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Lance si sedette sul dondolo, subito imitato da Alan, le loro gambe si sfiorarono delicatamente, entrambi non diedero importanza a quel tocco, ma in loro stava avvenendo una strana sensazione. Per mascherare l'imbarazzo iniziarono a parlare di cose futili, cercando un equilibrio per non arrivare alla discussione.

-ti ringrazio per avermi sistemato casa – ruppe il silenzio Lance facendosi dondolare delicatamente.

-era il minimo, dopo avermi ospitato – rispose Alan. Decise di essere sincero prese un bel respiro e disse – hai mai pensato di ritornare a casa, a New York dopo la guarigione di Jace? –

-perché avrei dovuto? – e Lance lo guardò. Ma per la prima volta da che l'aveva rincontrato, non aveva l'espressione dura. – lì non c'era più nulla per noi. – ammise serenamente – credi che mio padre, con tutte le conoscenze cha aveva, non fosse in grado di trovarmi se solo avesse voluto? – e purtroppo ad Alan non restò che dargli ragione. – per loro non sono mai stato utile nella loro vita, prima c'era mia fratello, tanto uguale a loro, dopo, forse venivo io. E con la sua morte e tutto il resto, le cose sono andate peggiorando. Quindi, che senso ha, adesso ritornare?

-L'anno dopo che te ne andasti,ho contattato i miei genitori – confessò Alan

-mi fa piacere – Lance era davvero felice per lo scrittore

- grazie, dopo aver visto come ti avevano trattato i tuoi, ho voluto provare a capire il loro punto di vista su tutta la storia tra me e Karin. Certo, non è stato facile cercare un dialogo con loro, i miei genitori, non sono persone facili. Non sapevano nulla della morte di Karin, ne che avessi un figlio. Mia madre scoppiò a piangere quando dissi della loro morte. Forse non si perdonerà mai il fatto di aver sempre seguito come un cagnolino ogni decisione di mio padre. Non dico che siamo grandi amici, ma per lo meno alle feste raccomandate e una volta a settimana ci sentiamo.

-non è facile essere genitore, lo so, ma credo che a volte dimentichino che noi figli non siamo la loro copia. Tu stesso hai notato quanto Jace sia diverso da come sono io. Nessuno è perfetto, ma non posso perdonare come mi hanno trattato i miei.

-non vorresti fargli vedere quanto sei in gamba? – volle sapere Alan

-per che motivo? - rispose inalberandosi – quello che ho fatto, l'ho fatto solo per mio figlio, non devo dimostrare niente a nessuno. – si alzò dal dondolo, rientrando in casa, subito imitato da Alan

-se ti chiedessi di ritornare? di riprendere il posto come mio assistente? Potreste vivere con me. – propose all'improvviso. Il volto di Lance mostrava un inizio di arrabbiatura

-cosa scusa? Sbottò cercando di trattenersi dallo sbattere fuori di casa. – e secondo te, io dovrei mollare la mia vita qui, per seguirti e farti da assistente?. Cosa non hai capito di tutto ciò di cui abbiamo parlato? Ho una vita, anzi abbiamo una vita completa qui a Galway, abbiamo degli amici. Io ho un lavoro da infermiere molto gratificante, e mio figlio ha un sacco di amici. Non tornerò mai indietro. e tornare a New York sarebbe come farlo. Davvero Alan, non capisco come tu possa essertene uscito con una trovata del genere – Alan non seppe rispondere altro. L'unica cosa che riuscì a dire fu quella che sarebbe ritornato in albergo. A quel punto Lance prese le chiavi della macchina, e una volta saliti, partirono. Durante il viaggio rimasero in silenzio. Lance era ancora arrabbiato per la proposta avuta da Alan.

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