12.

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Mi blocco. Che cosa ha appena detto, scusa?
Perché non merito niente?
E...perché mi ha chiamata mostro?
Perché si comporta sempre così con me? Bè, non sempre, ma quelle poche volte che ci parliamo.
Che cosa ho mai fatto di male?

- Cosa? - sussurro, spostando le mie iridi per terra. Non ha sentito e infatti continua a camminare, indifferente. Fissandolo accigliata, inizio a correre, fermandomi poi davanti a lui, facendolo fermare. - Cosa? - ripeto.

Continua a fissarmi, non dandomi una valida risposta. Inchiodo i piedi e incrocio le braccia al petto, abbastanza dispiaciuta.

- Perché ti comporti sempre così con me? Ogni volta che mi guardi mi lanci quelle occhiate come...come se io fossi, che ne so, la causa della morte dei tuoi genitori! - urlo, ormai al limite.

Non gli ho mai fatto niente e lui mi detesta. Sarà perché ho mancato di rispetto alla sua ragazza? In realtà, neanche era la ragazza, era una scusa per fare sesso, come la maggior parte delle ragazze lì dentro.
Il suo sguardo peggiora.

- Tu sei la causa della loro morte, mostro. Lo sei sempre stata. - sputa, di nuovo.

Lo guardo confusa. Non li conoscevo, i miei genitori non li conoscevano. O forse sì? Non ne ho la minima idea. Mi rendo conto solo ora che la mia vita è sempre stata forse una grande bugia, un lungo gioco di nascondino.

- Non è vero. Non li ho mai visti e tanto meno non gli ho parlato. Come pensi sia stata io la ragione della loro morte. E poi, non li odiavi? - gli domando.

Avanza con passo inferocito verso di me. Spaventata indietreggio, andando a sbattere la schiena contro una parete.

- Erano pur sempre i miei genitori. I tuoi li hanno fatti morire, per colpa loro. - risponde, bloccando tutte le vie possibili di fuga. Mi ha rinchiusa.

- E se così fosse, io che centro? -

- Sei la loro figlia, centri eccome. Ti stanno cercando, mostriciattolo -. Chi? I miei genitori? Ma sono morti, io li ho visti morire.

- Uh, stiamo facendo progressi, non mi hai chiamata mostro. Chi mi sta cercando? - domando, curiosa.

Si avvicina. È troppo vicino per i miei gusti, lo spazio equivale ad un palmo della mano. Porto indietro la mia testa, ma dopo aver sentito la durezza del cemento dietro di me mi fermo.

- Il loro assassino. O meglio, i loro assassino - sussurra, in modo che solo io lo sentissi. Non capisco perché visto che siamo le uniche persone in questo piccolo vicolo. - Forse quel giorno ti hanno messo qualcosa, di nascosto, non lo so, ti avranno drogata. I tuoi genitori sono vivi e ti, ci stanno cercando - sorride, divertito. Un sorriso malato. Battuta di merda. Giuro che gli sbatterei la testa al muro, sperando di aggiustare quelle rotelle rotte che ha. Sadico.

- Stai mentendo. I miei occhi hanno versato lacrime alla vista del sangue. Del loro sangue! Come osi dire che era tutto finto! - gli sbraito contro, fregandomene di chiunque ci sia nascosto. Poi mi rilasso e continuo. - Chi sono? E perché mi cercano? Cosa vogliono da me? - domando, di nuovo, autoritaria. Non ho paura, la curiosità prevale in questo momento.

- Non sai proprio niente tu, eh? -

- No, niente di niente. Non mi hanno rivelato nulla, motivo in più per rispondermi. Poi, adesso che ci penso, non mi hanno mai detto che lavoro facevano...cambiavano discorso quando glielo domandavo - penso, riguardando alcuni pezzi del passato.

Dicevano di fare lo stesso mestiere, ovvero gli allenatori di palestra e che lì si sono conosciuti. Mio padre era un uomo ben postato, aveva dei gonfi muscoli, mentre mia madre aveva un fisico eccellente per la sua età, da non ignorare poi la sua agilità. Mia sorella era l'unica tra noi due che qualche volta al giorno andava con loro in palestra, per mantenere quel fighissimo fisico, diceva e non aveva torto: i ragazzi della sua scuola facevano la fila. Mi ero innamorata dei calci e pugni che insegnavano alle altre persone della loro sala da ginnastica - che non ho mai visto. Mi hanno insegnato, quindi, ed io ero diventata molto brava per la mia età. Mamma mi aveva detto che se imparavo a difendermi a quella fase della mia vita, da grande sarei diventata una macchina da guerra per scacciare il male. A quel tempo ero elettrizzata a quell'idea e continuavo, finché non arrivò quel giorno.
Volevo iniziare anche con degli oggetti, precisamente quando avevo otto anni, per esempio delle aste di legno, delle fruste o cose del genere. Ma, segretamente, volevo imparare a lottare con delle vere e proprie armi, però non quelle da fuoco. Ero ammirata dalle lame: argentee, affilate, brillanti e di varie dimensioni. Mia madre non voleva, ero ancora troppo piccola per lei. Ma in segreto mio padre mi insegnava le basi.
Questi flashback mi hanno fatto ragionare. Erano tutti e due ben allenato, compresa Lucy, sia fisicamente, sia mentalmente - facevano dei ragionamenti assurdi, come dei piani segreti. Di prima mattina si vestivano sempre con le stesse tute, ma non con delle semplici
T-shirt a maniche corte o con semplici pantaloni: erano delle vere e proprie divise da militare e a volte lo beccavo ad allenarsi con dei coltelli o fruste, cosa alquanto strana per dei semplici allenatori.
Non mi ero mai posta domande.
Ma ora, sono più confusa e curiosa che mai.
Che cosa facevano realmente i miei genitori?

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