8.

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Sono passati due giorni. Due dannati giorni. E io che volevo scappare direttamente il giorno prima. Daisy in queste ventiquattro ore mi è stata sempre vicino, non si è quasi mai allontanata. E non so se esserne gratificata o meno. È come se fossi il suo scudo, cosa al quanto strana visto che sono tutto tranne che quello. Questi giorni parlo più spesso e, cosa più importante, sorrido più spesso. Quella ragazza mi ha fatta ritornare al passato. Mi sento...diversa.
Thomas invece è quello di sempre. Non mi parla ma continua a lanciarmi gli stessi sguardi di sempre. Il solito, come se quello dell'altra mattina non fosse niente, che già sia svanito nei ricordi di tutti.
Ma vedo che non è vero.
Lei è più preoccupata per il fratello, più del solito, lo tiene d'occhio sempre. Mentre lui, lui ha paura. Non lo da a vedere, ma ha paura. Poi ho notato una cosa che gli altri due non ci hanno fatto caso. I dottori e i loro sguardi. Lanciano occhiate furiose al ragazzo che cammina tranquillamente per i corridoi, piazzali e le sale.
Ma niente in confronto a quelli che tirano a me. Che cosa avrà detto Cami? Ho fatto bene a dirle quasi tutto? A farmi aiutare da lei?

Il pensiero di scappare, però, non ha abbandonato i miei pensieri. Di uscire.
E, proprio in questo momento, a mezzanotte, quando le guardie si danno il cambio, mi sto dirigendo dalla mia prenda.
La dottoressa Sarah.
È lei la mia vittima.
Il suo studio è illuminato da una fievole luce calda, dove si intravede anche qualche foglio sparpagliato qua e là. La vedo: è tranquilla, seduta nella sua poltrona girevole rivestita di pelle scura, con gli occhiali appoggiati sul ponte del naso e lo sguardo attento che percorre tutto il foglio che tiene in mano. Non sembra un medico severo, secco, invece, qui ed ora, sembra tutt'altro.
Respiro profondamente, stringendo il lungo chiodo nella mano destra. Sono pronta. Ho già ucciso, no? Mi sento un'idiota, una stupida idiota. Facendo invidia ad un fulmine, mi catapulto all'interno e, con lo sguardo cupo, affondo l'arma nel collo della donna. Dal buco formatosi, un ruzzolone di sangue cola lungo la gola, andando a sporcare la mia mano. Ho le mani sporche di quel liquido viscoso rosso. Mi iniziano a tremare. Mi dispiace per lei, non aveva nessuna colpa, ma mi serviva. Ancora con qualche secondo di vita, mi guarda. Gli ricambio lo sguardo.

- Mi dispiace - gli sussurro e le sorrido, con gli occhi lucidi.

Con gli ultimi attimi di vita, mi sorride. Spalanco gli occhi. Glielo ricambio.
Era l'unica persona che sapeva di Thomas - a parte Cami - e io non potevo permettere che lo dicesse a qualcuno. Ma era innocente.
Perfetto, ora il ragazzo mi deve ben tre, di favori.
Non ha neanche fatto in tempo a chiudere le palpebre. I miei polpastrelli le sfiorano, chiudendole. Gli tolgo il camice, poco macchiato dal sangue e me lo metto sottobraccio. La stendo a terra, gli prendo le caviglie e, prima di scoppiare, la trascino in camera mia.
Mezzanotte e mezza.
Dopo aver fermato l'emorragia nascondo il corpo sotto il letto. Metto il camice.

Urla. Mi scoppia la testa. Sento urli di persone che stanno per morire, che guardano in faccia la morte. O sono già decedute. Prendo la testa fra le mani, stringendola.
Sangue.
Camici bianchi.
Sono zuppa di sudore e i miei capelli biondi fragola sono appiccicati sul viso.

Premo immediatamente la testa. Che male! Non proprio ora.
Perché questa volta ho visto del sangue?
E dei camici bianchi, come i dottori?
Perché ho visto delle cose? Di solito non vedo, ma sento solo. Mi sono persino vista: tutta sudata e i capelli appiccicati ovunque.
Che cosa significa? Non promette nulla di buono.
E se qualcosa va male?
No, no e no, non devi pensare queste cose, ormai è fatta.

La camera è un casino. Quando mi sono svegliata c'erano schegge a terra, la sedia distrutta e una finestra crepata. Ho urlato e non me ne sono neanche resa conto. Guardo la donna sotto il letto e una dopo l'altra le lacrime scendono.
In fretta e furia abbottono l'indumento. Okay, sono pronta.
Allungo una manica, per coprire la mano con il chiodo, mi asciugo le guance ed esco.
Sto sudando freddo.
Per ora alcuni infermieri non hanno fatto caso a me, solo alcuni mi hanno squadrata ma hanno lascito stare. Stringo di più l'arma. Mi dirigo in un lungo buio, vuoto.
Il corridoio che collega le camere alla sala. Come calcolato, le luci sono ancora rotte.
Ma - proprio quello di cui avevo paura - una guardia è di fronte a me.
L'allarme suona.
I rumori di passi si propaga per il primo piano. Le voci che ordinano comandi.
Cavolo.

