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Manhattan è una di quelle città dove non ho mai messo piede. Il centro, il cuore dell'alta New York, una grande isola popolata prevalentemente da grattacieli. La vedevo nelle immagini su  Google e la accennavano su qualche libro. Non avrei mai immaginato che loro si sarebbero insediati proprio lì, in quella città piena zappa di persone, agenti federali e curiosoni. Pensavo che la loro postazione sarebbe stata in un luogo nascosto, particolare, come in una foresta o nel deserto o in mezzo alla neve. Invece no, niente di tutto questo, hanno scelto il centro economico della Grande Mela, troppo scontato per cercare lì in mezzo. La macchina si sta avvicinando a Vancouver, mentre l'aeroporto è invece alla sua sinistra.

- Perché stiamo andando a Vancouver? - domando, violando una delle tre regole. Appena sono entrata nella sua macchina stranamente nera, mi ha subito messo tre dita davanti agli occhi, dicendo:

- Se vuoi venire con me ci saranno solo tre regole: uno, quando siamo in macchina non fai domande e non parli, a meno che non te lo chieda io. Due, guai a te se ti allontani, non sprecherò parte del mio tempo a cercarti. Tre, devi fare tutto quello che ti dico. Se le violi, ti puoi scordare il viaggio. -

Ora rischio di essere lanciata fuori dalla macchina. Lo guardo subito e, grazie al cielo, non trovo nessuno sguardo arrabbiato i infastidito e quindi sospiro. Bisbiglio un scusa, anche se dubito mi abbia sentito. Rimango zitta, finché non arriviamo davanti al cartello che ci dà il benvenuto nella città. La Range Rover nera all'interno brilla per quanto è pulita, non vi è neanche un granello di polvere. I finestrini sono lucidi, privi di segni di qualche goccia, il cruscotto è limpido e di un grigio chiaro. Di solito, Cami mi diceva che i maschi tengono le loro auto sporchissime, come un porcile se non uguale per quante patatine vengono sparse a terra. La sua è l'eccezione dell'eccezione. Non so dove vuole andare e non posso neanche chiederglielo, mi caccerebbe. Non ha spicciato parola dopo avermi detto le tre regole e questo silenzio mi innervosisce. Sono una che parla, forse un po' troppo, quando mi sento in un certo senso libera e...felice. La mia lingua si sta muovendo nella bocca chiusa, come per tenerla in allenamento. Neanche la radio accesa! Appoggio la testa sul finestrino, osservando le case, le persone, i negozi passare a grande velocità davanti a me. Presumo che ci troviamo in una via abbastanza popolata, non solo dalle persone. Il veicolo rallenta, facendomi sedere dritta. Davanti a me un grande palazzo con una mega scritta al centro e quattro stelle sotto accoglie la mia visuale. Vorrei tanto dire a lui l'orario, ma non me lo permette.
Il ragazzo scende e io lo seguo, si dirige dietro la macchina e prende un grande borsone e mi supera, entrando nell'hotel. Lo seguo. L'aria è freddissima e il cielo grigio sopra di noi ci fa pensare all'arrivo di nevicate. La felpa verde e i leggings neri non sono abbastanza per tenermi al caldo, spero che la costruzione sia calorosa. Thomas è normale, il che è strano visto che indossa una maglia a maniche corte. Il suo passo è sicuro, fiero di sé. Provo invidia per lui, ha una grande valigia con tutto dentro mentre io ho un insignificante zainetto che a malapena i miei vestiti c'entravano.
Le porte si aprono e subito entro, superandolo. Sospiro, contenta del calore che riempie questa stanza. Il ragazzo va alla reception a parlare con una ragazza, mentre io mi siedo su una delle tante poltrone.
Girata di spalle, la bionda abbassa la scollatura della maglietta già attillata di suo per poi girarsi verso Thomas che subito saetta i suoi occhi proprio lì. Lui si avvicina al suo orecchio e le bisbiglia qualcosa, passando le sue dita lungo la mandibola, facendo poi sorridere e "arrossire" la ragazza. Immagino solo quello che gli avrà detto. Sempre con quel perverso sorriso in faccia aspetta il prezzo. Mi decido a prendere il portafoglio e, guardando il costo, prendere poi i soldi. Ma mi sembra troppo poco per due persone in un hotel di quattro stelle. Ritorna indietro e io mi avvicino a lui, sorridendogli. Mi guarda e l'espressione rilassata scompare, facendo sparire anche il mio sorriso. Mi fa sentire male. Entra dentro l'ascensore e, prima che entri io, mi dice:

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