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Una settimana. Una settimana rinchiusa in questa gabbia, ma non sto parlando della mia camera. Oh, no...magari.
Mi hanno portata di sotto, per grande gioia di Rose.
Nei sotterranei.
Sapevo di questo piano ma mai avrei pensato di andarci e rimanerci per una dannata settimana. La notizia della mia fuga è arrivata a tutti, persino a Daisy e Cami. Non le ho più riviste, non so neanche se vogliono vedermi. E poi non hanno il permesso di scendere, solo i dottori più esperti e le guardie piu pronte ad eventuali circostanze possono stare qui.
Le voci che giravano erano verissime, se non troppo realistiche.
È un vero e proprio inferno. Una puzza così non l'ho mai sentita prima d'ora: è come se fosse una camera a gas. È orribile. Infatti, gli agenti e i "Bianchi" indossano sempre una mascherina.
Le altre condizioni possiamo anche non parlarne. Nella mia cella per fortuna non ci sono, ma nelle altre vedevo che giravano centinaia di topi. Alcuni vivi, altri morti. C'è molto muschio e dovunque è bagnato perché alcune tubature sono rotte.
Questo hanno detto.
Questo ci dicono tutti i giorni.
La puzza, l'acqua e il sangue che si intravede ogni giorno sono segni che dimostrano tutto il contrario di quello che ci rivelano.
Qui dentro ci fanno gli esperimenti. Esperimenti su di noi, come quelli che stavano per fare a Thomas.
Non avevo mai pensato di dirlo, ma sono contenta di averlo salvato.
Però non mi fa così schifo questa puzza e questo disordine, come dovrebbe. Non mi fanno paura i topi.
No.
Un'altra cosa mi mette i brividi.
Ogni giorno degli infermieri scendono e prendono un prigioniero. Tutti i giorni, uno alla volta.
Perché? Questa è la domanda di cui ho una possibile risposta.
Per analizzarli.
Per ucciderli con le loro mille iniezioni letali.
E Dio, se vorrei morire ora.
Non riesco persino a dormire, per paura di svegliarmi in una stanza con centinaia di siringhe, sopra ad un lettino bianco con una lampadina davanti agli occhi.
Sto sempre attenta, ma la stanchezza si fa sentire. Non ci sono specchi, ovviamente, ma riesco a percepire le pesanti borse nere e rosse sotto gli occhi.
Oggi è il primo giorno della seconda settimana e mi manca la mia camera. Non era una delle migliori, sicuramente ce ne erano di più belle, ma ci voglio andare. Almeno lì non vivo con la costante paura di essere presa ed esaminata. Non ho più disegnato e neanche letto. Non ci fanno fare niente, neanche canticchiare. L'ultimo che lo ha fatto l'hanno preso e non si è più rivisto.
Questo non è un manicomio, sembra più il campo di concentramento di Auschwitz. Ci manca solo la vestaglia righe e sarebbe perfetto.
Le due guardie sedute di fronte alla mia cella stanno dormendo. Russando.
Alzo gli occhi al cielo, alzandomi per sgranchirmi un po' le gambe.

- Come ti chiami? -

Mi giro di scatto verso la voce, impaurita. Oh, è solo un signore troppo magro. E pensare che il cibo è l'unica cosa decente che ci danno.

- Crystal...- rispondo.

È appoggiato alle sbarre arrugginite che collegano la mia gabbia con la sua. Mi guarda. Gli occhi sono talmente argentei da sembrare neve, simili a quelli degli albini. La sua pelle è chiara ed è magrissimo. Si vede la sua spina dorsale nei minimi dettagli, come la cassa toracica. Scommetto che è un po' sdentato.

- Bel nome. Sai cosa significa? - mi domanda.

- Ehm...immagino cristallo...- rispondo indecisa.

- Si. Sai, anche mia nipote si chiamava come te. E, in effetti, non era come il cristallo, era più fragile. Significa, dal greco, anche ghiaccio e lei lo era. Esteticamente, intendo. Era fredda e bianca. - racconta, scrutandomi. - Immagino che anche tu sarai così. Gli assomigli. È morta qui dentro. So della tua fuga...-

- Oh, mi dispiace -, non sono sorpresa che lui sappia della mia evasione.

- Tranquilla. Qui è normale morire, ci vuole un miracolo se si vuole uscire. Tu sei stata molto coraggiosa. Stupida, ma coraggiosa - mi dice.

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