Blue Cloud |Byun Baekhyun|

45. Scontro. Parte I

e non guardarmi i denti
sai, anch'io so farti a pezzi.

Baekhyun's pov

Varcai la soglia di casa alle tre del mattino.
Mi spogliai in fretta, raccattai una maglia bianca sbiadita dall'armadio e me la misi addosso.
Sospirando, sedetti davanti alla scrivania con le mani tra i capelli.
Non mi ero mai sentito in quel modo.
Il mio cuore era una bussola rotta le cui lancette si muovevano senza un senso, a scatti sul quadrante.
Un coacervo di emozioni spaziavano dalla gioia più profonda alla tristezza e all'ansia gelida.

Mi alzai, gettandomi sul letto.
Non riuscivo proprio a darmi pace.
Dovevo mettere ordine nella mia testa.
Chiusi gli occhi soffermandomi solo sul mio respiro e mi calai nei miei pensieri.
Rimasi immerso in me stesso per una mezz'ora abbondante, poi spalancai le palpebre.
Curvai lentamente le labbra e sorrisi serafico al soffitto scialbo che mi sovrastava.
Avevo preso la mia decisione.
Sapevo che molto probabilmente fosse già presente nella mia testa da molto prima, ma sino a quel momento era rimasta invisibile agli occhi della mia mente.
Solo allora, dopo averci riflettuto a lungo, riuscii a riconoscerla.

Mi rialzai con un balzo e tornai davanti allo scrittoio.
Senza esitare presi carta e penna e iniziai a scrivere.

Roxanne's pov

Quando mi svegliai quella mattina, presi il mio caffellatte tra le mani e uscii sul balcone.
La città sotto di me si era già destata: le persone correvano da una parte all'altra, i clacson suonavano, le ruote delle auto stridevano sull'asfalto. Sembrava in tutto e per tutto un giorno qualunque, una mattina come tante altre. 
Ma io sapevo bene che nulla era come appariva e che quella giornata era completamente diversa da tutte le precedenti. Il cuore mi batteva nelle tempie dal momento in cui avevo aperto gli occhi. Li chiusi e visualizzai nella mente l'immagine di Baekhyun la sera trascorsa. Fu sufficiente a calmarmi per pochi istanti.

Due ore dopo ero nel palazzo del Quartier Generale, in un salone ampio e anonimo del sesto piano.
Un laboratorio, mi dissero.
Era tutto, completamente, ugualmente bianco.
Dalle pareti agli arredi strettamente necessari, non una sola punta di colore macchiava quell'ambiente latteo, così immenso e identico da disorientarmi.
Mi mostrarono una tuta speciale realizzata su misura per me da uno staff qualificato di dodici costumisti.

Aderente, elastica e con una leggera imbottitura. Ah, e rigorosamente blu. 
Il dirigente dell'equipe, un certo signor Faskhert, mi spiegò con occhi scintillanti come quel piccolo abito fosse una sorta di miracolo, una perla sola al mondo per via delle caratteristiche straordinarie che possedeva.
Idrorepellente, resistente al fuoco, ai fulmini e alle radiazioni, dotata di stupefacenti proprietà elastiche per consentire un movimento rapido e fluido, quella tuta era un'impareggiabile capolavoro di tecnologia e design.

Mi recai in una sorta di camerino per indossarla. Mi calzava a pennello. Quando uscii i dodici sguardi compiaciuti si posarono su di me, e nel giro di pochi secondi partì un fragoroso applauso.
Sbuffai.
Con la vita di miliardi di persone in bilico, lasciata in mano alle sorti di uno scontro letale che sarebbe avvenuto a distanza di ore, non riuscivo a capire cosa ci fosse da applaudire.
Proprio non lo comprendevo.

Ringraziai lo staff e uscii dalla stanza. Mi recai verso l'ascensore e quando le ante metalliche si aprirono, vidi il caschetto nero di Courtney all'interno. Lei non mi notò subito, neppure quando la affiancai e pigiai il tasto "zero" sulla parete grigia.
Aveva lo sguardo fisso sul pavimento e si mangiucchiava nervosamente le unghie.
Lo stress emotivo e psicologico legato a quella maledetta battaglia non interessava solo me.
Dal momento in cui il sole si era levato, il terremoto d'ansia che aveva come epicentro il mio corpo si era propagato rapidamente anche nelle persone che amavo.
E non c'era cosa che mi ferisse di più.