Capitolo 26: 𝒈𝒂𝒕𝒕𝒊 𝒔𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒄𝒐𝒅𝒂 𝒆 𝒇𝒊𝒅𝒂𝒏𝒛𝒂𝒕𝒆 𝒑𝒂𝒛𝒛𝒆.

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Agitata e seduta al tavolo del bar in cui dovevo incontrare Jackson, stavo permettendo al panico di avere la meglio.

Quella mattina, Filippo era passato dalla mia stanza per avvisarmi che Jackson mi avrebbe raggiunto direttamente al posto che avevo scelto per il nostro appuntamento, invece di accompagnarmi come prestabilito. Qui subentrava Filippo, che mi avrebbe dato un passaggio in auto. Filippo mi aveva assicurato, citando le parole usate da Jackson, che si sarebbe presentato in perfetto orario.

L'ennesima bugia.

Erano passati venti minuti dalle due, orario in cui avevamo detto di incontrarci. L'ansia mi aveva costretta ad arrivare in anticipo e ciò significava che ero seduta lì da almeno mezz'ora.

Il bar che avevo scelto era particolare. Si trovava nella zona intorno alla Stazione Centrale di Milano e la sua peculiarità era la presenza di gatti. Osservai il gatto bianco che stava dormendo nella sedia vicino alla mia. Il bar ne era pieno, con attrezzi e mobili speciali costruiti solo per quelle creature bellissime. Rilessi il cartello che ammoniva i clienti di non disturbare i gatti e scacciai il desiderio di affondare la mano in quel pelo bianco.

Ero già al mio secondo caffè, ma stavo iniziando a temere che le cameriere mi avrebbero presto scacciata. Le occhiate che mi rivolgevano erano già più che esplicative.

Prima di arrivare al bar, avevo chiesto a Filippo se sapesse cosa aveva spinto Jackson a cambiare i programmi. Mi disse solo che suo fratello era uscito la mattina presto per vedere qualcuno.

Spostai il mio sguardo sulla strada oltre le finestre vicino alle quali mi ero seduta. A quell'ora non c'era molta gente in giro, probabilmente perché ci trovavamo in una strada non molto frequentata. Al contrario, dentro al bar ogni tavolo era stato occupato. Ad essere attirati da quel posto erano soprattutto giovani che ammiravano con entusiasmo i gatti muoversi liberamente. La maggior parte dei felini, però, passava il suo tempo a dormire e solo uno di essi, quello più egocentrico, andava in giro alla ricerca di attenzioni e coccole.

Quando venne verso di me, lo fissai con amore. Il suo pelo era nero, tagliato corto e senza macchie. I suoi occhi gialli catturarono i miei, impedendomi di concentrarmi sulla sua coda. L'avevo vista solo di sfuggita, ma ero certa che fosse stata mozzata. Scoprii la sua storia per caso, origliando la conversazione tra una delle cameriere e due ragazze curiose. Da piccolo, il gatto nero era stato picchiato e aveva perso la coda. Mi sentii in colpa come se a dargli il colpo fossi stata io e mi chiesi con che coraggio qualcuno potesse compiere un tale gesto.

Nonostante Jackson fosse in ritardo, non ebbi la forza di alzarmi e andarmene. Rimasi ferma a sorseggiare il tè che avevo ordinato (tre caffè mi sembrarono troppi) e tenni il mio sguardo fuori dalla finestra, sperando che Jackson comparisse.

Fui distratta solo dal rumore di una notifica. Presi il telefono e con fretta lessi il messaggio che Jackson mi aveva mandato. «Mi dispiace» aveva scritto. «Ho combinato un casino.»

Non ebbi tempo di rispondere. Anche se lo avessi avuto, non credo che avrei scritto niente. La delusione era troppo intensa e io volevo solo dimenticarmi di lui.

Osservando la nostra chat, vidi che Jackson stava scrivendo qualcos'altro. «Martina lo sa.»

Sgranai gli occhi.

La sua ragazza sapeva del matrimonio e degli appuntamenti. La stessa ragazza che Jackson definiva pazza e gelosa. Imprecai sottovoce, immaginandomi già gli scenari peggiori.

Ebbi appena qualche minuto per cercare di trovare una soluzione a quel nuovo problema, poi il mio telefono squillò. «Pronto?»

«Voltati» ordinò una voce femminile.

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