Sce-ma

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Come poteva essere Elia? 

Era davvero Elia? 

Potevo basarmi su questa scarsa prova? 

Forse non potevo... dovevo indagare maggiormente. Seduta al mio posto, quel pomeriggio continuavo a lanciare occhiate curiose verso di lui, che si trovava nella fila di fianco alla mia, qualche banco più indietro. Il ragazzo non sembrava accorgersene, preso com'era dalla lezione di storia, mentre io non avevo nemmeno capito quale fosse l'argomento trattato.

Ma sul foglio bianco davanti a me, avevo appuntato la frase del bigliettino e gli indizi che avevo su Elia: ovvero solamente che si chiamava Elia.

Erano prove un po' povere, dovevo ammetterlo, ma la mia sfrenata fantasia non voleva saperne di smetterla di galoppare.

E se fosse stato davvero Elia?

Proprio mentre questa domanda affollava la mia mente, il suono che decretò la fine delle lezioni invase le mie orecchie e gli studenti si alzarono con un certo frastuono, per dirigersi verso l'uscita.

Riordinai le mie penne sparse sul banco e feci per riporre tutto nello zaino, piegandomi verso il pavimento, quando un paio di scarpe da ginnastica maschile entrarono nella mia visuale e subito dopo una voce infastidita mi bloccò in quella stana posizione: "C'è qualcosa di interessante sul mio viso?"

Oh cavolo, allora si era accorto?

Deglutii nervosamente e mi raddrizzai con calma, sapendo già chi mi sarei trovata di fronte.

"No" sussurrai in imbarazzo, sollevando gli occhi su di lui e scorgendo un'espressione di ghiaccio, nonostante le iridi scure.

"E allora smettila di fissarmi" sentenziò Elia, volgendomi poi le spalle e uscendo dalla classe a passo sicuro.

"Ma sei impazzita?" mi domandò subito Benedetta, raggiungendomi.

"Non credo sia lui" dissi tra me e me, senza prestare attenzione alla mia amica.

"Di cosa stai parlando?" continuò lei, studiandomi con i suoi occhi scuri. 

"L'ammiratore segreto" spiegai con semplicità, ricevendo in risposta una sonora risata.

"Come potrebbe essere Elia? Non è mai stato carino con nessuna ragazza. Anzi con nessuno in generale" spiegò Benedetta, cercando di ricomporsi portandosi una lunga ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.

Abbassai gli occhi delusa. Nonostante il suo brutto carattere, sarebbe stato davvero romantico se fosse stato lui. Cattivo esteriormente, ma dolce interiormente.

Dovevo smetterla di sognare ad occhi aperti.

***

"Anche quando fai un capitombolo, sembri sempre un angelo. Tuo E." recitò Benedetta, stringendo tra le mani il nuovo bigliettino che avevo trovato nella tasca del capotto qualche giorno dopo il mio fatidico volo lungo il corridoio.

"È sicuramente lui. È Elia." sentenziai sicura, annuendo con la testa per dare maggiore valenza alla mia affermazione.

"Come puoi esserne tanto certa?" chiese Benedetta, guardandomi scettica.

"Il suo nome inizia con la E, siamo in classe insieme ed è l'unico che mi ha visto cadere quel giorno" sciorinai il mio elenco con fare superiore, come se fossero prove schiaccianti le mie.

"Tutto qua?" rispose la mia amica con un'espressione confusa sul voto.

"Come tutto qua, è evidente. Forse dovrei andare a parlargli" sospirai pensierosa, non troppo convinta di quello che avevo appena detto.

"Mi sembra una pessima idea. Dovresti avere la certezza prima di fare qualche figura di merda" ribatté Benedetta convinta, riportandomi sulla retta via, ovvero quella del pensiero razionale.

"Forse hai ragione" conclusi, osservando la calligrafia ordinata che si estendeva sul bigliettino del misterioso ammiratore.

Ma, nonostante quello che mi aveva detto Benedetta, la mia curiosità aveva la meglio sulla mia razionalità e durante le ore di lezione, mi ritrovavo sempre con gli occhi rivolti verso Elia, tentando di studiarlo senza farmi notare.

