La storia che stavo leggendo non mi stava rapendo. Per quanto ci stessi provando, non riuscivo a immergermi nella lettura. Ero costantemente rimandata nella mia realtà.
Nonostante avessi aperto "Il Piacere" di D'annunzio quasi un'ora prima, ero arrivata appena alla decima pagina. Lo stile di quell'autore non mi stava lasciando niente, era come leggere delle pagine bianche.
A distrarmi bastava davvero poco, un ramoscello spezzato, una notifica del telefono o il fruscio delle foglie. Lo mio sguardo scivolò di nuovo fuori dalla finestra.
Mi ero seduta sul divanetto sotto di essa, la testa appoggiata al vetro coperto dalle leggere tende nere. Era passato un giorno dall'incontro che i fratelli Nobili avevano avuto con loro padre e io non ero ancora riuscita a scoprire cosa fosse stato detto dietro le porte della Sala d'Oro.
Osservare il giardino mi consolava. Preferivo analizzare la calma del mondo oltre la mia finestra, piuttosto che leggere un libro incapace di catturare il mio interesse.
La natura era rilassante, mi faceva sentire parte di lei, persino quando il mio corpo si stava contorcendo per i crampi premestruali e si stava preparando a perdere sangue.
Quegli alberi alti e verdi mi riportavano alla mente ricordi di infanzia, di un periodo in cui ero stata felice. Durante la crescita, avevo ridotto il tempo passato all'aperto. Essendo il giardino uno dei luoghi più frequentati dai ragazzi che abitavano la villa, ero stata invitata numerose volte a non raggiungerlo.
Quel pomeriggio, in cielo c'erano poche nuvole e il sole era caldo. Avrei voluto stendermi sotto uno degli alberi fioriti, aprire un telo sull'erba verde e godermi gli ultimi momenti di maggio. Non avrei perso tempo a leggere un libro che non mi interessava.
Con uno sbuffo di stanchezza, lo chiusi e lo misi da parte, decisa ad uscire.
Appena feci per alzarmi, qualcuno comparve nello spazio di giardino davanti alla mia finestra. Il pensiero di uscire si dileguò in un secondo.
Delusa, restai con una sola gamba in piedi e l'altra ancora appoggiata al divanetto, mentre fissavo i ragazzi che stavano raggiungendo il piccolo campo da basket.
Erano quattro scimmie e due persone. La loro sola presenza riuscì a stravolgere il mio umore.
Si misero a giocare, due contro tre, mentre Hope li osservava seduta ad un angolo del campo. Li stava riprendendo con il telefono e sorrideva con leggerezza.
Lucky fece canestro e beffardo si avvicinò alla cugina. Consapevole di essere ripreso, si alzò un bordo della maglietta, mettendo in mostra il suo busto allenato.
Scioccai la lingua, irritata dalla sua arroganza, ma incapace di distogliere lo sguardo.
Lucky Cesare Nobili era sempre stato un bel ragazzo, anche se ammetterlo ad alta voce mi sembrava umiliante. Se qualcuno che non lo aveva mai visto mi avesse chiesto di descriverlo, avrei usato termini poco eleganti: alto quanto un palo della luce e dai colori di un nazista. Ma la sua bellezza era più umana. Gli occhi blu come il mare, grandi e attenti. I capelli corti quasi bianchi, appena spettinati. Il labbro inferiore più carnoso e il naso dritto, quasi all'insù. Aveva una bellezza pulita e curata. In quel periodo la sua carnagione, solitamente di un bianco roseo, stava iniziando a dorarsi più lui passava le giornate in piscina.
Nonostante fosse bello, la sua personalità insopportabile lo rendeva tutt'altro che attraente. Come riuscivano tutte quelle persone a stargli intorno quando era cattivo o presuntuoso?
La verità mi aveva colpita anni prima come un fulmine a ciel sereno.
Lucky era insopportabile con me, non con gli altri. Sapeva amare, semplicemente non rivolgeva la sua empatia a me.
STAI LEGGENDO
Ocean of Lies
ChickLitIN REVISIONE (la storia è completata, ma sto riscrivendo i capitoli e ogni settimana ne rendo visibile uno nuovo!) Libro primo. Arrivata a diciotto anni l'ultima cosa che Beatrice vorrebbe è avere a che fare con i fratelli Nobili. Affascinanti, car...