Epilogo.

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Nicole Pov.

"Nico, vieni ad aiutarmi per favore..." urlo verso l'altra stanza.
"Che succede?"
"Mi sono appena spiaggiata sulla poltrona e non arrivo al telecomando." dico, mentre alzo le gambe per distendermi meglio sul poggia piedi.

Lui noi fa storie, prende il telecomando e me lo passa.

"Ti porto altro?"
"No, grazie."

Si sta per avviare verso la sua stanza, quando riprendo a parlare.

"Stavo notando..."
"Si?" Si ferma davanti la porta del salone.
"La tua voce si è abbassata ancora di più." Mi viene da sorridere.
"Dai, mamma! Direi che è anche il momento, a settembre inizio la seconda media e tutti i miei amici hanno la voce molto più maschile della mia."
"Beh, ognuno con i suoi tempi! Che fretta hai?"
"Ma sembravo l'unico bambino rimasto del gruppo!"

A me viene da ridere, ma devo poi trattenermi per delle fitte alla pancia.

"Tutto bene?" Mi chiede preoccupato.
"Si si, tranquillo."

Eh si, a settembre Nicholas inizierà la seconda media.
Sembra passata una vita da quando era un piccolo nanetto che non stava mai fermo.
Ne sono successe di cose in questi anni.
I miei anni di studio si sono conclusi due anni fa. È stato bello e faticoso allo stesso tempo, ma mi manca la vita da universitaria. Pochi mesi dopo la laurea ho avuto la fortuna di essere chiamata in un'importante agenzia di New York, per un tirocinio e, dopo un anno circa, sono stata assunta. È stato un anno difficile, ma sono riuscita a farmi valere e da circa sei mesi sono effettivamente una delle più competenti, tra i ragazzi più giovani.

Gli studi di Jessica invece sono stati più lunghi e tormentati. L'anno scorso ha finalmente iniziato il tirocinio all'ospedale dove lavora ancora suo padre. Il che non le rende le cose facili, perché, ovviamente, viene trattata come la raccomandata di turno, nonostante abbia studiato notte e giorno, e continui a farlo.
Per lei la strada è ancora lunga, io invece spero di poter continuare a lavorare in questa agenzia per molti anni a seguire, perché mi trovo veramente bene e sono anche riuscita ad avere un aumento di stipendio.

Per quanto riguarda la nostra storia, beh, che dire. Siamo state brave a riuscire ad arrivare fino a qui. Abbiamo avuto tanti momenti no, momenti in cui abbiamo messo in dubbio la nostra storia e momenti così belli che, come le dico sempre, quasi annullano tutti quelli brutti.
Abbiamo fatto nuove esperienze, conosciuto nuova gente e abbiamo viaggiato, molto.
In gruppo, con Nicholas, solo noi due.
Insomma, non ci siamo fatte mancare nulla.
E adesso viviamo insieme, tutti e tre.
Fino alla mia laurea abbiamo continuato a vivere in dormitorio, per risparmiare sulle spese, invece, da poco meno di un anno siamo riuscite ad acquistare una bella casa, sempre a New York ma quasi in periferia, a due piani e con un bel giardino. Molto simile a quelle dei nostri genitori.
Erano anni che sognavo una casa del genere e, dopo qualche piccolo intervento e con l'arrivo dei nuovi mobili, quando finalmente siamo riusciti a trasferisci qui è stato come se avessi spuntato un'altra casella dalla lista delle cose a cui aspiravo nella vita.

Abbiamo ancora lo stesso gruppo di amici e di questo non posso che essere fiera. Una volta finita l'università, molte persone si allontanano, noi invece siamo riusciti a mantenere i contatti, nonostante i vari impegni.
E poi, io e Caroline non ci saremmo di certo separate per così poco.
Anche lei ha un bel posto di lavoro, per fortuna. Con Mark, invece, non le va poi così bene. I due si sono lasciati qualche anno fa. Lui sembra sia andato avanti, frequenta altre ragazze e si gode la vita, lei invece credo sia ancora totalmente innamorata, nonostante abbia provato ad uscire con altra gente.

Ah, e poi, io sono incinta.
Già.
Io.
Nicole, incinta.
Chi l'avrebbe mai detto.
È stato strano per me arrivare a questa conclusione, eppure alla fine ho abbracciato l'idea.
Fino a qualche anno fa, il pensiero di diventare madre non mi sfiorava neanche l'anticamera del cervello. Insomma, non sono fatta per prendermi cura di un altro essere umano, penso sia assodata come cosa.
E poi, è tutt'altro che semplice. Non si tratta solo di cambiare pannolini o fare nottate. Si tratta di educare qualcuno al mondo esterno. Se quel bambino avrà comportamenti sbagliati, l'ottanta percento della colpa sarà la tua.
Per non parlare del fatto che poi questo bambino crescerà. Come potrei permettere che qualcuno passi la stessa adolescenza che ho passato io?
Insomma, non ho mai veramente gradito l'idea di dover avere un tale peso sulle spalle.
Il peso di un'adolescenza rovinata.
Poi, un giorno, parlandone a caso con Jessica, mi sono accorta che, se mai nella vita avessi deciso di avere un bambino, quel peso non sarebbe stato solo mio. Avrei avuto accanto lei e quel bambino avrebbe avuto il giusto supporto per superare quegli anni.
Anni che, per me, sono stati orribili. Anni che ho passato in silenzio, per paura di parlane con i miei genitori, che nonostante fossero presenti, non si sono mai accorti del mio malessere.
E, se da un lato questa cosa mi turba immensamente, dall'altro so cosa si prova e non potrei mai permettere che accada.

E così è successo. Prima una frase buttata lì, poi un discorso semi serio, fino ad arrivare alla conclusione che avere un altro figlio non sarebbe stato poi così male.
Dico "un altro", perché infondo Nicholas è come se fosse nostro, nonostante Josh sia sempre rimasto presente nella sua vita. Però, sin da subito ho avuto un legame speciale con Nicholas e quando lui ha iniziato a chiamarmi mamma, dal nulla, abbiamo capito che sarebbe stato bello crescerlo insieme. E lo è stato.

Nico è un ragazzino d'oro, sempre gentile, attento e soprattutto in gamba a scuola. E il fatto che, ancora oggi, lui continui a considerarmi sua madre, non può che riempirmi il cuore di gioia. A lui sembra andar bene questa famiglia allargata, due mamme, un papà e sei nonni. Perché, ovviamente, i miei genitori ormai lo trattano come se fosse un nipote e lo viziano tantissimo.

E quindi, abbiamo deciso di allargare la famiglia. Nessuna delle due voleva avere a che fare con un pargoletto a cinquant'anni, quindi abbiamo optato per questo periodo. Lei avrebbe portato volentieri avanti una gravidanza, ma essendo nei pieni anni di specializzazione, le sarebbe costato molto. Si, vogliamo essere mamme, ma questo non ci deve impedire di avere anche una carriera.
E quindi, dopo averci pensato per mesi, lo ammetto, ho deciso di provarci io.
I primi tempi è stato snervante, perché non riuscivo a restare incinta. Abbiamo provato veramente di tutto. Ad un certo punto, avevamo anche deciso che avremmo proseguito con l'adozione. Infondo, per noi stava diventando importante l'idea di poter allargare la nostra famiglia, non importava come, sarebbe stata una scelta importante, ma sentita e voluta.
E poi, un giorno, ecco che il test di gravidanza è risultato positivo.
Ricordo ancora la gioia negli occhi di Nico quando gli demmo la notizia. Era così eccitato all'idea di diventare, finalmente, fratello.
E Jessica, quasi scoppiava a piangere. Ammetto di averle preparato una bella sorpresa per farglielo sapere. Non volevo dirglielo così, dal nulla.
Una sera, le ho fatto trovare davanti all'ingresso, accanto alle sue scarpe, alle mie e quelle di Nicholas, un paio di scarpe da bambino. Poi, sul divano, ho fatto la stessa cosa con tre nostre magliette e una piccola da neonato accanto. Ed infine, in cucina, ho apparecchiato per quattro, con delle posate per bambini al quarto posto.
Lei mi è venuta a cercare e mi ha chiesto se fossi incinta, quando ho annuito, è corsa ad abbracciarmi e ho chiaramente potuto vedere i suoi occhi lucidi.
È stato davvero emozionante.

Ho sempre trovato strana l'idea di avere un essere vivente dentro il corpo, che cresce grazie a te e che riconosce la tua voce o quella delle persone a te care.
Eppure, adesso che questo esserino è nella mia pancia da nove mesi, posso giurare che sia una delle cose più giuste che io abbia fatto nella mia vita. Non dico che non sia stato faticoso, ma sicuramente ha i suoi aspetti positivi.
Come quando siamo io e lei, e allora io parlo da sola e lei scalcia, come se volesse farmi capire che mi sta ascoltando. O quando tira calci quando a chiamarla sono Jessica e Nico. Insomma, sono belle sensazioni che a parole è quasi impossibile spiegare.

"Senti mamma..." Nicholas interrompe i miei pensieri.
"Dimmi."
"Posso uscire? Dei miei amici hanno trovato un nuovo posto dove fare skateboard e alcuni sono già lì!"
"E dove sarebbe questo posto?"
"Qui.." Nico avvicina il cellulare con indicata la posizione di questo luogo.
"Nico ma è lontanissimo, come pensi di arrivarci?" la mia voce si fa più seria.
"Con la metropolitana, no?"
"Siamo in pieno luglio, sono le tre del pomeriggio, fa caldissimo e inoltre saresti da solo, immagino. Cosa ti fa pensare che io ti lascerò prendere la metropolitana a queste condizioni?"
"Dai, ma sono già andato in metro, che cambia se sono da solo o con altri amici?"
"Beh, che sei con altri amici, per esempio!"
"Daai! Sono quasi tutti lì!"
"No. Mi dispiace, se fossi stata in condizioni migliori ti avrei accompagnata io, lo sai, ma da solo no."

Ha solo dodici anni, non lo farò mai uscire da solo.
Con Jessica, solo da poco tempo gli abbiamo permesso di iniziare ad uscire con i suoi amici. Sempre in orari giusti e sotto molte raccomandazioni e condizioni.
Fino ad ora si è sempre comportato bene, ha sempre risposto ai nostri messaggi e alle nostre chiamate, rispettando gli orari.
Ma non lascerò che inizi ad andare in giro in metro così piccolo, ho una fottuta paura possa succedergli qualcosa. Per me lui è ancora un bambino.

"Ti prometto che sarò a casa prima di cena!" continua ad insistere, con questa sua voce ormai diversa, che quasi stento a riconoscere.

Sto per ribattere, quando altre contrazioni invadono il mio corpo.

"Dovrei chiamare la mamma?" mi chiede Nico, vedendomi sofferente.
"Credo proprio di sì, mi ha chiesto di monitorarle e stanno diventando sempre più frequenti."

Nico mi passa il cellulare ed io cerco il numero della mia ragazza in rubrica. Già, al contrario di quanto molti pensano, non ci siamo ancora sposate. Probabilmente sarà il prossimo step, dopo la nascita di questa peste che continua a farmi soffrire.

"Hey, ti stavo per chiamare, ho appena finito il turno." Mi risponde lei dall'altro capo del telefono.
"Forse è il caso che resti li invece, le contrazioni sono sempre più frequenti e preferirei andare in ospedale per essere monitorata."
"Oh, ok! Allora ti vengo subito a prendere!"
"Ma no, posso anche farcela..." a stento riesco a finire la frase che sento un'altra contrazione.
"No, dammi dieci minuti e sono li. Chiedi a Nico di prendere intanto tutto il necessario."

Chiudiamo la chiamata e faccio come dice, abbiamo già tutto pronto, dobbiamo solo metterlo in macchina.

"Ma sbrigati ad uscire piuttosto che farmi soffrire così!" urlo, sotto lo sguardo preoccupato e divertito allo stesso tempo di Nico. "Tu non ridere!" gli punto il dito contro e lui alza le mani in alto, in segno di resa.

Jessica riesce ad arrivare in poco tempo, fortunatamente.
Mi controlla i battiti e poi mi massaggia un po' il pancione, non so esattamente cosa stia cercando di fare, però riesce un po' ad alleviarmi il dolore.

"Sei pronta ad andare?" mi sorride.

