quaranta

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Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto, e se così fosse...mille volte vorrei rinascere per mille volte ancor morire.

William Shakespeare


Sierra Stilinski pensava spesso alla morte. Non per qualche ragione strana o qualche istinto suicida, sia chiaro, erano solo le riflessioni profonde e filosofiche di una diciottenne. Cercava di capire come sarebbe stato addormentarsi un giorno, chiudere gli occhi, per poi non riaprirli più.

Sicuramente considerava la morte come un processo calmo, indolore...l'ultimo stadio della tua esistenza. Ecco, se pensava alla morte, magari alla sua, le veniva in mente lei invecchiata, con forse una persona al suo fianco ma non ne era neanche sicura; le veniva semplicemente in mente l'immagine di lei nel suo letto, che con la coda dell'occhio si fissava ad un ipotetico specchio di un'ipotetica camera, ed esaminava la sua carne consumata dal tempo, le sue rughe, ed il suo respiro che si faceva sempre più flebile. E poi, semplicemente, avrebbe chiuso gli occhi.

Sapeva che per molti quella visione sarebbe risultata estremamente triste, ma per lei, da quando era cambiata e da quando aveva imparato ad affrontare le situazioni di petto, la prendeva come una cosa naturale, che prima o poi sarebbe accaduta comunque, quindi era abbastanza inutile non pensarci.

Ecco, la morte Sierra Stilinski se la immaginava così, ma forse non aveva ancora fatto i conti con Beacon Hills e le sue stranezze.

Non si aspettava di morire appena diciottenne.

Non si aspettava di morire giovane, senza rughe, con i capelli ancora del loro colore moro naturale, e non schiariti dal tempo.

Ma soprattutto, non si aspettava di morire per mano di una creatura di cui, mesi e mesi prima, non sapeva nemmeno l'esistenza.

Non si aspettava che la sua morte comportasse parecchio dolore, inoltre. E se ne era resa conto solo nel momento in cui aveva sentito gli artigli di River Barkley penetrare nella sua carne, affondando sempre di più secondo per secondo, rendendo quella che doveva essere una morte tranquilla, naturale, una vera e propria agonia.

-No!- urlò Lydia, cadendo in ginocchio piangendo e appoggiandosi al petto di Isaac Lahey, che ormai giaceva a terra immobilizzato, mentre si impegnava a reprimere un urlo di dolore. Chiuse gli occhi, perché non riusciva a reggere quella vista. Il branco cercò di dimenarsi come meglio poteva, tra gemiti, strattoni ed urli, come se li stessero asportando una parte di cuore, ma il veleno di Kanima che avevano ormai quasi tutti nelle vene era ben più potente del loro dolore.

Derek invece semplicemente non disse nulla. Aveva chiuso gli occhi e serrato la mascella, ormai arreso. Si odiava, si odiava davvero tanto, e ora era ad uno schiocco di dita dal perdere la persona che amava.

Ansimò, perché sentiva che gli mancava qualcosa: gli mancava lei, l'ossigeno...moriva lentamente anche lui, man mano che sentiva i battiti del cuore di Sierra rallentare. Quel cuore non teneva in vita solo una persona, ma due, o forse...quattordici. Con lei sarebbe morto gran parte del branco, e Derek per primo.

La piccola Stilinski stava combattendo l'ennesima battaglia della sua vita, e le probabilità che ne uscisse vincitrice erano davvero poche. Avvertiva gli artigli di River conficcarsi nel suo stomaco e dalle sue labbra colava sangue, che pareva scuro e denso. I suoi respiri si riducevano in sussurri secondo per secondo, e le sue orecchie fischiavano a sentire in ripetizione le urla dei ragazzi.

La sua vista si faceva appannata secondo per secondo, e per quanto ci provasse non riuscì a scorgere suo fratello, perché forse non gli avevano concesso di andare con loro, e forse stava facendo da palo con la sua Jeep chissà dove per strada, ad aspettare che il branco tornasse vincitore come ogni volta.

𝐏𝐮𝐬𝐡 𝐦𝐞 𝐛𝐚𝐜𝐤 • 𝐃𝐄𝐑𝐄𝐊 𝐇𝐀𝐋𝐄 •Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora