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Varchiamo il cancello sotto gli occhi delle guardie. Il cortile è ormai vuoto e il buio sta per coprire la città. E io non ho per niente voglia di cenare, ma devo, perché Daisy mi sta trascinando proprio lì. Sta iniziando ad entrare nelle mie grazie questa vivace ragazza.

- Una domanda. Quanti anni hai? - gli domanda e lei mi guarda in modo incredulo, come per dire "ancora non l'hai capito?!". Faccio spallucce.

- Quasi sedici - risponde. Allora avevo ragione.

Entriamo e le espressioni sbigottite non tardano ad arrivare. La ragazza mi da una gomitata e mi guarda, credo sia un gesto di incoraggiamento. Da quando me lo fanno? Prendo il cibo e mi siedo al mio tavolo, da sola. Oh no, non è vero. Sempre con la bionda attaccata.

- Ti do fastidio? Se vuoi me ne vado...-

- No, puoi restare. È che...non sono abituata a questo, Daisy. Otto anni senza un amico...sai....- dico. Lei mi guarda e sorride, sedendosi e iniziando a mangiare.

Guardo oltre alle sue spalle e noto il fratello fissarmi in cagnesco.
Lo so che vuoi proteggerla da me, ma guardami, ho una pistola?
Gli ricambio lo sguardo e lui, sempre con quel muso, si gira. Idiota.

- Penso che a mio fratello non stai molto simpatica - parla la sorella.

Sposto subito l'attenzione su di lei, presa alla sprovvista. La guardo, infatti, con il pane in bocca. Sembro un maiale che si azzuffa di schifoso cibo, ma non mangio da un po', quindi. Lei in tutta risposta sghignazza. Faccio un cenno di consenso con la testa e ritorno a mangiare.
Mi sto lasciando distrarre troppo in fretta e non è il momento, per niente. Questi ultimi giorni ho pensato molto al piano e so quello che devo fare. O almeno, lo spero. E spero anche che la mia autostima non cedi ora, anche perché sono leggermente "fuori allenamento" con gli urli. Prego che vada tutto bene.
Non mi devo affezionare.
La fisso. È strana, vivace e troppo innocente per essere mia amica. O una mia conoscente.
Ma è di questo piano?

- Di che piano sei? - domando curiosa.

- Non di questo - risponde semplicemente.

Grazie al cazzo.
Gli sorrido.
Lei ha già finito di mangiare, il suo vassoio è vuoto. Mangia in fretta la ragazza.

- I vostri genitori? - domando di punto in bianco. Mannaggia alla mi lingua. Però non ritiro la domanda e la guardo. La sua espressione spensierata scompare, rimpiazzata con una triste.

- Sono...morti. Odiavano mio fratello, a morte - risponde.

Ora guarda il vassoio. Vuole andare avanti ma la paura di rivivere quei ricordi che riaffiorano la blocca. Quanto la capisco.

- Lui è...a-andato via, ad un certo punto, stanco di loro. Non si sforzarono neanche di chiamarlo. Io però rimasi con l-loro. E...e Dio, se è stato orribile. - , una pausa. Non la fermo. - T-Thomas mi voleva e mi vuole molto bene e mio padre lo sapeva. Mi picchiava. Ho ancora alcuni segni sul corpo. Mia madre mi insultava. Mi picchiava a modo suo, con le parole. Credo...che lo abbiano fatto per vendetta. È-È stato...o-orribile -

Okay, dopo mi vado a tagliare la lingua. Non mi va neanche più il pane. Ha gli occhi lucidi e continua a guardare in basso. Mi dispiace.

- Perché sono morti? -

- Non lo so. Non ce l'hanno mai detto, nessuno. Sono deceduti quando eravamo già qui dentro. E poi, penso che neanche la polizia sia a conoscenza della vera causa - risponde.

- Mi dispiace, davvero. So cosa significa perdere la tua famiglia, anche se io avrei festeggiato se ero in te -, e sorrido, seguita a ruota da lei.

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