È buona!

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Il giorno seguente, al corso di cucina, preparammo un dolce dedicato alle nostre madri. La volta precedente Rosa aveva detto che avremmo cucinato questo piatto, nonostante non ci fosse nessuna festività perché era il preferito di sua mamma, perciò sarebbe stato carino se anche noi l'avessimo regalato alle nostre. Per me era impossibile, ovviamente, ma l'avrei comunque realizzato pensando a lei.

Edoardo aveva parlato di questo progetto con entusiasmo e aveva annunciato che sua madre l'avrebbe raggiunto subito dopo, per cenare insieme e mangiare il dolce. A quanto diceva lui, era un evento piuttosto raro.

Seguii le istruzioni con estrema precisione e concentrai tutta la mia attenzione sul procedimento, sperando di fare tutto correttamente questa volta. Con mia grande sorpresa, non fui disturbata neanche una volta da Edoardo e, quando mi voltai per controllare il suo lavoro, lo trovai sporco di farina pure sul viso, ma con uno sguardo attento e emozionato al tempo stesso. 

Stava mischiando gli ingredienti con impegno e si vedeva che stava provando a fare davvero un buon lavoro, per rendere sua madre fiera di lui. Mi ritrovai a sorridere tra me e me, constatando che il suo atteggiamento era molto tenero e comprensibile. Almeno da parte mia.

La signora Rosa annunciò che questa volta non avrebbe assaggiato le nostre creazioni, per evitare di rovinarne l'aspetto, ma aggiunse anche che la volta successiva, avremmo dovuto riferire quali erano stati i commenti da parte delle nostre famiglie.

Finita la lezione, Edoardo uscii di corsa perché sua madre sarebbe venuta a prenderlo in macchina. Io decisi di fare le cose con calma, non avevo nessuno che mi aspettava a casa, anche se avevo appuntamento con Benedetta.

Quando varcai le porte dell'edificio, fui investita dalla calda aria estiva, ma vagando con lo sguardo intorno, notai Edoardo seduto sui gradini del palazzo di fianco. Aveva sul volto un'espressione ferita e teneva le braccia appoggiate mollemente sulle ginocchia, come sconfortato.

"Cosa succede?" domandai, raggiungendolo.

Edoardo alzò gli occhi su di me e rispose: "Sfortunatamente mi toccherà mangiare questo dolce da solo. Mia madre ha da fare con il suo maritino" sottolineò l'ultima parola con tono dispregiativo e poi distolse lo sguardo, come a voler nascondere la sua tristezza, ma gliel'avevo letto negli occhi che ci era rimasto male.

Capii che per lui era importante avere attenzioni da sua madre e intuii anche che non succedeva spesso. Potevo capirlo.

Sospirai e replicai: "Posso fare qualcosa per te?"

Edoardo rimase pensieroso per qualche secondo e poi disse: "Tranquilla, ho questa prelibatezza di consolazione" e contemporaneamente mi mostrò la torta e un sorriso decisamente forzato che non si addiceva al suo carattere solitamente così solare.

Feci per allontanarmi, consapevole che Benedetta era in attesa del mio arrivo per mangiare la torta insieme, ma l'espressione afflitta di Edoardo mi riempì la testa. Sapevo cosa voleva dire restare delusi dai propri genitori e, per quanto provassi a non farmi scalfire dai loro comportamenti, o per quanto provassi a giustificarli, una piccola parte di tristezza restava incastrata nel cuore. Doveva essere lo stesso per lui.

Edoardo aveva faticato tanto per fare quel dolce e, anche se non aveva un aspetto ottimale, non meritava di mangiarla da solo.

Mandai un rapido messaggio alla mia amica, scusandomi per l'imprevisto e poi tornai sui miei passi, ma questa volta raggiunsi Edoardo sugli scalini e presi posto di fianco a lui.

Il ragazzo girò la testa dalla mia parte, sorpreso.

"Noi figli incompresi dobbiamo aiutarci a vicenda" mormorai con un sorriso incoraggiante. Aprii l'involucro che conteneva la mia torta, che questa volta aveva pure una presentazione decente, e aspettai che Edoardo facesse altrettanto.

"Io mangio la tua e tu la mia?" domandò lui, ritrovando il suo buonumore. Annuii e ci scambiammo i dolci, osservandoli in silenzio.

