Capitolo 33: 𝑭𝒊𝒍𝒊𝒑𝒑𝒐 𝒂𝒕𝒕𝒆𝒏𝒕𝒂 𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒗𝒊𝒕𝒂 𝒅𝒊 𝑩𝒆𝒂𝒕𝒓𝒊𝒄𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒂 𝒔𝒖𝒂 𝒈𝒖𝒊𝒅𝒂 𝒔𝒑𝒆𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒂𝒕𝒂.

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«Quella brioche» esordii, «la mangi?»

Erano le dieci di mattina, io e Filippo eravamo seduti a un tavolo del primo McDonald che avevamo trovato lungo la strada. Avevo scelto di andare lì perché la colazione era abbondante a un euro. Filippo aveva accettato senza obiezioni.

«No.» La sua attenzione era rivolta altrove, come se fosse annoiato. «L'ho presa per te.»

Era seduto di fronte a me e le sue gambe erano allungate fino a occupare il mio spazio. Il suo sguardo continuò a ispezionare le persone che ci stavano circondando, quasi temesse di essere spiato. Guardai anche io le poche persone presenti. Nessuno ci stava prestando alcuna attenzione, probabilmente perché passavamo per una normale coppia.

«Grazie» dissi, allungando una mano per prenderla.

Era stato più veloce di me nel finire il caffè, mentre io avevo preferito bere con calma il mio cappuccino. Davanti a noi avevamo una lunga giornata e io non avevo fretta di iniziarla. Aggiungere la sua brioche al mio pasto mi riempii di felicità. L'effetto del caffè mi raggiunse lentamente, svegliandomi poco a poco.

Ne approfittai per osservare il ragazzo che avevo davanti.

Filippo Claudio Nobili.

Secondogenito di Ilaria Archinti, seconda concubina di Flavio il Magnifico. Il suo secondo nome era dedicato a suo nonno paterno, morto lo stesso anno in cui lui era nato. Cugino da parte di madre della mia amica, Filippo era il più basso tra i suoi fratelli. Solo un metro e settanta, qualche centimetro in più di me, sembrava aver preso poco dal padre. Aveva infatti ereditato i connotati di sua madre: capelli rossastri e ricci, poche lentiggini e un volto ovale. Dal padre aveva probabilmente preso solo gli occhi azzurri.

Per il nostro appuntamento aveva scelto una maglietta nera a maniche corte, che esponeva le sue braccia tatuate. A numero di tatuaggi, probabilmente ne aveva meno di Stephen, ma superare Stephen era quasi impossibile. Le sue braccia sembravano un puzzle di colori e disegni diversi da molti anni ormai. Osservai il sunvia che Filippo aveva tatuato nel bicipite, chiedendomi se lo avesse scelto perché era un fervente neomida o solamente perché trovava bello il design.

Spostai lo sguardo sui suoi orecchini. Ne contai nove, sei su un orecchio e i restanti tre sull'altro. Quello più lungo era una piuma argentata che gli pendeva dal lobo sinistro.

«Ti sei imbambolata o ho qualcosa in faccia?»

Il suo sguardo si spostò su di me. Essendo stata colta in fragrante, abbassai la testa, sperando che non notasse il mio imbarazzo.

«Ho ancora sonno» dissi in mia difesa.

Mi riempii la bocca con la brioche, terminandola in un sol boccone.

«Sei pronta ad andare?» chiese, continuando a osservarmi.

«No.» Mi pulii la bocca, scacciando via le briciole. «Non sarò mai pronta a salire nella tua auto. Fare un incidente stradale non è nella lista delle mie morti preferite.»

La mia battuta sembrò confonderlo. Inclinò la testa di lato e mi fissò in attesa che spiegassi.

Alzai gli occhi al cielo. «Se salgo.» Gli puntai contro la mano con cui stavo tenendo il fazzoletto che avevo appena usato per pulirmi la bocca. «Scelgo io la musica e tu mi prometti che guiderai decentemente, senza superare i limiti di velocità e fare sorpassi mortali.»

«Come vuoi.» La sua espressione mi sembrò poco convinta. Feci in tempo a prendere la mia borsa e ad alzarmi che lui aggiunse: «Io guido già bene.»

Lo seguii verso l'uscita del ristorante. Filippo tirò fuori le chiavi della sua auto e le fece roteare con il dito. «Mi dispiace distruggere la tua autostima in questo modo, ma fai pena a guidare.»

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