Non so come, ma è riuscita a calmare la mia agitazione e, lievemente, anche i miei dolori.
Io annuisco e poi la bacio.
Ci spostiamo tutti in auto, Nico compreso, e ci dirigiamo in ospedale.
Una volta arrivati, mi sistemano in una stanza, insieme ad un'altra donna, in procinto di parto anche lei, dove mi tengono sotto controllo, monitorando le contrazioni e tutto il resto.
Sono un po' agitata, perché a quanto mi hanno fatto capire, manca ancora un bel po' alla nascita. Ed io non sono proprio brava a sopportare il dolore. Io sono esattamente un uomo quando si tratta di queste cose.

"Ti ho portato un thè caldo, ti aiuterà a calmare il dolore..." Jessica si avvicina a me con un bicchiere.
"Non puoi chiedere a qualcuno di tirarla semplicemente fuori? Sono qui da più di un'ora e non ce la faccio più..." mi lamento.

Lei ride e vedo la mia compagna di stanza ridere sotto i baffi.

"Ne abbiamo parlato Nic, eri preparata a tutto questo."

Jess si sdraia accanto a me, accarezzandomi i capelli con una mano e la pancia con l'altra.

"Ma non è vero, un conto è essere preparati a parole, un conto è provarla tutta questa sofferenza."

Mi bacia la fronte, mentre continua a ridere.
Dal canto mio, continuo a lamentarmi ancora.

Scambiamo qualche chiacchera con la donna sul letto accanto al mio, lei è da sola, senza un marito o una fidanzata a tenerle la mano. Nessun parente, nessuna amica.
Tutto ciò mi ha intristito parecchio, soprattutto perché da poco sono arrivati quasi tutti i nostri amici e vedere il mio lato della stanza stracolmo di gente e il suo completamente vuoto mi fa capire quanto la vita possa veramente essere una merda.
Anche i miei genitori sono arrivati, così come quelli di Jess.
Lei invece nulla. Il tempo passa e nessuno arriva dal suo lato della stanza.
Un momento del genere non dovrebbe mai essere vissuto in tristezza e in solitudine. Ci sono così tante possibili storie che potrebbero appartenere a questa ragazza.

"Jess, io non ce la faccio più." Le dico ormai completamente sudata, nonostante i condizionatori accesi.

Non so neanche quante cazzo di ore siano passate.
Jessica fa avanti e indietro per la stanza, alla ricerca delle infermiere e della ginecologa che mi assisterà durante il parto e che mi ha seguito per tutta la gravidanza, invece gli altri ragazzi si alternano per farmi un po' di compagnia.
È quasi ora di cena e adesso si sono allontanati tutti, credo torneranno tra un bel po'.

"Vuoi qualcosa da mangiare? Magari non ci pensi..." povera, sta cercando di non farmi star male in ogni modo.
"No, adesso non mi va, magari più tardi. Piuttosto, perché tu non raggiungi gli altri? Non mangi da ore..." continuo io.
"Beh, in effetti un po' di fame l'avrei..."
"Vai, dai... Prendi un po' d'aria." È sempre rimasta al mio fianco, anche lei merita un po' di stacco.

Annuisce, mi bacia e poi, dopo aver preso la borsa, esce fuori dalla stanza.

"Siete proprio carine." È la mia compagna di stanza a parlare.
"Grazie..." arrossisco un po'. È sempre bello sentirselo dire. "Vuoi qualcosa da mangiare? Le dico di portarti qualcosa quando torna?" continuo.
"Ma no, figurati... C'è il cibo della mensa." abbassa lo sguardo.
"Nessuna persona merita di mangiare quelle schifezze."

Entrambe ridiamo e poi io, ovviamente, chiamo subito Jessica e le dico di portare qualcosa da mangiare in più.
La mia compagna di stanza continua a ringraziarmi.

"Sei da sola?" mi decido a chiedere.
"Già..."

Bene, adesso come continuo il discorso senza sembrare invadente?

"Ti va di adottare il mio bambino?" è lei invece a continuare, spiazzandomi con questa domanda.
"Co.. Cosa scusa?"

Oddio, ormai queste domande si fanno così? All'improvviso?

"Io non posso tenerlo, tu e la tua ragazza sembrate gentili."

Oh cielo, si sta davvero basando su delle impressioni di qualche ora?

"Sei sicura di volerlo dare via? Potrebbe essere uno dei più grandi rimpianti della tua vita, se ci tieni un po' a lui."
"Ne sono consapevole, ma sono una donna sola. Questa non è neanche la mia città, sono venuta qui solo per potergli permettere di crescere in una grande metropoli ed avere le opportunità che io non ho avuto." Abbassa lo sguardo.
"Guarda che ci sono molte comunità che aiutano le donne sole, con bambini. Io ne conosco alcune, posso portartici io." Mi metto a sedere un po' più comoda.
"Perché faresti una cosa del genere?" mi guarda stupita.
"Perché nessuno merita di essere separato dal proprio figlio. Ci sono donne a cui non importa, invece il solo fatto che tu stia già pensando al suo futuro, mi fa intendere che lo ami come una madre debba fare."

Lei resta qualche minuto in silenzio, a fissare un punto impreciso del pavimento.

"Ti darebbero un tetto sotto cui vivere e la possibilità di trovare un lavoro. Inoltre saresti circondata da altre donne che vivono la tua stessa esperienza, potrebbe essere motivazionale." Continuo io.

Io e Caroline non abbiamo mai smesso di dedicarci al volontariato e, oltre l'orfanotrofio dove continuiamo ad andare ogni anno, ci siamo avvicinate a queste comunità di ragazze o donne madri, senza nessuno, che decidono comunque di non arrendersi alla vita.

Il discorso è rimasto incompleto, in quanto io sono stata travolta da dei forti dolori dovuti alle contrazioni e sono finalmente stata trasportata in sala parto.

Non saprei descrivere bene ciò che è accaduto dopo.
Dolori intensi.
Medici e infermieri.
Jessica che arriva col fiatone.
Le spinte.
Le urla.
Jessica che mi tiene la mano.

Vorrei avere mia madre, qui, adesso. Ho bisogno di lei.

Jessica riesce a convincere una delle infermiere a far entrare mia madre, che si fionda immediatamente su di me. Mi stringe una mano, mi dice di respirare.
E piange.
Dall'ansia, dalla paura, dall'agitazione.

Mi calma avere mia madre da un lato e Jessica dall'altro.
Mi calma, per quanto una donna possa restare calma in questo momento. Perché, dalle urla che sto lanciando, nessuno direbbe che sono calma.
Fa male. E le infermiere che continuano a dirmi di spingere mi fanno venir voglia di lanciar loro un calcio.
Ok, tanto calma forse non sono.

Dalla mia bocca esce un ultimo urlo stremato. Sfiancato. Non ho più le forze.
C'è un attimo di silenzio, per pochi attimi nessuno fiata.
Poi lo sento. Il pianto di un neonato.
Un pianto che, a sua volta, scatena il mio.
Non era previsto, eppure le lacrime invadono il mio volto.
Anche mia madre e Jessica stanno piangendo.
Passa meno di un minuto e una delle infermiere si avvicina a me e poggia un piccolo essere umano sul mio petto.
Ed è come tornare a respirare, dopo ore e ore di agonia.

Mi riportano in stanza, stremata da ogni forza. Portano anche la culla.
Non riesco a staccarle gli occhi di dosso.
È così minuscola.
Ha i capelli scuri, come i miei. E ne ha davvero tanti, rispetto agli altri neonati.
Jessica entra in stanza e si sofferma a guardarla. I suoi occhi brillano.
Poi si avvicina. Si siede sul letto, di fianco a me, si china e mi bacia la fronte e poi si appoggia ad essa con la sua.

"Ce l'hai fatta." Sussurra.
"Ce l'ho fatta..."
"È bellissima.."

Io mi volto a guardare verso la culla, poi torno verso Jessica.

"Sono stanchissima..."
"Vuoi riposare? Dico a tutti di entrare più tardi a farti visita.."
"Fai entrare intanto Nico e poi i miei genitori."

Si alza, si avvicina alla porta e poco dopo vedo entrare Nicholas.

"Hey.." gli sorrido.

Lui si avvicina timidamente alla culla e poi si ferma a guardarla. Dopo qualche attimo di esitazione, si inginocchia all'altezza di quella scatola trasparente e avvicina la sua mano, ormai grande, a quella della sorella, che non perde tempo a stringergli il dito.
Si volta per qualche secondo verso me e Jessica, poi torna a guardare quel minuscolo essere umano ed un sorriso spontaneo nasce sul suo volto.

"Ciao Julia." Non le stacca gli occhi di dosso.

Mi volto verso Jessica che, come immaginavo, ha gli occhi lucidi.

"Amore..." la chiamo.

Lei si volta verso di me e si asciuga al volo le lacrime.

"Non sto piangendo..." tira su con il naso.

Io e Nico ci lasciamo andare ad una sonora risata e lei sbuffa un po'.
Anche i miei genitori, seguiti da mio fratello, entrano in camera. Mio padre ha gli occhi lucidi, è così felice di poter avere una nipotina femmina. Lui è sempre stato bravo con i bambini e loro lo adorano, non vedo l'ora di vedere il legame che creeranno.
Mio fratello si avvicina al letto per abbracciarmi e poi, anche lui, si sofferma a guardare la piccola.

"Anche tu, quando sei nata, avevi un sacco di capelli scuri." Sorride mia madre.

Io sorrido, avendo in mente tutte le fotografie di me da neonata, ed è proprio vero, su questo punto di vista, siamo molto simili.
Chissà se svilupperà altre caratteristiche che ricorderanno me.

Vediamo entrare in stanza una delle infermiere che trascina un letto e mi rendo conto che sdraiata su di esso vi è la donna con cui ho parlato poco prima di partorire.
A seguito, un'altra infermiera con la culla, che sistema proprio accanto a lei.
La guardo e le sorrido, lei ricambia. Spero di avere modo di poter continuare il discorso di prima.

Poco dopo la mia famiglia esce dalla stanza per lasciar spazio ai genitori di Jessica, che però non restano molto, perché io mi sento davvero stanca e non ho voglia di avere tutta questa gente intorno. Solo Caroline ha insistito per poter entrare a salutarmi e guardare la piccola, mentre gli altri torneranno domani a farmi visita.
La mia migliore amica mi stringe e piange, mentre scatta delle foto alla bimba da far vedere poi al resto della truppa.

Però stanotte, resterà mia madre qui con me, mentre Jessica torna a casa con Nicholas.
Sono così stanca che potrei dormire per giorni, ma i dolori post parto mi perseguitano per le ore successive, tant'è che nel bel mezzo della notte mi ritrovo a girarmi e rigirarmi, stringendo i denti per non svegliare mia madre, che, però, è totalmente in ansia per me, quindi anche lei non ha poi dormito chissà quanto e ha fatto di tutto per potermi aiutare, facendomi cambiare posizione o chiamando delle infermiere.
Non ha lasciato la mia stanza neanche per un secondo. Aveva quasi paura a chiudere gli occhi per provare a dormire.

Una volta lessi una citazione che affermava il fatto di come tutti, durante un parto, si preoccupassero del bambino in arrivo, mentre la madre della futura mamma si preoccupa solo ed esclusivamente di sua figlia. Ed è vero, sia adesso che prima che nascesse, mia madre non ha smesso un attimo di preoccuparsi per me, non sopportava di vedermi soffrire. Ed è diverso da una preoccupazione che possono provare gli amici o i partner.
Non ha smesso un attimo di tenere gli occhi su di me, consigliandomi in base alla sua esperienza e agli errori che lei pensa di aver commesso con noi, per permettermi di essere una madre migliore.
Con questo non voglio dire che non si sia preoccupata della sua nipotina, anzi, ogni cinque minuti andava a controllare che stesse bene, ma le attenzioni che ha riservato a me, la preoccupazione nei suoi occhi, l'ansia papabile di vedermi soffrire, ecco, queste sono cose che mi hanno davvero scaldato il cuore.

Al mattino, dopo essere riuscita ad allattare Julia ed essermi lavata, mi rendo conto che il letto accanto al mio è vuoto.
Chiamo una delle infermiere e chiedo come mai la mia compagna di stanza sia stata già dimessa, l'infermiera mi risponde che ha deciso di andare via e di dare in adozione il bambino, che al momento si trova in pediatria.

"No! No! Dobbiamo contattarla in qualche modo, le ho detto che l'avrei aiutata!" mi dimeno, cercando di mettermi seduta.

L'infermiera fa spallucce, dicendomi che se avesse davvero voluto il mio aiuto, sarebbe rimasta.
Forse è vero, forse mi ha dato quella falsa speranza solo per farmi stare zitta. Forse non ha mai voluto essere aiutata.
Questo avvenimento mi rattrista davvero tanto, ne ho viste in questi anni donne riprendersi e mi dispiace non essere riuscita a convincerla a provarci.
Probabilmente sarebbe stato ancora peggio, se avesse dovuto separarsi da lui nel tempo. In fondo, chi sono io per decidere del destino di una donna e di suo figlio? Probabilmente lui avrà veramente una vita migliore e magari anche lei riuscirà a stabilizzarsi.

"Ma di cosa stai parlando?" mia madre mi aiuta a sistemarmi meglio nel letto.

Le spiego la situazione e lei mi ripete esattamente le stesse parole dall'infermiera, se avesse voluto farsi aiutare da me, lo avrebbe fatto.

Julia ha passato la notte tranquillamente, per mia fortuna. Caspita, ancora non ci credo che quell'essere umano è stato per nove mesi dentro al mio corpo.
È così piccola e mi scombussola lo stomaco guardarla. Sono ufficialmente responsabile della sua vita. Della sua educazione, di ciò che sarà, una volta adulta.
Mi metto seduta e la prendo tra le mie braccia. Lei è sveglia e si guarda intorno, chissà come le appaiono tutte queste nuove forme.
Non vedo l'ora di osservarla mentre scopre il mondo, voglio restarle accanto ogni singolo istante della sua vita.
Commetterò errori? Sicuramente. Non credo esista al mondo madre che non commetta errori o che crede di aver fatto tutto nel modo giusto.
E forse è normale, siamo esseri umani. Però, senza alcun dubbio, farò del mio meglio.

Nelle ore a seguire mia madre e Jessica si sono date il cambio. Nicholas è rimasto a casa dei genitori di Jessica, che verranno nel pomeriggio, mentre Julia è con i medici, a fare i controlli di routine.

"Come ti senti?" Jessica si siede sul mio letto.
"Un po' dolorante."

Lei si avvicina teneramente e mi bacia, io le prendo il viso tra le mani e dopo qualche secondo porto il mio viso nell'incavo del suo collo, come a nascondermici, e la stringo a me.
Lei ricambia l'abbraccio e mi lascia un bacio sulla testa.

"Ho paura..." sussurro.
"È normale piccola, anche io ne ho. Tanta. Ma andrà bene, stai tranquilla." Continua ad accarezzarmi i capelli.

Entro poco tempo vediamo rientrare in stanza un'infermiera con la culla di Julia.
Ci informa che la piccola sta bene e che domani potremmo tornare a casa.
La donna va via e Jessica si avvicina alla bambina, che è sveglia.
La prende in braccio e quasi mi viene voglia di piangere nel vedere questa scena.
Jessica le sorride e le parla ed io non posso non soffermarmi sulla bellezza della mia ragazza.
È sempre stata bellissima, ma devo ammettere che, crescendo, lo è diventata ancora di più.

Questi anni con Jessica sono stati così intensi. Abbiamo avuto i nostri altri e bassi, come è giusto che sia. Una o due volte siamo addirittura arrivate a mettere in discussione la nostra storia. Però, poi, siamo riuscite a ritrovarci, come facciamo ad ogni litigio e come facciamo ogni sera, quando entrambe ci stendiamo a letto e abbiamo avvenimenti delle nostre giornate lavorative da raccontarci. Ed infondo, era quello che volevo. Siamo riuscite a raggiungere un equilibrio invidiabile, che spesso gli altri non capiscono.
C'è una totale fiducia tra di noi che ormai niente può scalfire. Se prima entrambe ci facevamo prendere dalla gelosia per dei messaggi mancati o per delle sciocchezze, adesso sappiamo che la nostra vita non si basa solo su quello, c'è così tanto amore dietro, che un messaggio mancato o una persona estranea che ci prova con l'altra, non possono far vacillare tutto.

La prima notte a casa con la piccola è andata abbastanza bene, certo, avrò dormito si e no due ore, perché ogni cinque minuti andavo a controllare che stesse bene, però lei non si è mai lamentata, anzi, ha dormito quasi tutto il tempo.

E così nei giorni a seguire. Stiamo iniziando a creare nuove abitudini, io non avevo mai avuto a che fare con dei bambini piccoli e per me è tutta una novità, però mi sto adattando bene, soprattutto con l'aiuto di mia madre. Jessica in alcune cose è molto più pratica, nonostante ormai siano passati anni da quando Nicholas era un neonato e anche lei non si fa mancare l'ansia, che addirittura a volte supera la mia.
Fortunatamente anche lei è riuscita a prendere un congedo dal lavoro, anche se solo per un mese, ma per lo meno non devo affrontare tutte queste novità da sola e lei non si perde i primi momenti con la piccola.

"Dobbiamo per forza preparare una festa per la bambina?" le dico, mentre sistemo le patatine in una ciotola.
"Me lo chiedi proprio cinque minuti prima dell'arrivo degli invitati?" mi risponde la mia fidanzata.

A poco più di una settimana di distanza dal parto, Caroline si è adoperata per organizzare una festa con amici e parenti per dare il benvenuto alla piccola. Le avevamo detto che non c'era bisogno, ma sappiamo tutti com'è Caroline.

"Smettila di lamentarti!" mi urla la mia migliore amica dalla cucina.

Sbuffo e lei mi urla di non sbuffare, ancora non mi capacito di come faccia a sentirmi ogni volta, nonostante si trovi in un'altra stanza.

"Piuttosto, vieni qui a darmi una mano!" urla ancora.
"Arrivo!"

Finisco di sistemare quella ciotola e poi mi sposto in cucina, dove Caroline sta sistemando le varie bibite sul tavolo, con bicchieri, tovaglioli e piattini vari.

"Che ti serve?"
"Puoi sistemare per favore quei vassoi?"
"Si, certo..."
"Nel frattempo, volevo raccontarti una cosa..." è di spalle, quindi chissà cosa avrà combinato.
"Sentiamo." Mi piazzo esattamente di fronte a lei, a braccia conserte.
"Non guardarmi così!"
"Non ti guardo in nessun modo, sono tutta orecchie."

Lei continua a far finta di sistemare, spostando cose a caso.

"L'altro giorno ho incontrato Mark in un pub, era con una ragazza. Ammetto di averla fulminata più volte con lo sguardo e lui se n'è accorto, Tant'è che quando lei è andata in bagno, lui è venuto al bancone dov'ero seduta e mi ha chiesto di smetterla. Io l'ho ignorato, ma una volta arrivata a casa non sono riuscita a non mandargli un messaggio..."
"Cosa? Potevi scrivermi, ti avrei fermata io!"
"Forse non ti ho scritto proprio per questo..."

Resto qualche attimo in silenzio.

"E cosa gli hai scritto?"
"Gli ho scritto che mi dispiace di aver guardato male quella ragazza, ma che per me è ancora inevitabile guardare male le ragazze con cui lui si frequenta. Lui mi ha risposto che non pensava stessi ancora così, dopo quasi due anni dalla nostra rottura e gli ho scritto che..."
"Che...?"
"Ero un po' brilla, quindi non urlarmi contro..."
"Car, cosa gli hai scritto?"
"... Che lo amo ancora."
"Ma no!" sbuffo, tirando la testa all'indietro.
"Lo so, non avrei dovuto. Però, dopo quel messaggio, si è presentato sotto casa mia e senza sapere come ci siamo ritrovati nella mia camera da letto..."
"Ah..." ok, ammetto di essere abbastanza confusa. Pensavo che Mark ormai avesse voltato pagina.
"Io ho realizzato cosa fosse successo solo la mattina successiva e non potevo neanche scappare via, perché quella era casa mia! Quindi ho aspettato che si svegliasse e dopo colazione abbiamo parlato un po'."
"E siete giunti alla conclusione che...?"
"All'inizio mi ha detto che lui ha provato ad allontanarmi per non farmi soffrire ancora, ma gli ho urlato contro che non ha nessun diritto di decidere quanto dolore io possa provare... Alla fine lui si è avvicinato a me e dopo avermi baciata mi ha chiesto se volessi riprovarci. Ovviamente non ci ho pensato due volte a rispondergli di sì."
"Sei sicura sia la soluzione giusta?"
"Si, Nic. Io ho bisogno di lui. Ci ho provato a vedere altra gente, a non pensare a lui, fare altro... Ma la notte, ogni notte, io mi ritrovo a pensarci e sento troppo la sua mancanza."

Caroline non ha mai smesso di stare male per lui e, nonostante a volte sembrava stesse andando avanti, sapevo benissimo che non era così.
Probabilmente è così anche per Mark, non voglio credere che voglia riprovare a stare con lei per prenderla in giro o per altro, lei è stata la sua prima vera relazione. Sono stati importanti l'uno per l'altra e credo ancora in loro.

"Stavolta ci riuscirete." Le sorrido.

Nel frattempo, in cucina entra Jessica con una piccola Julia in braccio.

"Hey, che fate?" ci chiede.
"Chiacchiere, voi?" le dico, avvicinandomi alla piccola.
"Era un po' infastidita, così l'ho presa in braccio."

Anche Caroline si avvicina alla piccola e, una volta finito tutti i preparativi, ci spostiamo sul divano, in attesa che arrivino gli ospiti.

***

"Mamma.."

Sia io che Jessica ci voltiamo.

"Questo dove lo metto?" lui si rivolge ad entrambe.

Jessica si avvicina a lui e spostano i vari scatoloni che abbiamo da poco recuperato dal garage.

"Nic, secondo me tutte queste luci non funzionano!"
"Beh, sarebbero da provare... Dà qui, ci penso io!" mi avvicino e prendo uno degli scatoloni con tutte le lucine, per poi poggiarlo sul divano e iniziare a districare quella massa di nodi.

Suonano al campanello e Nico corre subito ad aprire.

"Ciao papà!" lo sentiamo dal salone.
"Ciao! Allora, sei pronto?"
"Certo!"

Josh entra in salone e trova il delirio più totale, infatti la sua espressione si trasforma in completa confusione.

"Oddio..."
"Si, lo sappiamo... Sembra ci sia stata una guerra, ma non ricordiamo dove abbiamo messo alcune cose!"
"Beh, buona fortuna..."
"Nico, mi raccomando! Quest'anno la scelta dell'albero ricade su di te!" Jessica si volta verso il ragazzino.
"Tranquilla mamma! Ho capito le istruzioni, non troppo alto, ma alto abbastanza. Non troppo ingombrante, ma grosso abbastanza!" lui ripete le cose che fino a ieri sera gli ha ripetuto la madre.
"Oddio, veramente dobbiamo cercare un albero del genere?" Josh è sempre più confuso.
"Si!" urliamo io e la mia ragazza.
"Va bene... Andiamo, prima che si faccia tardi!"

I due uomini escono di casa alla ricerca di quello che sarà il nostro albero di Natale per quest'anno, mentre io e Jessica restiamo in casa a cercare di sistemare i vari addobbi.
Già, è arrivato quasi il Natale.
Questi ultimi cinque mesi sono stati così intensi. Lunghi e allo stesso tempo brevi. Alcuni giorni sembravano non finire mai, il primo mese Julia ci ha fatto dormire davvero poco e ha avuto spesso delle coliche. Quei giorni sembravano fatti da quarantotto ore, quei pianti sembra non finissero mai. Poi invece c'erano giorni dove tutto era stupendo e quelli sono i giorni che trascorrevano così velocemente che a stento mi rendevo conto la giornata fosse finita.

E adesso eccoci qua, a mesi di distanza, con una Julia che inizia a scoprire le piccole cose, nuovi giochi, nuovi stimoli, nuovi sapori. Con una Jessica sempre più stanca ma contenta del suo tirocinio e con una Nicole che, per quanto ami stare a casa, adesso sente il bisogno di tornare al lavoro.
Nonostante questi mesi sia stato bellissimo stare a casa e crescere la mia bambina, sono consapevole del fatto che ho bisogno di riprendere in mano quella che era la mia vita sociale. Tornerò al lavoro dopo le vacanze natalizie e probabilmente sarà solo per mezza giornata, all'inizio, ma sarà comunque fantastico rivedere tutti i miei colleghi.
Chi l'avrebbe mai detto che sarei arrivata a sentirne la mancanza.

"Vuoi questa? Questa rossa? Oppure questa argentata? Eh?"

