Imbarazzo

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Pranzai con Benedetta ma non mangiai quasi nulla. Poco prima di andare in sala mensa, non avendo trovato Elia da nessuna parte, gli avevo scritto un messaggio, chiedendogli se potevamo parlare prima dell'inizio delle lezioni pomeridiane e lui mi aveva riposto dandomi appuntamento nel cortile della scuola, vicino al campo da calcio.

Il mio cervello non era in grado di formulare frasi di senso compiuto, il mio stomaco era totalmente chiuso e il mio cuore non voleva smetterla di battere all'impazzata: ero nervosa.

Quando arrivò il momento mi alzai tremante e, dopo aver ricevuto una spinta di incoraggiamento da parte di Benedetta, mi avviai al luogo dell'appuntamento, appellandomi a tutto il coraggio che avevo in corpo per non scappare a nascondermi.

Superai la zona piastrellata con le panchine e attraversai il cortile sterrato, arrivando presto al grande campo da calcio, coperto di terra. Vicino ad esso c'era una zona abbastanza isolata e tranquilla, con qualche albero che, con la sua fronda, riparava dal sole caldo che batteva in cielo.

Trovai Elia seduta sull'erba, la schiena appoggiata ad un tronco e lo sguardo assorto tra le pagine di un libro: Poesie di Pablo Neruda.

Il mio cuore ebbe un sussulto quando vidi il volume, ma cercai di mantenere un certo controllo, limitandomi a schiarirmi la voce per annunciare la mia presenza.

Elia sollevò lo sguardo e quando mi riconobbe disse semplicemente: "Ciao"

"C-ciao" balbettai, rendendomi conto che non ero capace di darmi un contegno.

Elia si alzò, poggiando una mano sull'albero dietro di lui e poi si avvicinò a me, superandomi e osservando alcuni ragazzi che stavano giocando a pallone a qualche metro da noi.

"Di cosa volevi parlarmi?" chiese poi, girando il busto verso di me per intercettare il mio volto.

Mi voltai per stare di fronte a lui e poi feci vagare gli occhi intorno a me, alla ricerca delle parole giuste. Ma non potevo pensarci prima?

Adocchiai il libro che teneva ancora in mano e la sicurezza che mi mancava tornò a scorrere nelle mie vene. Presi un profondo respiro e dissi: "Sei tu E.?"

Elia rimase serio qualche secondo, ma poi corrugò le sopracciglia confuso e domandò: "Chi, scusa?"

Presi a tormentarmi le mani, cercando di non fissarlo direttamente negli occhi, mentre lui faceva tutto il contrario con me. "E... il mio ammiratore segreto"

L'avevo detto. L'avevo detto davvero!

"Il tuo amm..." iniziò a dire Elia, ma poi si irrigidì di colpo e portò la sua attenzione a qualcosa oltre le sue spalle, girando leggermente la testa. Senza che avessi il tempo di realizzare ciò che stava succedendo, Elia spostò il suo corpo leggermente a destra ed evitò così di scontrarsi con un pallone che arrivava a gran velocità verso di noi.

Nonostante fosse nella mia piena visuale, per lo stato mentale in cui ero, non vidi quel pallone e sfortunatamente non fui altrettanto reattiva come Elia, perciò mi colpì in pieno viso, lasciandomi totalmente stordita.

Dopo essersi schiantata sul mio volto, la palla rotolò ai miei piedi e i miei occhi misero a fuoco l'espressione sbalordita e un po' preoccupata di Elia. Era la prima volta che lo vedevo con quella faccia e magari avrei anche trovato la cosa divertente, se non fosse stato per il sangue che aveva cominciato a scorrere giù dal mio naso per finirmi dritto sulle labbra.

"Liv..." sussurrò Elia, avvicinandosi a me per controllare la situazione, ma uno dei ragazzi che stava giocando ci raggiunse, scusandosi, mortificato per quanto successo.

Finalmente la mia testa ricollegò tutti i cavi e ricominciai a muovermi, frugando nelle tasche dei miei pantaloni, alla ricerca di un fazzoletto, che ovviamente non trovai. Mi portai una mano davanti al naso, per nascondere quell'orrore e non mi resi neanche conto che qualche lacrima aveva cominciato a bagnare le mie guance, forse per il dolore, forse per il cocente imbarazzo.

Fu allora che sentii il braccio di Elia posarsi gentilmente sulle mie spalle e con delicatezza prese a guidarmi fino all'infermeria, facendo attenzione a percorrere i corridoi più deserti, per evitare di aumentare il mio disagio.

Non mi sarei mai aspettata tanta premura da parte sua, ma in quel momento la mia principale preoccupazione era che il mio naso non fosse rotto.

L'infermiera mi esaminò con cura e mi medicò come meglio poteva, rassicurandomi del fatto che non era nulla di grave e che avevo solo preso una bella botta. Mi raccomandò di tenere il ghiaccio fino a domani e di mettere una pomata per attenuare il gonfiore.

Non volevo nemmeno guardarmi allo specchio, ero sicuramente un disastro. Quando rimasi sola, seduta sul lettino dell'infermeria, controllai la mia maglietta bianca che era rimasta macchiata da tante piccole gocce rosse e pensai che le mie guance dovevano avere lo stesso colore.

Non solo avevo perso sangue davanti a Elia, mi ero pure messa a piangere, proprio come una bambina. Forse Edoardo aveva ragione.

"Liv, posso?" la voce di Elia mi colpì con tutta la sua potenza, nonostante avesse parlato quasi a bassa voce per non disturbare.

Credevo mi avesse portato fino a qua e se ne fosse andato subito dopo. Ero rimasta venti minuti con l'infermiera, aveva aspettato fuori per tutto questo tempo?

"Sì" mormorai, abbassando subito la testa per evitare di farmi vedere.

"Stai bene?" il suo tono non era freddo come al solito, sembrava quasi preoccupato, mentre faceva capolino dalla porta, avanzando di qualche passo verso di me.

Annuii impercettibilmente e poi spiegai: "Per fortuna non è rotto"

Mi vergognavo terribilmente per tutta la situazione e la cosa peggiore di tutte era che, nonostante avessi trovato il coraggio di chiederlo, ancora non sapevo se fosse lui il mio E.

"Credevo l'avresti evitata" si giustificò il ragazzo, arrivando di fronte a me e entrando con le scarpe da ginnastica nel mio campo visivo, ancora rivolto al pavimento.

"Non l'avevo vista" mormorai, catturando il labbro inferiore con i denti per trattenere l'imbarazzo.

Elia rimase in silenzio qualche secondo e poi si piegò sulle ginocchia, arrivando con il volto davanti al mio e mi rivolse un lungo sguardo apprensivo. Non potevo sostenerlo, così spostai la mia attenzione oltre le sue spalle.

"Mi dispiace" mormorò lui, poggiando i palmi delle sue mani sulle mie ginocchia e irradiando così un forte calore lungo le mie gambe: "Avrei dovuto farmi colpire, ho agito d'istinto"

Sempre fissando un punto indefinito del muro, risposi: "Non è stata colpa tua"

Elia sospirò, scuotendo la testa. Sembrava in difficoltà e non mi sarei mai aspettata di vederlo in quello stato. Si portò una mano dietro la testa, scompigliandosi i capelli e poi la riportò sul mio ginocchio.

"Liv..." il sua voce pareva dispiaciuta, perciò mi feci coraggio, inghiottii tutto il mio disagio e puntai le mie pupille nelle sue. Sembravano una tenebrosa distesa di mistero, ma specchiandomici, riconobbi qualcosa... paura?

"Non sono io il tuo ammiratore segreto... scusa" quelle parole mi tolsero il fiato dai polmoni e l'imbarazzo tornò prepotentemente a impossessarsi del mio corpo.

Non era lui il mio E. Sentivo qualcosa in fondo al cuore, era forse dispiacere questo?

"Va bene" riuscii solo a dire, tornando a fissare il pavimento per porre fine a quel supplizio. Tuttavia Elia non si mosse dalla sua posizione, anzi tornò a parlare, aggiungendo: "Ma... voglio davvero essere tuo amico"

Il suo tono non suonava più sicuro come prima, come se non fosse abituato a dire cose del genere, e probabilmente era proprio così, perciò questa sua confessione mi fece alzare lo sguardo verso il suo.

Sul suo volto, per la prima volta, c'era un vero sorriso sincero. 

Cari amici, siamo entrati ormai nel vivo della storia e sono davvero contenta del seguito che sta avendo questa mia nuova storia. Vi comunico che ho concluso la stesura di tutti i capitoli, perciò ora mi affido al vostro giudizio. Preferite un aggiornamento al lunedì e uno al giovedì, come sto facendo da inizio storia, o volete l'aggiornamento giornaliero? 

Tuo E.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora