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-Ok – Lance si sedette, fece un bel respiro e iniziò a perdersi nei ricordi. – Partirò dall'inizio, non perché mi voglia giustificare – disse il giovane – o forse spero nel tuo perdono - sorrise e per un attimo comparve la fossetta che tanto piaceva ad Alan. Scacciò il pensiero che aveva avuto e si concentrò sul racconto. – I miei genitori, si sposarono giovani, avevano da poco iniziato l'università, entrambi studenti modello in giurisprudenza, ottimi voti, ottime amicizie ed entrambi provenivano da ottime famiglie. I miei nonni erano a loro volta avvocati, praticamente intere generazioni di Dobson. – disse con sarcasmo. Alan non disse nulla, non voleva interrompere il racconto, perciò rimase in silenzio. – a ventidue anni, ancora giovani studenti e giovani sposini, mia madre mise al mondo mio fratello Peter, Pete era il loro orgoglio, e nonostante un figlio neonato, mia madre riuscì a studiare sempre con ottimi risultati, in più non trascurava i suoi doveri di moglie e madre. La loro famiglia era perfetta, Pete era perfetto, il classico figlio che tutti avrebbero voluto. Dopo dieci anni dalla nascita del primo figlio, nacqui io. E iniziarono i problemi. Fin da subito diedi filo da torcere ai miei genitori, e mio fratello non mi sopportava, lui così tranquillo, onesto, rispettoso di ogni regola, io l'esatto contrario. Eravamo diversi su tutto. – tirò fuori dal portafoglio una fotografia, ritraeva un bel ragazzo di diciotto anni e vicino a lui un bambino di otto anni. – Pete era bello, lo vedevo perfetto, io ...bhè niente di che – sorrise ironico mettendo via la fotografia. – i miei genitori lo amavano, lo idolatravano, tutti quelli che conoscevano mio fratello se ne innamoravano. Ed io iniziai a non sopportare più il suo essere perfetto, ho iniziato fin dalle elementari a dare problemi. Mamma e papà hanno iniziato a dirmi che ero stato un errore, la mia nascita era stata uno sbaglio. Ero quello diverso, avevo i lineamenti delicati quasi femminili, per i miei non ero Pete.

-tu eri semplicemente tu, un bambino. Non avevi colpa di nulla – disse Alan per smorzare la tensione che si era creata

-vallo a spiegare ai miei – rispose – In ogni caso io ero quello uscito male, mio fratello era la loro opera migliore. Poi ci fu l'incidente. E fu colpa mia.

-come colpa tua? – chiese Alan

-Aveva diciotto anni, quando successe, io ne avevo otto. Quel giorno, quel dannato giorno, ero andato a casa della mia amica Marnie, era la mia migliore amica, quella a cui confidavo tutto. Comunque, ero a casa sua, e mio fratello sarebbe dovuto venirmi a prendere verso le cinque del pomeriggio. Ricordo per strada le sue lamentele sul fatto che aveva dovuto smettere di studiare perché i miei genitori non potevano venirmi a prendere e quindi era dovuto uscire. Camminavo dietro di lui e gli facevo le linguacce, e le smorfie. Ricordo di averlo preso in giro chiamandolo secchione. Pete si girò verso di me dandomi uno scappellotto dietro alla testa, per poi correre avanti. Gli andarono addosso. Non aveva visto sopraggiungere la macchina e lo presero sotto. – Alan si mise la mano alla bocca per non far uscire nessun suono. Vedeva un piccolo Lance impaurito davanti alla morte del fratello. – i miei genitori se prima mi sopportavano, con la morte di Pete arrivarono ad odiarmi. Iniziarono a ripetermi quanto non valessi nulla. Ogni giorno. Ed io ogni giorno mi rifugiavo da Marnie. Ed ora, inizia la seconda parte della mia bellissima vita – sorrise dando un' occhiata al figlio. - continuai ad essere ribelle, poi a 16 anni, per i miei feci la cazzata più grossa della mia vita. Ad una festa mi ubriacai, talmente tanto da non ricordare nulla, anche la mia amica Marnie era ubriaca, e facemmo sesso. Io finì in ospedale con una lavanda gastrica, lei con una bella ramanzina da parte dei suoi, poi dopo qualche settimana, ecco la bomba, era incinta!

- i tuoi? Come reagirono? – chiese sapendo già la risposta

-Male, come puoi immaginare, partirono insulti, anche qualche sberla, lo ammetto. Ma andai contro tutti e decisi di volere il bambino. Ero incosciente? Probabilmente si; immaturo? Decisamente si!, ma desideravo la sua nascita. Marnie invece non lo voleva. Voleva abortire. A quel punto, i miei genitori, essendo molto cattolici e contrari all'aborto decisero che mi avrebbero aiutato con il bambino. Ero felice perché nella mia testa di sedicenne pensai che mi volessero bene per aver deciso di aiutarmi. Dalla nascita di Jace, Marnie e i suoi sparirono, e i miei non smisero mai di farmi sentire una nullità.

- mi spiace davvero molto – disse Alan colpito dalla vita difficile che aveva vissuto e che comunque non era ancora finita.

- oh non dispiacerti, anche tu hai detto che non valgo nulla – gli rispose e lo vide arrossire nonostante la stanza in penombra. –

-poi? Cosa è successo? Perché le bugie? – chiese arrivando a sapere finalmente quello che gli interessava.

-ho fatto ogni tipo di lavoro pur di cercare di aiutare i miei genitori, erano lavoretti saltuari, avevo solo sedici anni all'epoca, nessuno mi assumeva. Avevo lasciato anche la scuola perché i miei non volevano mantenermi e allo stesso tempo mantenere mio figlio. quindi mi sono sempre dato da fare. Jace ne frattempo cresceva, ma .... Non stava bene. Aveva sempre febbre, era inappetente, non cresceva di peso e neppure in altezza, poco prima dei due anni ho scoperto il reale problema. Mio figlio ha la leucemia.

-oh Lance, mio dio... mi spiace tanto – il dispiacere di Alan era reale e questo Lance lo capì.

-A diciotto anni con un figlio di due molto malato, puoi capire quanto disperato fossi. E quando lessi il tuo annuncio, lo ammetto non ci impiegai troppo a mentire. Dovevo trovare un lavoro.

-capisco – mormorò pensieroso. Aveva parecchie domande da fargli, non sapeva se fosse il caso oppure di lasciare perdere per il momento. 

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