Capitolo 17: 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒐 𝒎𝒐𝒍𝒕𝒐 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓𝒆𝒔𝒔𝒂𝒏𝒕𝒆 (𝒆 𝒐𝒓𝒊𝒈𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆).

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Un giorno, quell'uomo non sarebbe più riuscito ad avere alcun controllo sulla mia vita. Un giorno, sarei stata in grado di rispondergli con coraggio e il mio silenzio sarebbe stato inesistente.

Un giorno che non vedo l'ora arrivasse.

Invece, per quel momento, strinsi le labbra, annuendo e accettando l'ennesima catena che stava girando intorno al mio collo. Finii in fretta di fare colazione e mi sbrigai a uscire da quella casa. Chiara non mi sembrò contenta della nuova decisione presa, ma scherzò dicendo che almeno ora non era più costretta a farmi da autista.

Sbattei la porta di casa alle mie spalle. Cameron mi stava aspettando davanti alla sua auto grigio scuro, la testa rivolta verso il telefono che aveva in mano. Alzò il mento solo quando mi sentì arrivare. Mi aprì la portiera e io entrai senza ringraziarlo, trovando quel gesto antiquato e inutile.

«Prego» disse con tono acido.

Strinsi i pugni, pronta a rispondergli in malo modo appena avesse aperto di nuovo bocca. Fortunatamente, Cameron non disse niente per tutto il viaggio.

Le lezioni della Katheìo si tenevano in una vecchia cascina poco fuori Milano. L'edificio era stato modernizzato e reso simile a una scuola, con numerose aule a disposizione e un piccolo cortile interno.

Secondo gli insegnamenti neomida, Katheìo significa "scuola pura". I nati neomida iniziavano a frequentarla a dieci anni. Poi, ai quindici si smetteva di partecipare alle lezioni e si diventava animatori, il cui compito era organizzare giochi per i più piccoli (dai sei ai dieci anni) che dovevano essere introdotti alla dottrina. Dopo quell'anno, avrei finalmente smesso di dover andare in quel posto.

Cameron parcheggiò davanti alla scuola. Intorno a noi, quasi tutti i posti erano occupati da altre auto, riconobbi in lontananza quella della mia amica.

Sospirai e feci per uscire.

«Divertiti» disse Cameron, lo sguardo puntato nel vuoto davanti a lui.

La goccia che fece traboccare il vaso contenete la mia rabbia.

Rinchiusi la porta con un tonfo. «Sai una cosa, Cameron?»

Lo fissai con sguardo truce e lui ricambiò con occhi confusi.

«Vaffanculo. A te e a tutta la tua famiglia di merda.» Lui aprì la bocca, ma io non avevo ancora finito di parlare. «Oh, puoi anche smetterla di fingere che ti importi di me e le tue parole gentili puoi ficcartele su per il culo.»

Serrò le labbra, studiandomi sorpreso e ferito dalla mia reazione.

«Lo so che l'unica cosa che volete da me sono i soldi di vostro padre. A nessuno di voi è mai importato un cazzo di me!»

Abbassò lo sguardo, stringendo le mani sul volante. «Non è vero.»

«Ah, no?» Risi. «Oh, Cameron. Mi credi così stupida da non saper fare due più due? Tuo padre mi ha detto che ha cambiato il testamento e guarda caso dopo che l'ha fatto, tu e i tuoi fratelli avete iniziato a trattarmi come un essere umano.»

«Ti sbagli» insistette.

«Io valgono solo i soldi che vostro padre ha deciso di lasciarmi.»

Cameron colpì con violenza il volante e io mi zittì. Il suo sguardo era tagliente e duro come raramente lo avevo visto. «Non voglio i suoi soldi, né la sua posizione» dichiarò. «Non mi importa quello che pensano i miei fratelli.»

Si mise la mani nei capelli, il suo volto sempre più turbato dalla conversazione che stavamo avendo.

«Non puoi scegliere uno di loro» continuò. «Non voglio che scelga uno di loro.»

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