Mi volto e trovo una Jessica china sul seggiolone, intenta a far scegliere una pallina a Julia, che scoppia a ridere dopo averla presa.

"Ok, quella rossa! Bene. E questa la vuoi?" Le avvicina una piccola renna di plastica.

Julia si esalta e muove braccia e gambe, cercando poi di prendere quello che per lei è un altro giocattolo.
Mi fermo a guardare quelle due giocare e non posso non scattare delle foto o fare dei video. Ormai è diventata quasi una passione, fotografare Jessica e i bambini, e poi stamparle. In ogni angolo della casa ci sono foto di vari momenti, foto del nostro viaggio a Parigi, foto di Nico con un vestito di Halloween, foto delle nostre rispettive lauree. Ed ogni volta che vedo una di quelle foto, passando, non faccio altro che sorridere. Ci sono già degli angoli con alcune foto di Julia, una delle mie preferite è quella in cui Nico la tiene in braccio e la guarda, mentre lei sembra sorridere.

Riprendo a sistemare i vari addobbi, stasera avremo le nostre famiglie a cena e domani invece saremo tutti a casa di mia madre, per il pranzo di Natale.

"Sei pronta a tutto il casino di stasera?"

La mia ragazza mi stringe per i fianchi, mentre io cerco di non rovinare la glassa al cioccolato fondente che sto preparando.

"Decisamente no, ma sarà bello, come sempre." Mi sposto leggermente per poterla baciare.
"Come ti posso aiutare?"
"Mmmh.. In realtà non ho bisogno di particolare aiuto al momento, credo di avere tutto sotto controllo. Julia?"
"Sta giocando sul tappeto, in salone. Vado un po' da lei allora."
"Va bene, a dopo!"

Lei mi lascia un bacio sul collo e poi si sposta in salone.
Si, sto cucinando. Mi sono offerta di preparare il dolce per stasera, nulla di più. Al resto penseranno mia madre e la madre di Jessica, così mangiamo cose buone, sicuramente! Io e Jessica non siamo molto portate per la cucina e, quando ne abbiamo la possibilità, approfittiamo della buona cucina delle nostre mamme.

Poco dopo Josh e Nico sono ritornati a casa con un meraviglioso albero di Natale, che abbiamo decorato tutti insieme, Julia inclusa, con sottofondo musicale natalizio.
Una volta finito, Nicholas è andato a casa di Josh, per passare la vigilia di Natale con suo padre e con i suoi nonni, mentre domani sarà con noi. Ormai ci portiamo dietro questa tradizione da anni e non ci dispiace per nulla, soprattutto a Nico, che ha modo di trascorrere le feste con tutti i suoi nonni.

Qualche ora dopo ecco che mia madre arriva a casa con tutto il cibo che ha preparato, seguita da mio fratello, che le fa da mulo.
Neanche un'ora dopo ed ecco arrivare anche la famiglia di Jessica, manca solo mio padre, che arriva giusto prima di cena, causa lavoro.

Adesso che ci siamo tutti, la cena può finalmente iniziare, tra racconti lavorativi, aneddoti sulla somiglianza tra Julia e me alla sua età, argomenti sportivi e tanto, tanto cibo.
Domani invece ci scambieremo i regali di Natale.
Quest'anno, come ormai qualche anno a questa parte, ho optato per un regalo utile per la mia ragazza. Erano mesi che non faceva altro che parlare di una borsa ventiquattrore per tutti i vari documenti che deve portare ogni volta al lavoro e così ho deciso di prendergliela io, dato che non si decideva mai ad entrare in negozio, ma si limitava ad ammirarla in vetrina o sul sito online.

"Buon Natale!" facciamo tintinnare i nostri calici non appena ci accorgiamo che la mezzanotte è già passata da qualche minuto, distratti dalle nostre chiacchiere e dai giochi da tavolo.

Ci baciamo e ci abbracciamo, come facciamo ogni anno, felici di aver trascorso un nuovo anno insieme, tra i vari alti e bassi, ma comunque tutti insieme.
Finiamo la nostra partita a Tombola e poi le nostre famiglie decidono di tornare a casa, anche perché c'è un po' di strada da fare.

"Finalmente siamo sole..." mi sdraio accanto alla mia ragazza, accoccolandomi sul suo petto.

Lei mi accarezza i capelli, poi poggia il cellulare sul comodino e si tira su a sedere.

"Che succede?" le chiedo, poggiandomi su un gomito.
"Devo darti una cosa, anzi due cose..."

Mi tiro a sedere anche io, mentre lei tira fuori una busta e un pacchetto dal fondo del cassetto.

"Il mio regalo di Natale?" batto le mani e i miei occhi si illuminano, come fossi una bambina.

"Questo è il tuo regalo di Natale." Mi avvicina la sottile busta che tiene tra le mani.
"E quello?" chiedo, mentre guardo l'altro pacchetto.
"Prima apri questo."

È abbastanza sottile, come se dentro ci fossero dei fogli.
Inizio ad aprirla, senza cercare di romperla, e dentro vedo dei biglietti.
Oddio, un concerto? Oppure un giorno alla spa!
Tiro fuori quei pezzi di carta e noto subito che sono dei biglietti aerei.

"Tu sei pazza!" le dico sorridendo dall'emozione, ancora prima di guardare la destinazione.

Lei mi sorride a sua volta.

"Italia?!" Finalmente mi decido a leggere.
"Firenze e poi Venezia." I suoi occhi brillano mentre mi dice i nomi delle due città che ha scelto.
"Due città? Ma sei matta?"

Poggio sul letto la busta con dentro i biglietti e le salto letteralmente al collo, baciandola ripetutamente e senza riuscire a smettere di sorridere.
Lei mi stringe per i fianchi e ricambia ogni mio bacio, poi io mi metto a sedere sulle sue gambe, con le braccia ancora attorno al suo collo.

"Ma davvero?"
"Davvero!" Annuisce.
"Tre giorni a Firenze e tre giorni a Venezia, la settimana del tuo compleanno."

Io torno a prendere i biglietti, per leggere davvero i nomi delle destinazioni e il periodo.

"Ma ti sarà costato una fortuna!"
"Beh, questi non sono problemi tuoi!"
"E i bambini?"
"Vengono con noi, ovviamente."
"Oddio, sicura?"
"Nicole, ti stai facendo prendere dall'ansia!" lei ridacchia e mi prende il viso tra le mani. "Sarà il primo viaggio che faremo tutti e quattro, sarà spettacolare." Sussurra.

