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Pensavo che le ore notturne, immersa nel sonno, mi avrebbero ricaricata. O mi avrebbero semplicemente abbracciata, ogni notte. Ma non sentivo il loro tocco. La loro ninna nanna. Mi rigiravo nel letto di continuo, come una forsennata. Tiravo su le coperte, le abbassavo, le spostavo. Scalciavo, infastidita, o sbuffavo, allo stremo. Invidiavo il respiro assonnato di Thomas, rilassante e irritante allo stesso tempo. Anche io volevo averlo. Anche io volevo cadere in un altro mondo, dimenticandomi di questo. Ma il pensiero di poter rivedere i miei genitori, vivi, mi allontanava sempre di più dai sogni. Solo provando a ricordare i loro visi offuscati il mio cuore pulsava come un forsennato, pompando più sangue del dovuto. Le mie palpebre rispondevano a questo iperattivismo stando ben aperte e le pupille vagavano nel soffitto coperto dal buio. Sono riuscita a dormire per poche ore e per molte sono rimasta sveglia, a contorcermi tra le lenzuola. Mi meravigliavo del fatto che Thomas non si fosse alzato e non mi avesse lanciato una scarpa. Era davvero in un altro mondo. Adesso non saprei dire dove si trovi. Quando sono scoccate le 05:45 del mattino, sono sgusciata fuori dal letto e mi sono catapultata in bagno. Non potevo rimanere ancora lì. Il mio corpo tremava: doveva muoversi. L'agitazione pizzicava ogni nervo e le aspettative di come potrebbe andare questa giornata vorticavano intorno alla testa. Dovevo placare tutto queste sensazioni mai provate prima, che mi schiacciavano.

Dopo aver controllato di aver chiuso la porta, apro il rubinetto della vasca e finalmente l'infrangersi dell'acqua riempie le mie orecchie. Non riuscivo più a stare dietro a quelle voci. Era da un pezzo che non le sentivo. Strida, urla, sussurri piangenti. Erano gli ultimi sospiri di qualcuno che stava per abbandonare questa vita. Inizio a spogliarmi, rabbrividendo per la gelida aria mattutina. I capelli solleticano la mia pelle candida. Bramando di sentire le mani calde dell'acqua sfiorarmi, entro dentro la vasca, sdraiandomi lentamente. I muscoli sono tesi, ma non aspettano molto a rilassarsi. Il mio cervello sprizza gioia da ogni poro mentre le palpebre pesanti si chiudono. Sorrido, rilassata da quella sensazione. Per la fretta, mi sono persino scordata di fare la schiuma. Sono l'unica a essere sveglia: non ho sentito nessuno alzarsi. È normale, nessuno si sveglia a quest'ora, specialmente se è domenica. Da quando sono fuggita dal Disease i giorni sono volati. Passavano davanti ai miei occhi, troppo frettolosi per gustarmeli. E ne sono successe di cose, nel mentre. Un evento dietro l'altro che mi afferrava e mi sballottolava, insistente. Ma, ora, l'unico pensiero che ho sono i miei genitori. La speranza di poterli vedere. Il desiderio di poterli toccare, abbracciare. La gioia di sentire la loro voce, felice e gioiosa, non terrorizzata.

Vorrei ricordare il momento che li rivedrò. Non quello in cui li ho persi.

Quando penso a loro, mi appare automaticamente anche l'immagine di Lucy. Dei suoi capelli dorati e del suo ultimo bisbiglio. Non posso controllarle, tutte queste scene, e ogni volta che arrivano, mi trafiggono come vere frecce. Armi che vengono sguainate per recidere ogni mio centimetro di pelle. Ricordi di una vita lontana. Sfumati. Mi vergogno del fatto che non riesco a ricordare per bene i lineamenti della mia famiglia, di coloro che mi hanno cresciuta e amata. Ma presto rimedierò questo mio errore. Li rivedrò e mi gusterò ogni loro centimetro. Ogni loro caratteristica. Tutto. non li lascerò andare. Non di nuovo.

Thomas è rimasto taciturno riguardo al suo piano. Ieri sera, a cena, non ha accennato a nulla. Silenzioso, col capo chino, che masticava e qualche volta annuiva o diceva piccole e brevi parole. Un lieve fruscio che ho scelto di seguire. Avrei fatto la stessa cosa anche senza di lui, dal momento che gli altri parlavano di affari a me più che sconosciuti. Non mi impegnavo neanche ad ascoltarli o a guardarli. Ero concentrata sui miei pensieri e nessuno ha fatto domande. Oliver è uscito prima della cena e, come avevo ben intuito, doveva solo parlare con Robert. Quest'ultimo è rimasto sorpreso da ciò che ho fatto per poter uscire e anche un po' soddisfatto. E questo fatto mi ha sollevata. Non sapevo neanche cosa dire oltre a un timido e felice "grazie". Anche io ero soddisfatta di me stessa, del fatto che ho compiuto un azione buona e utile con le mie capacità ancora da scoprire. Al manicomio non avevo tutta questa libertà. Ero abbastanza intelligente da capire, anche agli inizi, che se avessi urlato a tutti della mia natura e se avessi fatto qualche rappresentazione di questa mi sarei trovata solo in guai più che seri. Sicuramente non mi avrebbero accudito meglio. Sono andata in contro a molte bugie che mi hanno legata senza difficoltà. La mia vita è fatta di misteri e non riesco a risolverli tutti per intero. Ma, più vado avanti, più mi sento vicina a riuscirci. Mi sto impadronendo di pezzi fondamentali e riesco a intravedere i buchi dove poterli mettere.

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