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Sbatto forte la porta, chiudendola con un tonfo. Mi prendo la testa tra le mani, resistendo al mio attacco.

Lei sa che perdo il controllo. Lei sa che potevo ucciderla. Lei sa che volevo ucciderla. Cazzo, è forte.

Resisti, Crys, resisti.

Il dolore cala, la pazzia anche. Respiro profondamente, calmandomi. Mi siedo sul letto. Subito dopo questi attimi mi metto a fare qualche schizzo. Mi rilassa. Prendo il mio album, una matita, più la gomma e butto giù qualcosa. Non so cosa sto disegnando. Il cervello comanda la mia mano, non io. Non so che idee ha, è come se ci fosse un muro. Dopo un minuto smetto, guardandolo. Ho fatto un cuore. Ma non quelli curvi, rossi, degli innamorati. Non quelli stilizzati. Ma un vero e proprio cuore, con le arterie, le venature blu e rossicce. Ho disegnato un cuore steso su un lettino di un ospedale, con le flebo attaccato, mentre intorno ad esso c'è una macchia di sangue. Un cuore malato. Un cuore che sta per morire. Un cuore debole, fragile. Un cuore che cerca di resistere, che cerca di mandare avanti i battiti cardiaci, dentro una buia costruzione. Il mio cuore.
Metto una mano al centro del petto, proprio dove quel muscolo involontario vive. Questi sono quei momenti in cui la mia tristezza può uscire, può sfogarsi in un foglio. Dove anche le mie lacrime lo sporcano. In ogni disegno che c'è li dentro ce ne almeno una. Ecco perché non li faccio vedere mai a nessuno. Sono la chiave del mio cuore. Sono la chiave della mia distruzione. E se qualcuno li trova, usandole contro di me, sono finita. Fermo le gocce salate e asciugo quelle ormai uscite. Tiro su col naso e nascondo l'album, appena in tempo dell'entrata di Cami. OH, perfetto. Me lo aspettavo, doveva arrivare questo momento.

- Che ti è saltato in mente, Crystal? - domanda. Quando dice il mio nome per intero significa che è su di giri.

- Non lo so. E' stato l'istinto a farmi agire così. Mi ha aggredita prima lei, con le parole. Le mie mani si sono avvinghiate ai suoi capelli e puf! Ecco tutto. Mi dispiace. - rispondo. La fisso. Sospira, penso che ormai si sia arresa.

- Lo sai come è fatta Rose. Ti vuole manipolare, gli piace farti arrabbiare così puoi prenderti la colpa. Si nutre di questo, Crystal. Devi essere più furba. Devi avere il controllo di te stessa e dell'essere dentro la tua testa. Perché, quando hai rotto il naso a Rose, quella non eri tu, era la creatura che vive dentro di te. E devi comandarla al più presto se non vuoi finire in un altro manicomio, più grande, più brutto, Più severo. O peggio, se non vuoi essere divorata dal tuo demone - parla, decisa.

Ha ragione. Ha fottutamente ragione.

- Okay - gli rispondo, quasi in un sussurro. Mi avvisa che tra qualche minuto torna con la pillola del dopopranzo.

Mi butto a peso morto nel letto, urlando con la faccia spiaccicata nel cuscino.
È ufficiale, odio la mia testa e quello che c'è dentro. Non riesco a comandarlo. Non del tutto, almeno. Ho sprecato tempo per imparare ma ancora non ci sono riuscita. Pensavo fosse più facile. Pensavo fosse un dolore accettabile, sia fisico sia psicologico. Ma ovviamente no. Ovviamente è tutto il contrario. Riprendo l'album e sfoglio e miei disegni. Occhi neri, demoni dentro spazi chiusi, cuori spappolati a terra o frantumati come fosse vetro, mani che cercano di toccare l'impossibile, lacrime, urla, altri occhi di diverso colore.
Disegni praticamente affogati nel macabro. Tristi. Oscuri. Bui. Tutto il contrario di me. O meglio, tutto quello che fingo di essere. Ovviamente devo far vedere dei disegni a qualche infermiere e ascoltare ogni complimento, o non saprei come procurarmi matite e colori. Ma a loro disegno fiori di mille colori, animali, cose positive e divertenti. Belle. Finte. Ma va bene così, se serve per avere tutto il necessario per disegnare.
Bussano.
Ora della pillola. Cami entra con un carrello. Ci sono medicine su medicine e bicchieri di plastica. Le mie pillole sono divise in base ai colori, colori accesi. Prendo quella rosa, del dopopranzo, la metto nel bicchiere con l'acqua e bevo il tutto. Non mi fa nessun effetto strano, servono solo per calmarmi. Ma non sempre funziona.
La mia dottoressa non mi guarda, ne mi parla. È arrabbiata.

- Sei arrabbiata? Io non volevo, mi ha provocata...-, mi blocca. Ride nervosamente, mentre prende l'unica sedia per sedersi. Corrugo la fronte. Perché ride?

- Sono arrabbiata? Sono delusa. Pensavo fossi migliorata, pensavo stessi più bene. Pensavo che ormai niente ti avrebbe...ferita o delusa. Pensavo che niente più ti toccasse a fondo. Ma mi sbagliavo. No, non sono arrabbiata, ma...è meglio che una come Sarah prendi il mio posto. Ordine del capo - risponde. No, non può andar via, non così, di punto in bianco.

- Devo mettere le mani in tasca, non spegnere la mia anima, Cami. Non mi hanno portata qui dentro per far sì che io non provassi più niente, ma per non far danni. - concludo. Non può parlarmi in questo modo, non dopo tutto quel tempo che abbiamo passato insieme. - Ti prometto che migliorerò, che farò la brava. Ma, ti prego, non andartene - la supplico. Come farò senza di lei, era l'unica con cui parlavo, con cui mi potessi un po' fidare...

- Lo dici sempre, sai? Lo so che ti dispiace, ma devo farlo...-, la fermo, ricordandomi una frase detta da lei, quando ero appena arrivata.

- Ti potrai fidare di me, ti aiuterò con tutta me stessa. Non ti abbandonerò mai. Ti aiuterò. Promesso -, e la guardo, glaciale. Non posso piangere davanti a lei, non ora. - Ti ricorda qualcosa, Cami Walker? Dimmi, ti ricorda qualcosa? - domando.
Mi guarda senza dire niente. Senza fare niente.

- Mi dispiace - e se ne va, lasciandomi sola e portandosi dietro il carrello con sopra quello che abbiamo passato insieme. Mi ha aiutata, anche quando venivo ferita dagli altri, e non solo psicologicamente. Era come un'amica, l'unica amica che avevo. Ora non ho nemmeno quella. Ora non ho più davvero nessuno.

- Lo avevi promesso! - urlo più che posso, prima che si chiuda la porta, rischiando di spaccare lo specchio. Sbatto la mano su di essa, ormai chiusa.

Piango, lascio uscire fuori tutto. Lo faccio quasi ogni giorno, ma da sola. Ho perso un'altra persona.
Cosa ho fatto di male?
Singhiozzi si mescolano con respiri, creando un rumore strano ma adatto a descrivere il mio stato d'animo. Piango ma respiro. Sto per distruggermi ma resisto. Mi fa male il cuore per quanto sto soffrendo e non è la prima volta che mi capita. Ma cerco di farlo resistere, ancora un po'. Un urlo strozzato mi esce dalla bocca e pone fine alla lucidità dello specchio, facendo stremare anche i muri. Sono circondata da schegge. Respiro profondamente, calmandomi.

Che senso ha ormai rimanere qui?
Che senso ha restare se ora non ho più nessuno?
Che senso ha?
Se rimango mi faccio male da sola.
Se resto mi distruggo da sola.
Quindi che fare?
Come agire?
Penso, penso a cose più sensate della mia prima idea. Penso a idee più logiche, più astute. Ma mi vengono di tutti i colori, colori impossibili. Colori che non possono avere un tono acceso. Rimane, quindi, solo una cosa da fare.
Se voglio ancora vivere.
Se voglio resistere.
Se voglio sopravvivere.
Scappare.

| Darkness in the Light | (Completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora