Villa Dalia

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Non fu un viaggio tranquillo, Benedetta aveva paura di volare, perciò mi aveva stritolato la mano per tutto il tempo. Edoardo e Elia avevano discusso su chi dovesse stare vicino al finestrino e alla fine si era seduto Enrico, lasciando interdetti i due litiganti, che avevano poi preso posto di fianco a lui. Io e la mia amica invece eravamo nella fila davanti a loro.

Certe volte mi veniva da chiedermi quanti anni avessero quei due, insieme regredivano all'età dell'infanzia e, da Edoardo potevo anche aspettarmelo, ma Elia appariva così maturo di solito. Dovevo ammettere però che questo suo atteggiamento mi divertiva e lo rendeva in qualche modo più umano.

Quando arrivammo in aeroporto, prendemmo un taxi per raggiungere la casa. Si trovava in una zona residenziale con tante ville dallo stile classico e fresco, immerse nel verde e nella tranquillità.

Una volta scesi dalla macchina, ci trovammo di fronte ad un cancello in legno che, una volta aperto, ci lasciò senza parole: definirla casa era un eufemismo, quella era una vera reggia che si sviluppava su un unico livello, occupando una superficie piuttosto ampia, ed era circondata da un bel giardino che era possibile ammirare dalle immense vetrate del salotto.

"Benvenuti a villa Dalia" esordì Edoardo spalancando le braccia per sottolineare le sue parole.

"Dalia?" domandò Benedetta curiosa.

"È il nome di mia madre. Il mio attuale patrigno l'ha comprata per lei" spiegò il ragazzo. Nessuno osò replicare perché il tono usato da Edoardo sembrava quasi infastidito, perciò evitammo ulteriori indagini.

La residenza era composta da un grande salotto con divani e pareti bianche, una cucina che comprendeva anche un tavolo abbastanza spazioso e sei camere, tutte con letti matrimoniali. L'intero arredamento era sui toni chiari e delicati, molto stile mare. L'unica pecca era il bagno vicino alle stanze, che era solamente uno, perché l'altro si trovava in prossimità del salotto.

Edoardo ci mostrò dove sistemarci e fui felice di constatare che a me era toccata la zona vicino al suddetto bagno, perché mi capitava spesso di alzarmi nel cuore della notte. Avevo l'abitudine di bere molta acqua prima di andare a dormire. Benedetta era stata collocata nella stanza di fronte alla mia, Elia in quella di fianco, mentre Edoardo e Enrico erano nelle due che seguivano quella di Benedetta lungo il corridoio.

Nonostante i muri che ci separavano, sentivo troppo la loro vicinanza, ero sicura che avrei avuto notti cariche di tensione.

"Oggi è una bella giornata" constatò Enrico con entusiasmo "che ne dite di andare già in spiaggia?"

L'idea fu accolta con consensi da parte di tutti, anche se Elia mi sembrò più restio, ma forse era solamente il solito Elia.

Mangiammo uno spuntino e poi infilammo i nostri costumi e qualcosa per coprirci, giusto per fare la strada che ci separava dalla nostra destinazione. Il percorso era di circa dieci minuti a piedi e quando i miei occhi videro la distesa di acqua chiara si illuminarono: la spiaggia era grande e poco affollata, c'erano alcuni ombrelloni e qualche bagnante, ma lo spazio per sistemarsi non mancava. C'era anche un grazioso punto ristoro con una veranda che si prestava bene per pranzare o fare aperitivo.

Il sole picchiava alto nel cielo, creando riflessi sul mare cristallino che si estendeva davanti a noi, preceduto dalla sabbia chiara e fine.

Restammo tutti incantati da quello spettacolo, respirando l'aria salmastra che sapeva di vacanza e libertà, ma io, non riuscendo a trattenermi, mi tolsi le scarpe e avanzai sulla sabbia per raggiungere la riva.

Come al solito avevo agito senza pensare e per evitare che i granelli finissero nelle scarpe, non avevo considerato il calore ardente che questa emanava. Cominciai a saltellare da un piede all'altro, lamentandomi per il dolore e cercando di raggiungere l'acqua il più velocemente possibile.

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