Io annuisco e mi rilasso tra le sue braccia, accoccolandomi a lei.

"Resti sempre la migliore nel fare regali. Aspetta, e l'altro pacchetto?" mi allontano, per guardarla meglio.
"Beh, quello non è proprio un regalo... è una cosa che volevo darti in vacanza, ma non credo di riuscire ad aspettare così tanto."
"Soprattutto adesso che me lo hai detto, non riuscirò mai ad aspettare tutto questo tempo!"

Torno a sedermi meglio sul letto, come ero fino a qualche minuto prima.
Jessica prende il pacchetto e lo poggia tra le mie mani, è una scatola molto piccola. La spacchetto lentamente e mi ritrovo davanti una scatola della gioielleria, che sia..?
Guardo la mia ragazza e lei ha lo sguardo completamente preso dall'ansia.

"Jess...?"
"Dai, aprilo. Tanto l'hai già capito cos'è, no?"
"Credo..."

Lentamente lo apro ed è proprio quello che stavo immaginando.
Sposto immediatamente lo sguardo verso di lei, quasi scioccata.

"Lo so che tu non indossi anelli, perché non ti ci ritrovi. Probabilmente non avrai neanche voglia di indossare l'abito bianco e sicuramente stai già impazzendo all'idea di dover organizzare fiori, chiesa, addobbi e soprattutto di avere tutta quella gente intorno. Non ti chiederò di farlo, perché per quanto queste cose possano piacermi, dopo quel singolo giorno ci sarà una vita intera da affrontare. Una vita intera che non sarà determinata dal tuo portare quell'anello o meno, ma avevo bisogno che tu lo avessi. Una vita intera senza troppi fronzoli, perché potresti morire prima del previsto di diabete..." ridacchia.

Mi lascio scappare una risata e nel frattempo sento gli occhi inumidirsi.
Jessica mi prende entrambe le mani.

"Non me ne frega nulla del famoso 'grande giorno', perché io con te voglio una grande vita. Voglio una vita così grande da basarsi sulle piccole cose che ci hanno portato a dove siamo adesso. Voglio una vita piena di colazioni insieme, di scleri per una serie tv o un film, di passeggiate sotto la neve, di baci in riva al mare. Voglio che continuiamo a discutere quando qualcosa non va, perché grazie a quelle discussioni continuiamo a conoscerci meglio, giorno dopo giorno, nonostante il tempo. Ed ogni singola volta che ci chiariamo, aggiungiamo un tassello a questo immenso puzzle che siamo. Questo mio volerti sposare ovviamente non sarà la cornice di questo puzzle, ma sarà un bel pezzo importante. Uno di quelli che ti fa vedere più chiaramente l'immagine e ti fa capire di essere quasi a metà dell'opera."

Sta parlando davvero tanto e io sono riuscita a non staccare i miei occhi dai suoi neanche per un secondo. E solo adesso mi rendo conto che qualche lacrima sta scivolando sulla mia guancia.

"Io..." provo a parlare, ma davvero, cosa potrei mai dire dopo tutto ciò?

Cosa ci sarebbe ancora da aggiungere, se tutto quello che ha detto rispecchia esattamente ciò che penso e ciò che voglio anche io?

"No, non è ancora il tuo turno di parlare."

Prende la scatolina tra le sue mani e ne sfila l'anello.

"Ho pensato a vari scenari in cui avrei potuto darti questo anello, dai più basilari come fartelo trovare in una fetta di torta ai più romantici in spiaggia. Poi ho pensato al viaggio e allora mi è venuto in mente che avrei addirittura potuto fartelo avere dai nostri figli, così, in modo molto casuale. Ma la verità è che pianifico tutto ciò da troppo tempo e non ho più voglia di aspettare, quindi ho deciso di farlo adesso, nella nostra camera da letto, dopo una sfiancante giornata di festa."

Si ferma un attimo a prendere fiato e i suoi occhi non si staccano neanche un attimo dai miei. Tiene tra l'indice e il pollice quel meraviglioso anello e alla mente mi tornano tutti i nostri momenti. I più belli, i più brutti, le ansie, le paure, la dolcezza. Come potrei mai non volere questo per tutta la vita?

"Quindi, amore mio, vuoi sposarmi?"

Potrà mai bastare un semplice "si" a questa domanda? Potrà mai quel "si" farle capire quanto la amo? Quanto ormai lei mi abbia cambiato la vita?
Quel giorno di ormai sette anni fa, quando me la sono ritrovata come vicina di casa, è stato il giorno in cui la mia vita, senza esserne consapevole in quel momento, è cambiata. Sono cambiate così tante cose da quel giorno, che riassumerle sembra quasi impossibile. Eppure, sono stati tanti piccoli cambiamenti stupendi. Grazie a lei ho scoperto quanto sia bello cambiare di continuo, in meglio. Perché è come se la tua mente superasse di volta in volta dei livelli, come se fossimo in un videogioco. E io adesso sono ad un livello davvero alto. Chissà quanti livelli mi aspettano ancora, ma non vedo l'ora di superarli insieme a lei.

"Certo che ti voglio sposare!"

Le salto nuovamente al collo e lei scivola sul letto, sdraiandosi, mentre le nostre labbra formano un sorriso e si uniscono in un nuovo bacio.






The End.






*
*
*
Non mi sembra vero, quelle parole, "the end", le ho immaginate nella mia testa per tanto tempo e adesso sono impresse qui. È finita. Questa storia che mi porto dietro da anni è finalmente conclusa.

Oserei dire che è una delle poche cose belle che mi ha portato questo 2020 (si, siamo nel 2021, ma io ho ripreso a scriverla e l'ho conclusa nel 2020!), la voglia di riprendere a scrivere, anche se a momenti molto altalenanti, ma ci sono riuscita. Per loro.

Mi piacerebbe scrivere ancora, ma ormai sono troppo incostante. Chissà, magari qualche altra storia un giorno riuscirò a scriverla e a terminarla.
Per adesso, mi godo il finale che Jessica e Nicole si sono meritate.

Grazie per aver letto tutti questi capitoli, grazie per essere arrivati fino a qui, grazie per eventuali commenti e pensieri.

A presto.

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