La mano dell'agente si dirige verso il taser dentro alla sua fodera. Il mio sguardo, attento e arrabbiato, saetta su di lui. Proprio nel momento in cui lo tira fuori le mie mani si posizionano davanti alle spalle e dalla mia bocca fuoriesce un urlo sovrannaturale, acuto. Gli do una forma: una specie di scudo, quasi invisibile, talmente potente da far ondeggiare all'indietro i miei capelli. Il grido viene spinto dalle braccia verso l'uomo, il quale vola all'indietro sbattendo la schiena al muro. Dalla fronte scorre una scia di sangue che continua il suo cammino, scorrendo su una delle sue palpebre.
Che sia morto?
Come prima volta non è andata male, vedo. Riprendendomi dallo stato di meraviglia, corro subito verso l'uscita, ma degli spari elettrici mi bloccano. Una pistola elettrica, eh?
Sono andati a vuoto, per fortuna.

- Fermati! - urla un uomo.

Non posso.
Mi giro e, seguendo le stesse azioni di prima, l'agente viene scaraventato via. Il suo compagno spara ma schivo il colpo. Correndo mi avvicino e gli sbatto il palmo aperto sul petto, urlando.
Torno indietro e ricomincio a correre. Non ci voleva. Hanno chiuso tutte le porte!
Okay, puoi farcela Crystal, puoi farcela. Prendo delle grandi quantità d'aria, inspiro, espiro, inspiro, espiro. Devo avere molto ossigeno per farlo.
Urlo, urlo più forte che posso, cercando di scalfire l'alluminio. Con mio grande piacere, inizia a danneggiarsi e piano, piano si forma un buco abbastanza grande da farmici passare in mezzo. Mi fermo. Senza guardarmi indietro, esco fuori e prendo grandi boccate di libertà.

Ancora qualche passo e sei libera, Crystal.

Corro verso il cancello e, agilmente, lo scavalco. Non mi sono ferita...non mi sono neanche presa la scossa...perfetto! Strano ma vero.

- Fermati 824! - urlano.

824, il nome che mi hanno assegnato. Un insulso numero. Hanno cambiato anche quello, quei matti.
E saremo noi quelli malati di mente, qui dentro?
Con l'adrenalina che scorre nelle vene alla velocità della luce, ricomincio a scappare. Non voglio rimanere un minuto di più lì dentro. Neanche vederlo.
Poi però un pensiero si fa strada nel cervello. Daisy...Cami.
Cosa penseranno di me? Diranno che sono stata stupida?
Saranno dispiaciute?
Saranno...deluse?
Saranno arrabbiate con me?
Ovviamente.
Mentre pensavo non mi sono resa conto di aver rallentato. Ed è stata una mossa azzardata. Azzardatissima. Infatti, mi hanno quasi raggiunta. Giro la testa, per guardarmi indietro e verificare quanti sono e quanto sono lontani. Azione stupida.
Quando rigiro la testa, sento un dolore atroce alla tempia.
Cado in ginocchio, premendola. Mi sta pulsando. Cerco di rialzarmi, ma mi hanno immobilizzata. Sento qualcosa premuto sulla schiena. Saranno due piedi. E poi arrivare qualcosa di più doloroso.
Quella scarica elettrica che percorre tutti i filamenti della schiena mi fa urlare. E quell'urlo ha segnato la fine di tre finestre nelle vicinanze. E forse ha aumentato la curiosità degli agenti e dei dottori che mi urlano di stare ferma.
E io lo sono già da un pezzo, a guardare il cielo oscuro. Da lontano si intravede la fievole luce del sole che sta per nascere.
Per colpa di quei pensieri sono stata presa.
Se io non avessi pensato a loro, a cosa pensavano di me quando sarei scappata, non mi avrebbero presa.
Ecco perché non mi dovevo affezionare. Per questo. Per paura che questo accadesse.
Sapevo che mi sarei distratta.
D'ora in poi non penserò più a niente, non penserò più a nessuno.
Penserò solo per me stessa, perché qui, nella vita reale, nella mia, di vita reale, si sopravvive così: agendo solo per se stessi.
Non mi affezionerò più. Ci proverò, almeno.
Chiuderò il mio cuore. Di nuovo.
Vivere così è una vera tortura.
Intanto le mie lacrime solcano il viso, arrivando fino al collo.
Il mio piano non ha funzionato.
Avevo già pensato a cosa avrei fatto fuori di qui: scoprire chi è quell'uomo che ha ucciso i miei genitori, porre fine alla sua vita e viaggiato per il mondo. Ma non potrò mai più farlo.

- Mi dispiace. Scusatemi...s-scusa Lucy...scusa. Ci ho provato. Ho...h-ho provato a r-resistere. Ma non ce l'ho fatta. - sussurro, in preda ai singhiozzi. - Ho paura - finisco.

Qualcosa nella mia testa scatta. È come se percepissi un movimento delle labbra. Una persona che cerca di parlare, ma che non emette rumore. Capisco, però, cosa ha appena detto.

Ci riuscirai. Non avere paura.
Sono con te.

Lucy.

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