Avevo dato un occhio alla sua calligrafia, e somigliava davvero a quello del bigliettino, ma non ero certa che fosse una prova schiacciante, così restavo sempre titubante su quale fosse la mosse successiva.

Forse stavo correndo troppo? Forse sì...

Spostai la mia attenzione sullo zaino nero del ragazzo, cercando di cogliere ogni dettaglio e, quando tornai a posare i miei occhi sul suo viso, mi scontrai con la sue espressione penetrante e infastidita.

Sapevo di dover distogliete lo sguardo, ma restai come impigliata nelle sue pupille scure, incapace di fare un qualsiasi movimento, mentre il cuore prendeva a battere ad un ritmo forsennato.

Elia mantenne il contatto visivo, i capelli lisci che andavano a toccare le sopracciglia nere, che si stagliavano sopra i suoi occhi, conferendogli un'aria tenebrosa e affascinante. Lentamente mosse le labbra, mimando una parola che si riferiva senza alcun dubbio alla mia persona: sce-ma.

Mi ripresi dal mio incanto e aggrottai la fronte sorpresa. Non mi aspettavo una reazione tanto infantile da parte sua, ma ottenne comunque ciò che voleva perché mi affrettai a tornare a guardare davanti a me, imbarazzata per essere stata ancora colta in flagrante.

***

Quella sera mi appressati a rientrare a casa, sicura di trovare il mio appartamento vuoto come sempre. I miei genitori erano entrambi figure autorevoli nei loro campi lavorativi, erano diventati delle istituzioni, ma per questo motivo passavano la maggior parte del tempo all'estero. Mia madre era uno stimato chirurgo cardiaco che aveva da poco accettato di ricoprire un'importante carica in un ospedale americano, perciò rientrava solamente per le feste più importanti e per il mio compleanno.

Mio padre era un professore universitario di legge e si occupava da diversi anni di una cattedra in Inghilterra. Tornava a casa più di frequente, essendo anche più vicino, ma non riuscivamo a passare molto tempo insieme perciò, per la maggior parte del tempo, vivevo da sola.

I miei genitori in teoria non erano separati, ma di fatto non apparivano più come una coppia da diverso tempo e nemmeno si sentivano tali. Qualche volta non sembravamo nemmeno una famiglia, ma cercavo di non pensarci troppo e non permettevo che questa situazione mi deprimesse. Ero sempre stata una persona solare e positiva. Certe volte anche troppo positiva.

Girai la chiave del portone del mio palazzo e avanzai nell'atrio bianco, dirigendomi verso le scale che conducevano ai piani superiori.

Recentemente mi ero trasferita in questa parte della città perché così sarei stata più vicino alla mia nuova scuola e alla casa di Benedetta. Mia madre era più tranquilla se sapeva che avevo qualcuno di cui fidarmi nelle vicinanze, non che la cosa la turbasse particolarmente se così non fosse stato.

Feci un gradino dopo l'altro, superando il primo piano e maledicendo mentalmente la mancanza di un ascensore. Stavo pensando che raggiungere il secondo pianerottolo non sarebbe stata una passeggiata, vista la mia scarsa capacità atletica, quando una musica soave si insinuò nella mia testa.

Era una melodia perfettamente suonata, sembrava provenire da un violino e trasmetteva dolcezza e malinconia allo stesso tempo, come una lacrima che scorre sulla guancia, così dolce sulla pelle, ma così malinconica sul cuore.

Mi lasciai cullare da quelle note e giunsi nel mio appartamento, continuando a sentire quel suono anche con la porta chiusa, così lontana eppure così potente, così bella eppure così triste.

Nonostante non fosse tardi, mi addormentai su quelle note, immaginando la mia anima formata da tante corde, fatte vibrare da mille emozioni. 

Sarei mai riuscita a formare una mia melodia decente? 

Ancora non sapevo che mettere in ordine tutte le mie note, sarebbe stato un vero casino. 

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