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La testa del vecchio fa capolino dietro a una porta, guardandomi. Gli sorrido e ad un tratto ricordo il motivo per cui sono uscita senza dire niente a nessuno.

– Robert...- inizio, ma lui mi blocca all'istante.

– Tranquilla cara è tutto risolto ormai. Sai, Paige si doveva sfogare, ce lo saremo aspettati tutti prima o poi e avrebbe preso di mira qualcuno, che in questo caso sei stata tu. - mi parla, avvicinandosi. - Penso che anche per te sarà stato difficile, no? - domanda.

– Certo. Volevo solo dire che se sono un peso, me ne andrò. Non siete obbligati – dico sicura.

– Siamo obbligati eccome, non ti lasceremo in mezzo alla strada, a meno che non lo voglia tu – sorride, cordiale. - In casa ci sono solo io per il momento, sentiti libera di gironzolare -, si gira per tornare in cucina. – Scusa ma Thomas non è tornato con te? L'ho mandato a cercarti – chiede e non posso far a meno di sghignazzare.

– Ha voluto rimanere in città per un altro po' di tempo – rispondo. Quando Robert entra in cucina io so già dove andare: in quella biblioteca privata. Salgo le scale e vado al secondo piano, ricordando quale sia la porta. Giro la maniglia d'oro e il buio accoglie i miei occhi. Tasto la parete accanto, alla ricerca di un interruttore e quando lo trovo premo tutti i tasti. Una dopo l'altra si accendono le lampade mostrando ai miei occhi quell'enorme meraviglia, che viene puntualmente rovinata. E il mio primo pensiero? Quello di scappare. È arrivato Thomas e se mi trova...non oso pensare a cosa mi farà. La mia espressione cambia radicalmente e, spaventata, cerco un riparo. Compio due passi e la porta si apre, rivelando la sua imponente figura. Chiude con un tonfo la porta alle sue spalle e marcia verso di me, mentre io percorro mezza stanza indietreggiando. Non si ferma, non rallenta nemmeno, finché non tocco il muro freddo. Vedendomi bloccata rallenta il passo e scommetto che dentro di se sta gioendo.

– Sei andata via...- sussurra a pochi centimetri dalla mia faccia. - Sei andata...via..-, ora è a un centimetro.

È un attimo, quasi invisibile. I suoi occhi si rabbuiano. Diventano neri, totalmente neri, tutto il bulbo oculare. E mi spaventa. Sbatte le palpebre e tutto sparisce, facendo indietreggiare Thomas. Faccio un passo, provando a fare o dire qualcosa ma le sue mani che afferrano e stringono la testa mi allarma.

– Thomas! - esclamo, correndo subito da lui. Cade a terra, sbattendo le ginocchia sul pavimento. - Jonh! - lo chiamo, ma stento a credere che mi abbia sentito. Mi metto davanti a lui, pensando a cosa fare.

– Thomas guardami, guardami. - lo chiamo, ma i muscoli si irrigidiscono e non riesce a compiere l'azione. Alla fine gli prendo il viso, lo afferro e lo stringo, obbligando i suoi occhi a essere fissi sui miei. E la scena è sbalorditiva: ha gli occhi neri, vuoti, impauriti, e sulla pelle che li circonda si intravedono delle fine vene nere, come rami. La sua espressione terrorizzata e addolorata mi spaventa, non avendolo mai visto così. Vuol dire che la faccenda è grave. I miei pollici lo accarezzano, piano.  -Shsh...Thom, controllalo. Controllalo Thomas – gli sussurro, guardandolo.

– Sei tu che lo alimenti, Crystal, lo stai alimentando tu – prova a parlare, respirando troppo velocemente. Che vuole dire ora?

– Sei tu il suo padrone. Tu lo devi comandare, anche se ci sono...io – continuo. - Ti prego Thomas, non...non pos...-, dei passi veloci che corrono verso di noi mi fanno alzare il capo e vedo Jonh, preoccupato tanto quanto me.

– Lo portiamo giù Crystal. Aiutami -, mi alzo e, mentre lui prende un braccio io prendo l'altro e insieme lo alziamo, dirigendoci al piano terra. In un batter d'occhio siamo in una delle stanze che mi hanno accolta all'inizio, quella specie di stanza ospedaliera, e lo stendiamo sul lettino bianco latte. Questo momento mi ricorda quella volta che dovevo salvarlo dai Bianchi del manicomio, nel sotterraneo. È la stessa visione, lui è come quella volta: tutto sudato, sofferente.

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