risposta. Il mio carceriere avrebbe visionato il file e in giornata me lo avrebbe rimandato con l'organizzazione definitiva. Si sarebbe occupato lui di parlarle con gli altri e di chiedere loro se erano disponibili.

La mia giornata iniziò più felice del solito. I colori mi sembravano più intensi e io mi sentivo leggera. Mi sembrava di essermi tolta un peso dalle caviglie. Andai a trovare Ginevra per assicurarmi che stesse meglio. Da quando era stata colpita, non era tornata a scuola. Quell'uomo non aveva voluto rischiare che qualcuno vedesse i lividi e le cicatrici non ancora ricucite.

Mi sembrò più tranquilla. Il corpo le doleva ancora, ma lei riusciva ad alzarsi ed era tornata a mangiare. Scendemmo a fare colazione insieme. La osservai divorare la fetta di torta che aveva preso, non riuscendo a scacciare la rabbia che stava ribollendo nelle mie vene.

Dovevo annullare il matrimonio a tutti i costi. Lo dovevo anche a lei. Essendo la più grande, era mio dovere portarla via da quella famiglia il prima possibile. E non ci sarei mai riuscita se fossi rimasta intrappolata da un contratto.

I gemelli entrarono nella sala da pranzo per chiedermi se fossi pronta. Non mi andava di lasciare Ginevra da sola, ma dovevo andare a scuola.

La leggerezza restò con me per tutta la giornata, accompagnandomi nei momenti in cui i gemelli si mettevano in ridicolo pur di cercare di conquistarmi. Mentre ridevo di loro, Edoardo e Gabriele interpretarono la mia risata come un segno che mi stessi aprendo e che il loro lavoro stesse dando i suoi frutti. Mi sentii crudele. Li stavo pur sempre prendendo in giro. Ma questa realizzazione non fu seguita da vergogna. La verità era che essere crudele con loro mi piaceva.

I miei ultimi giorni di scuola corsero via veloci. Li passai a osservare i fratelli Nobili impegnarsi nell'attirare la mia attenzione. L'unico che rimase davvero coerente con se stesso fu Oliver, il figlio di Emily. Non lo beccai mai a osservarvi né mi rivolse parole gentili. Continuava imperterrito a fingere che non esistessi. Neels cercò di persuadermi ad andare al compleanno di Lucky, dicendomi che mi sarei divertita e che sarebbe stata una serata indimenticabile. Più declinavo il suo invito, più il suo volto si avviliva per la delusione. Vederlo in quello stato mi dava fastidio, soprattutto perché percepivo il senso di colpa aleggiare intorno al mio cuore.

Il sabato sera non mi presentai al compleanno di Lucky, mantenendo la mia promessa. Era il primo passo per far capire a quei ragazzi che la mia volontà non era volubile e che le mie decisioni erano definitive. Se erano convinti di avere a che fare con una persona facilmente persuadibile, che si sarebbe fatta affascinare dai loro bei faccini, be' era meglio che aprissero gli occhi.

I momenti in cui incontravo Jackson furono i peggiori. Dopo la conversazione che avevamo avuto, aveva iniziato a evitarmi. Io lo vedevo con la coda dell'occhio entrare nella mia stessa stanza ed esitare. Di solito, indugiava sulla soglia e poi scompariva. Quando eravamo costretti a confrontarci, a mala pena mi rivolgeva un saluto e non incontrava mai il mio sguardo. Conoscendolo, sapevo che sarebbe toccato a me fare il primo passo, impedire a quella situazione di peggiorare. Ma il suo rifiuto continuava a ferirmi. Ero io quella nella merda che aveva bisogno di aiuto, non lui. E il fatto che invece di starmi accanto e supportarmi avesse deciso di evitarmi mi stava facendo sentire peggio.

Sabato sera fu il momento migliore di tutta la settimana. La villa si era spopolata, con i ragazzi, Jackson compreso, che erano andati alla festa di Lucky, e gli adulti usciti a godersi la sera fresca. Persino a Ginevra era stato permesso di uscire. Forse quell'uomo aveva intuito che le sue amiche avrebbero trovato strana la sua prolungata assenza e le aveva concesso di festeggiare la fine dell'anno scolastico.

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