La sua non era molto invitante, ma decisi di ignorarne l'aspetto e la assaggiai comunque, e non appena misi in bocca il primo morso, sul mio volto si dipinse lo stupore: "È buona!"

Edoardo si lascò sfuggire una risata, rischiando di ingozzarsi con la mia torta che aveva appena addentato, ma dopo averla mandata giù, fece una smorfia, seguita da: "La tua invece no."

Gli lanciai un'occhiata risentita e replicai: "Non può essere tanto male"

Allungai una mano per controllare quanto le sue parole fossero veritiere, ma quando il sapore orrendo di quel dolce invase la mia bocca, non potei fare a meno di dargli ragione, sforzandomi per non sputare il boccone.

Edoardo questa volta scoppiò a ridere e concluse dicendo: "Quando riuscirai a fare un dolce decente, ti darò un premio"

"Allora non so se lo avrò mai" replicai sconsolata, puntando i gomiti sulle ginocchia e poggiando il mento sui palmi delle mani, rivolti verso l'alto.

All'improvviso sentii la gamba di Edoardo sfiorare la mia e poco dopo adagiò la sua guancia sulla mia spalla, abbassandosi per adattarsi alla mia altezza. Il cuore prese a battere più velocemente mentre lui si allungava lentamente, fino a raggiungere il mio orecchio con la sua bocca, solleticando la mia pelle con il suo respiro e sussurrando: "Grazie, Liv"

Era incedibile come una parola tanto semplice, sulla sua bocca, suonasse anche tanto sensuale.

***

Quando tornai a casa quella sera, erano ormai le otto perché avevo fatto un po' compagnia a Edoardo e, con tutta la torta che avevo mangiato, non sentivo granché fame.

Aprii la porta del mio appartamento e sentii una musica classica riecheggiare all'interno, notando al contempo che le luci erano accese e qualcuno stava facendo rumore in cucina.

Mi allarmai all'istante, indecisa se avanzare o scappare, ma poteva un ladro mettere della musica mentre svaligiava una casa?

Mossi un piede davanti all'altro, attraversando il breve ingresso che si apriva su un open space con salotto, sala da pranzo e cucina, individuando una figura conosciuta che abbozzava qualche goffo passo di danza mentre girava qualcosa sui fornelli.

"Papà!" esclamai sorpresa e un po' risentita. Poteva almeno avvisare quando tornava a casa, anziché farmi spaventare tanto.

"Olivia, bambina mia!" si voltò lui subito, correndomi incontro con un grembiule rosa addosso e un mestolo sporco di sugo in mano. Mi strinse in una caloroso abbraccio, rischiando di sporcarmi lo zaino, ma lo lasciai fare perché mi era mancato ed era bello vederlo.

Mio padre si chiamava Luca ed era uno stimato professore di legge, in Inghilterra, molto impegnata nell'istruzione di molteplici studenti, richiesto per diverse conferenze, apprezzato dai colleghi e consultato per qualche caso particolarmente impegnativo, nel suo lavoro era una persona seria, affidabile e anche un po' intimidatoria. 

Ma nella vita privata sembrava trasformarsi e liberarsi di tutte le etichette che altrove era costretto a tenere, perciò si lasciava andare in balli sfrenati, abbigliamenti ridicoli e vistose manifestazioni di affetto.

Lo faceva in particolare con me e io l'avevo sempre amato per questo, perché mi faceva sentire più simile a lui, ma in realtà probabilmente lo faceva per compensare tutto il mancato affetto che ricevevo quando era lontano.Quando entrambi i miei genitori erano lontani. 

Ormai erano anni che avevo accettato il fatto che il loro lavoro venisse prima della loro famiglia, tuttavia era bello quando tornavano, seppure per poco tempo.

"Sono contenta che tu sia qua" dissi con sorriso stampato sulle labbra, ricambiando il saluto espansivo.

"Ti sto preparando una buona cenetta" replicò lui entusiasta, tornando alla sua postazione. Con calma sfilai lo zaino carico di libri e lo portai in camera mia, poggiandolo vicino alla scrivania e, proprio in quel momento, sentii la voce di mio padre che gridava: "A proposito tesoro, chi è E.?"

Tornai di corsa in salotto con il cuore in gola e rivolsi a mio padre uno sguardo sbalordito. Come faceva lui a sapere di E.?

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