Capitolo 31: 𝒅𝒓𝒊𝒏𝒌 𝒖𝒑 𝒎𝒆 𝒉𝒆𝒂𝒓𝒕𝒊𝒆𝒔 𝒚𝒐 𝒉𝒐.

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Mia madre si era messa a parlare con una conoscente, costringendomi a ciondolare su me stessa in attesa che il tempo passasse più velocemente. Non potevo nemmeno parlare con Jackson e Ginevra perché entrambi mi avevano abbandonata per andarsene con altre persone. Jackson mi aveva detto di dover uscire con Alberto e Ginevra si era messa a parlare con Stephen, che si era offerto di darle un passaggio a casa. Lanciai un'occhiata a mia madre, che continuava a parlare, pentendomi di non aver chiesto a Ginevra di convincere Stephen ad accompagnare anche me.

Ero stupita di non essere stata approcciata dai fratelli Nobili all'uscita della cattedrale. Per una volta che mi sarebbe servito un loro aiuto, erano tutti spariti. Tipico. L'ennesima prova che non potevo fidarmi di loro.

Mi chiesi se non fosse stato per evitare sguardi inopportuni. Riflettendoci bene, a parte i gemelli a scuola e quella volta in cui Stephen era venuto a prendermi in auto, nessuno di loro mi aveva rivolto la parola fuori dalla villa. Mi tornò in mente che Cameron mi aveva parlato durante l'Adorazione, ma comunque restava un contatto breve e superficiale.

L'amica di mia madre stava raccontando una storia, animandosi a ogni dettaglio essenziale che stava aggiungendo. Distolsi lo sguardo, osservando annoiata le persone che stavano lasciando il parcheggio. Guardai i volti delle persone ancora presenti, sperando di individuare Chiara. Conoscendola, si era fiondata subito fuori dalla cattedrale. Il suo odio per l'Adorazione era probabilmente ancora più forte del mio. Le avevo chiesto tramite messaggio se le andasse di vederci, ma mi aveva detto che era impegnata. Prevedibile e comunque doloroso.

Il mio sguardo continuò a vagare, cercando disperatamente di trovare da una distrazione dalla noia. Mi soffermai a fissare una crepa nel suolo, perdendomi nei miei pensieri dai quali fui sottratta all'improvviso. Delle mani si strinsero intorno alle mie spalle e io sussultai, spaventata dal contatto improvviso.

Mi voltai, pronta a tirare un pugno a chiunque avesse osato toccarmi. Mi ci volle un attimo per elaborare di avere davanti a me una mia amica che non vedevo da un po'.

«Anna!» urlai il suo nome, felice di vederla.

Anna aprì le braccia, invitandomi in un abbraccio. Mi ci fiondai subito, perdendomi nel piacere che quel contatto poteva darmi.

«Quando sei tornata?» le chiesi, staccandomi da lei per poterla osservare.

Non vedevo Anna da più di un anno. Si era trasferita negli Stati Uniti con i suoi genitori e avevamo smesso di sentirci con costanza.

«Ieri» rispose, sorridendomi allegra. «Sto qui fino a lunedì, poi andiamo a trovare il resto della mia famiglia.» Mi guardò dalla testa ai piedi. Il suo sguardo si soffermò per più tempo sul mio volto e io sperai che non vedesse i segni della mia disperazione. «Abbiamo tanto da dirci, vero?»

Una domanda che si trasformò in un invito a passare il pomeriggio da lei.

Nonostante i suoi genitori si fossero trasferiti negli Stati Uniti, avevano tenuto la loro vecchia casa, in cui tornavano spesso per le vacanze. Quando non la usavano, l'affittavano.

Accettai volentieri il suo invito, felice di dover rimandare il mio rientro alla villa senza però cedere alla noia il mio pomeriggio.

Anna non perse tempo a raccontarmi cosa le fosse successo nel periodo che aveva passato lontana. Ascoltare i suoi problemi mi permise di dimenticare i miei per un attimo. Mi raccontò delle sue brevi storie romantiche, facendomi vedere delle foto dei soggetti in questione, che mi divertì a criticare.

Appena ebbe finito le cose da dirmi, arrivò la domanda che temevo: «Tu, invece, cosa mi racconti?»

Avrei potuto mentire e dire che andava tutto bene. Usare le stesse parole che avevo rifilato alle mie compagne di classe. Avrei potuto fingere che ciò che stava succedendo non mi stava torturando dall'interno.

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