Capitolo 14: 𝒊𝒍 𝒓𝒊𝒔𝒗𝒆𝒈𝒍𝒊𝒐.

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Scattai in piedi, improvvisamente piena di energia. «Dov'è?»

«Nella sua stanza, se fai in fretta dovresti riuscire a sentire il dottore quando esce» suggerì Lucky.

Senza ringraziarlo per le informazioni che avevo ricevuto, mi avviai verso la casa. Per un momento pensai di mettermi a correre, ma non trovai la forza per farlo. Cameron e Lucky mi raggiunsero in pochi passi e iniziarono a camminare vicino a me.

Arrivati all'entrata della villa, Lucky si fece avanti per aprirmi la porta. «Prego» disse con sarcasmo, rinfacciandomi che si stava comportando gentilmente con me.

Ma Cameron si fece avanti, entrando prima di me e i due fratelli si rivolsero un'occhiata gelida. Li fissai disgustata dal loro atteggiamento.

Salii le scale di fretta, troppo impaziente per aspettare l'ascensore. Nel corridoio davanti alla stanza di Ginevra, trovai raccolti tutti i ragazzi che abitavano quella casa, Hope compresa. La notizia doveva essersi diffusa velocemente e la loro presenza era la prova che tutti tenessero a Ginevra tanto quanto me.

«Buongiorno» disse Filippo ad alta voce.

Ignorai gli occhi dei presenti fissi su di me e raggiunsi Jackson, fermandomi vicino a lui. «Si è davvero svegliata?» gli chiesi.

Jackson aveva lo sguardo stanco di una persona che non ha chiuso occhio per tutta la notte. Osservandolo meglio, notai che si muoveva con agitazione. Annuì. «Il dottore è entrato da poco.»

Immaginai che si trattasse del medico di famiglia, un uomo neomida sulla cinquantina che ci aveva seguiti fin da bambini. Se fosse arrivata l'ambulanza o qualcun altro, lo avrei notato dal parcheggio, dove avevo individuato solo un'auto sconosciuta.

La mia attenzione si spostò per lo spazio che ci circondava. Con fastidio, mi accorsi che avevo ancora gli sguardi di tutti puntati addosso. Tornai, quindi, a concentrarmi su Jackson. «Secondo te ci fanno entrare per vederla?»

«Spero di sì.» I suoi occhi scuri erano puntati sulla porta di Ginevra e io capii che desiderava entrare tanto quanto me. Poi, il suo sguardo si spostò su di me e le sue sopracciglia si alzarono. «Come cazzo ti sei vestita?»

Abbassai il mento per osservare il mio corpo, ricordandomi solo in quel momento cosa avessi addosso. Di nuovo, mi ritrovai a incrociare le braccia al petto.

«Ho dormito da mia madre e ho preso la prima cosa che ho trovato nel suo cassetto. Non ho fatto in tempo a cambiarmi.»

Scosse la testa con disapprovazione. «A volte sei proprio scema, lasciatelo dire.»

«Non accetto critiche di moda da te. Tuta verde vomito, devo dire altro?»

Jackson alzò gli occhi al cielo, ma non mi sfuggii il suo sorriso. Senza guardarmi, si tolse la maglietta e me la porse. «To'.»

«Cosa ci devo fare?»

«Mettitela, cretina.»

Rimasi stupita dal fatto che mi stesse concedendo di indossare uno dei suoi capi. Di solito faceva un sacco di storie, spaventato che io potessi decidere di appropriarmi per sempre della sua roba. Forse, se mi avesse prestato la sua felpa della NASA ci avrei potuto fare un pensiero e rubarla.

«Tranquillo» mi affrettai a dire, rifiutandola. «Non c'è bisogno.»

«Non rompermi le palle» insistette. Poi, a voce più bassa, aggiunse: «Mi fa schifo come ti stanno guardando.»

Mi costrinsi a non alzare lo sguardo. «Grazie» dissi, sorpresa da quel gesto premuroso. Era raro vederlo comportarsi in modo protettivo. Mi fece sentire amata e, mentre indossavo la sua maglietta, sentii il mio cuore rilassarsi.

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