Capitolo 19: 𝒊 𝒄𝒐𝒏𝒔𝒊𝒈𝒍𝒊 𝒅𝒊 𝑪𝒂𝒎𝒆𝒓𝒐𝒏.

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Stavo correndo su per le scale, saltando gradini e rischiando diverse volta di cadere e sbattere la faccia a terra. Nemmeno la possibilità di rompermi tutti i denti era bastata a farmi calmare.

Quando meno di un'ora prima ero salito nell'auto di Cameron, mi ero aspettata un altro viaggio infernale passato a ripetere le solite smancerie a cui non credevo. Cameron, contro ogni previsione, mi stupì.

Restammo in silenzio per i primi minuti, poi lui irruppe: «Potresti scegliere me» al ché ero pronta ad alzare gli occhi al cielo e dirgli che era un tentativo inutile, poi, lui aveva continuato. «Ci sposiamo davanti a tutti, ma nel privato ognuno fa quello che vuole. Pensaci bene, non sei costretta a scegliere qualcuno con cui passare ogni secondo della tua vita. Non sei costretta ad andarci a vivere insieme, nostro padre non l'ha mai specificato. E alla sua morte, ci dividiamo i soldi in modo equo.»

Anche se non avrei mai accettato la sua offerta, potevo sottrargli l'idea e proporla a qualcun altro. Perché Cameron aveva ragione. Fin da subito avevo visto la mia situazione come una prigione solitaria, da cui non potevo scappare. Non doveva essere per forza così. Se avessi chiesto alla persona giusta, il matrimonio si sarebbe potuto rivelare l'occasione perfetta per scappare da quella famiglia.

Mi bastava trovare qualcuno che non mi avrebbe mai fatto del male e che sarebbe sempre stato dalla mia parte. Qualcuno che non aveva alcun interesse nel comportarsi da sposo con me, né che avrebbe cercato di tradirmi.

Un candidato perfetto mi venne subito in mente.

«Jackson!» Bussai alla sua porta con insistenza. Avevo provato a chiamarlo, ma lui non mi aveva risposto e io avevo intuito che stesse dormendo. «Svegliati e aprimi!»

Bussai a lungo, finché non lo sentii imprecare dall'altra parte. «Che vuoi?» sbottò a occhi ancora chiusi. La stanza alle sue spalle era buia.

«Ho trovato una soluzione» annunciai.

Senza invito, entrai nella sua stanza e accesi la luce. Jackson si coprì le palpebre con una mano e mi seguì controvoglia. Borbottò altre lamentele che ignorai.

«Stammi a sentire.»

Jackson si sedette sul letto e io gli presi le spalle, restando in piedi davanti a lui.

«In verità, l'idea è venuta a Cameron e io l'ho solo rubata. Ma non importa.»

Jackson sbadigliò senza coprirsi la bocca, il suo volto assonnato mi disse che stava seguendo le mie parole a mala pena.

«Scelgo te!» dichiarai, euforica. «Ci sposiamo, ma ognuno continua con la propria vita. Un matrimonio finto e solo di nome. Se tuo padre avesse voluto trovarmi un vero marito, avrebbe dovuto essere più specifico. Non l'ha fatto, dunque... Ci sposiamo, dividiamo i suoi soldi e facciamo quello che vogliamo.»

Lo fissai in agitazione, attenendo la sua reazione.

Gli occhi di Jackson si aprirono lentamente e il suo volto si afflosciò. Dal suo silenzio, capii subito quale sarebbe stata la sua risposta.

No.

Mi rivolse uno sguardo pieno di tristezza e io mi allontanai, sentendomi una stupida. Come avevo anche solo pensato che fosse un buon piano?

«Mi dispiace, Bea...» disse, consapevole di avermi delusa. «Non posso.»

Mi sedetti a terra. «Non puoi, o non vuoi

Si strinse nelle spalle. «Che differenza fa?»

Per me ne faceva molta.

Trovai la forza per alzarmi, ma non ancora per andarmene.

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