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Sono appoggiata alla parete della stanza, osservando l'incantevole vuoto. Le guance sono ancora bagnate dalle lacrime che tutt'ora continuano a scendere. Ho la pelle d'oca. Sto tremando. Quei ricordi ancora bruciano sulla mia pelle, indelebili. E io non ce l'ho fatta a toglierli, a bruciarli definitivamente.
E fa male, fa male vederli ancora.
Nello stesso giorno.
15 Novembre.
Il mio compleanno. Il mio fottuto compleanno, quando è morta la mia famiglia. E io con lei. O almeno, la mia anima umana. Poco dopo ho scoperto che cosa davvero ero, tramite centinaia di ricerche. Ora alcune delle mie domande hanno finalmente una risposta.
Prevedo la morte. Oh, non sono una medium. Peggio.
Sento gli urli, nella mia testa, di persone che stanno per morire o sono già morte. Ed è orribile, perché mi fa soffrire ancora di più, ma non solo per il dolore fisico che provo. Anche quello emotivo. Perché ogni volta che accade mi ricordo quel giorno. Perché io, quella dannata sera, non ho previsto la loro morte, non ho sentito assolutamente niente e quindi non ho potuto evitare nulla, anche se ero piccola, anche se non ero a conoscenza della verità.
Perché quell'uomo ha ucciso la mia, di famiglia?
E perché non è tornato ad uccidermi? Perché mi ha risparmiata?
E perché con i pugnali e non con una pistola?
Perché? Perché tutto questo a me?
Non ho pranzato, non ho disegnato, non ho letto. Sono rimasta immobile per tutto il tempo a terra, appoggiata al muro a pensare. A ricordare.
A resistere.
A combattere.
Non oso immaginare come saranno gli occhi. Il verde penso sia scomparso, prendendo il suo posto il rosso. È freddo, l'aria è fredda. Non pensavo che avrei passato così il mio compleanno, di nuovo. Mi decido ad alzarmi e prendere la scatola sotto il letto. Me l'ha fatta tenere Cami, è contro le regole tenerla ma lei ha chiuso un occhio. Gliene sono grata per questo. La apro.
Foto, collane, un quadernino, un telefono rotto, vecchio e sporco di rosso, un vecchio pugnale e altri oggetti. I singhiozzi stanno per uscire, ma cerco di trattenerli ancora per un po'. Prendo un bigliettino di auguri infondo al pacco.

"Auguri tesoro! Che sia il più felice decimo compleanno della tua vita" c'è scritto, seguito il tutto da una miriade di cuoricini sparsi ovunque.

Me lo ricordo: lo avevano messo sopra alla fetta della mia crostata preferita, a colazione.
Prima del casino lo era stato. Tutti i compleanni prima erano stati stupendi, con gli amici, i familiari, i regali, tutto. Quelli dopo no, quelli sono stati i peggiori della mia vita, anche per quell'anno che sono stata con la famiglia adottiva. In mezzo al bigliettino di auguri c'è una foto. Siamo tutti insieme, felici, sorridenti. Spensierati. Le lacrime lo macchiano per l'ottava volta. Non so ancora dove la trovo la voglia di piangere ancora, lo faccio di continuo, ogni giorno, e pensavo di essermi svuotata. Invece no, le mie lacrime rigano di nuovo la mia pelle. Rimetto tutto a posto e ripongo il contenuto sotto il letto.
Non ho preso neanche la pillola che mi teneva almeno un po' sotto controllo. L'ho nascosta sotto la lingua e poi l'ho sputata, non avendo la forza di ingoiarla. Forse questi per alcuni sono dei trucchetti banali, lo credo anche io, ma per otto anni ho sempre seguito le regole, potrei benissimo infrangerle senza che nessuno si accorga.
Ognuno ha una propria cartella dove ci sono scritti i suoi dati: quando è nato, se ha qualche malattia e altro.
Io non l'ho mai avuta. Nessuno ha mai capito il motivo, neanche io. Infatti, nessuno sa di questo giorno, neanche Cami.
Piano piano il dolore alla testa si amplia, diverso dagli altri. La stessa morsa sempre nello stesso giorno. Finirà mai questo inferno che mi porto dentro?
Devo prendere una boccata d'aria, devo uscire.
Vado in bagno e mi guardo allo specchio. Occhiaie più evidenti, occhi rossi per il pianto e capelli arruffati. Con quest'ultimi posso fare qualcosa. Me li sistemo un po' e poi esco, seguita dagli sguardi dei dottori e delle guardie. Credo che abbiano notato la mia assenza oggi a pranzo. E non solo loro. Anche le altre persone mi guardano di sottecchi, nulla che non abbiano già fatto comunque.
Mi dirigo dietro al cortile.
Li è sempre vuoto, buio, tranquillo, ma non si scappa, perché ci sono delle sbarre di ferro che, se le tocchi, ricevi una forte scarica elettrica, quindi è più conveniente non toccarla. Mi sistemo ai piedi dell'unico albero in mezzo, chiudo le palpebre e mi rilasso.

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