Capitolo 12: 𝓬𝓲𝓸̀ 𝓬𝓱𝓮 𝓷𝓸𝓷 𝓹𝓾𝓸̀ 𝓮𝓼𝓼𝓮𝓻𝓮 𝓶𝓸𝓼𝓼𝓸.

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Lo fissai sconcertata e incapace di guardare altrove. Tutto intorno a me iniziò a vorticare in una danza nauseante. Solo io restavo immobile. Avrei voluto scattare in piedi, urlare, dimenarmi e scappare. Ma non feci niente. Non mi mossi e dalle mie labbra non uscì alcun suono.

«Se entro questa data non avrai fatto la tua scelta, sarò costretto a prenderla io al posto tuo.»

Nei miei occhi le lacrime si raccolsero pungendomi come spilli. Cercai con tutte le mie forze di trattenere, nel tentativo di non mostrarmi più debole di quanto fossi già.

L'uomo che mia madre aveva cercato per anni di farmi chiamare papà, l'uomo che avrebbe dovuto proteggermi e aiutarmi, mi aveva appena colpita a morte. Fin da bambina, aveva sempre avuto controllo sulle decisioni che riguardavano la mia vita. E io avevo sempre fatto ciò che mi imponeva, tacendo la mia volontà in suo favore.

Quello... era troppo. La paura non sarebbe bastata a farmi abbassare la testa e ingoiare la sua decisione.

Non aveva nessun diritto di impormi di sposarmi, tanto meno di scegliere al posto mio con chi e quando. E fra tutti, aveva scelto come opzioni i suoi stessi figli. Era una decisione disgustosa, degna di una famiglia ancora legata al passato. Anche se non li avevo mai davvero considerati parte della mia famiglia, ero cresciuta accanto a quei ragazzi, loro avevano visto me crescere e io avevo visto loro.

Era sbagliato.

«Adesso è tardi» continuò lui, congedandoci come se stesse parlando con dei bambini capricciosi. «Domani discuteremo dei dettagli.»

Nonostante volessi scappare da lì, non riuscii ancora a muovere un singolo muscolo. Restai ancorata lì, mentre le persone iniziavano a lasciare la sala. Le concubine sfilarono silenziose. Emily fu l'unica ad avvicinarsi a me. Senza dire niente né guardarmi, appoggiò una mano gentile sulla mia spalla per pochi secondi. Poi, toccò a Mariano. Uscì dalla stanza, coprendosi la bocca con una mano. Dal suo sguardo era chiaro: ciò a cui aveva assistito lo soddisfaceva.

Gli altri, invece, si raccolsero intorno a me e Ginevra, che era ancora accovacciata a terra. Avrei voluto stringermi a lei e piangere finché non si fosse svegliata. Stephen, diversamente da me, riuscì a sfiorarle la nuca e ad analizzare la sua condizione. Si fermò quando sentì suo padre avvicinarsi.

«Portatela in camera e lasciatela lì. Domani mattina farò arrivare un dottore per controllarla» dichiarò.

Tenni lo sguardo fermo su Ginevra, ma sentii subito l'atmosfera tendersi alle sue parole. I suoi stessi figli lo fissarono con odio, cercando di fargli capire quanto sbagliato fosse il suo comportamento.

«Forse sarebbe meglio chiamare qualcuno ora» affermò Federico, non abbassando la testa di fronte al padre.

«Dubito che troveresti qualcuno disposto a venire a quest'ora» rispose Filippo, guardando l'orologio al suo polso.

«Allora la porto in ospedale» insistette Federico, allungando una mano verso Ginevra.

«No» suo padre parlò con voce severa, fermandolo. «Nessuno deve sapere ciò che è successo questa notte.»

La reputazione della sua famiglia era più importante delle persone con cui viveva.

Federico provò a rispondergli, ma prima che potesse anche solo aprire bocca, suo padre aggiunse: «Non vorrai fare aspettare tuo figlio e la tua futura sposa ancora a lungo.»

Federico si bloccò, i pugni stretti e fermi lungo i fianchi. Annuì debolmente. Filippo gli appoggiò una mano sulla spalla, scuotendo la testa. Federico lanciò un ultimo sguardo al padre e a Ginevra, poi con passo agitato uscì dalla stanza. I gemelli, Oliver e Filippo lo seguirono. Lucky fece lo stesso qualche minuto dopo.

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