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Essere una Banshee. Molte persone non sanno che cosa siano o che ci potesse essere una creatura del genere. Chi sono? Neanche io lo sapevo, sia della loro esistenza sia il fatto di essere una di loro. Non avevo una prova concreta, prima, mi limitavo solamente ai miei incubi o ai miei stati di trance. Non sapevo che cosa fossero. Mi credevano pazza e tutt'ora alcuni lo fanno. E quindi mi sono fiondata sui libri antichi dei miei nonni.
Creature in grado di uccidere con un solo urlo, prevedono la morte e riescono a trovare il bianco nel nero. Quest'ultima parte non l'ho ancora capita. Sono passata da "Wow, sono una creatura leggendaria!" a "Sono un mostro" nel giro di tre anni. Dentro al manicomio sono cambiata, come tutti quelli che vi sono entrati d'altronde. I miei genitori lo sapevano sin dalla nascita che ero una Banshee, tenendomi nascosta da qualcuno a me sconosciuto, ma quando mi hanno portata lì dentro e loro non c'erano più, la mia felicità è scesa sotto zero. La mia felicità si è colorata di nero e si è fiondata in uno dei tanti buchi neri che compongono la mia natura. Nella loro descrizione c'era la parola "mostro". Per otto lunghi anni mi sono sentita come tale, odiata da tutti, calpestata dai superiori, con uno sguardo cupo, triste, arreso e perso, sperando l'arrivo di quel giorno nel quale finalmente ritroverò quella piccola luce che brillava un tempo. Andando avanti ho persino scoperto di essere un bottino di caccia. Il trofeo dei compagni di lavoro dei miei genitori, quei cacciatori che i miei familiari ne erano a conoscenza.
È come se il manicomio mi avesse difesa.

Ripensandoci, le Banshee sono leggende collegate alla morte, all'aldilà e all'oscurità. E queste tre non hanno mai avuto e non avranno mai a che fare con la luce.
Allora io ero sempre stata così?
Buia?
La luce che portavo dentro esisteva davvero? O era uno di quei film mentali che facevo da piccola?
Crollo ancora.
I suoi occhi nei miei mi hanno fatto capire quello che veramente sono. Qualcosa di cui la gente trema solo a sentire il nome. Quello sguardo mi ha fatto vedere la verità, la realtà che cercavo di nascondere, perché io non sono un mostro, sotto sotto non mi ritengo tale. Si, ho ucciso, ma non per divertimento, bensì per difesa. Mentre uccidevo non ridevo, non ballavo e non saltavo.
Che devo fare? Non voglio essere vista come un obbrobrio, non più. Le lacrime bagnano le guance, una dopo l'altra, giocando ad acchiapparella. Inizio a tremare sotto le sue iridi scure. Mi sento impotente, più fragile del solito, perché ha premuto un bottino che gli permette di distruggermi. Lui l'ha fatto, senza pensarci due volte. E io mi accascio a terra, ormai schiava dei suoi occhi. Vorrei solo delle braccia calde dove accoccolarmi, che capissero la mia difficoltà nel reggere ancora il vuoto che si sta espandendo in me. E lo guardo, implorando pietà. Si piega davanti a me e mi scruta, mentre i miei singhiozzi iniziano a farsi sentire.
Ho paura che mi possa fare qualcosa.

- Ti prego,...non uccidermi...non portarmi da loro - sussurro, passando la lingua a leccare il labbro inferiore.

- Loro chi? - domanda, fingendosi curioso. Ma lui sa.

- I loro assassini -, e so che lui fa parte di loro.

- Stai parlando della famiglia dei miei genitori. Come fai a sapere che sono loro a volerti morta? -

- Sei stato anche tu a dirlo, ma non ti sei reso conto forse. Non so se i tuoi centravano o meno, ma sono sicura che siano stati loro -, guardo il vuoto. - Devono essere stati loro -.

Il suo sguardo percorre ogni centimetro di me, fuori e dentro. E io mi sento davvero la sua serva, schiava di ogni sua decisione, perché ha il pieno controllo dei miei punti deboli.

- Anche io avevo il dubbio che siano stati loro ad uccidere i miei genitori, ma non si il perché e non ho delle prove concrete - parla, paralizzandomi. Alzo lo sguardo e lo fisso, rilassandomi. Sorrido, questa volta veramente. - Credo che siano stati loro a bombardare il manicomio -

Il sorriso scompare e la rabbia ritorna ad illuminare i miei occhi, come il ragazzo davanti a me. Lo hanno fatto per catturarci, ma non ci sono riusciti. E poi mi viene in mente quel giorno. I dottori, quello che avevano detto a lui e a me. E se facessero parte del gruppo?

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