IV - Riflesso

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Riportami indietro
alla notte
in cui ci siamo incontrati.




Quei completi eleganti stavano diventando ormai la sua seconda pelle e nonostante gli donassero un'aria più adulta, lui non poteva mentire a se stesso, era tutto tranne che un uomo

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Quei completi eleganti stavano diventando ormai la sua seconda pelle e nonostante gli donassero un'aria più adulta, lui non poteva mentire a se stesso, era tutto tranne che un uomo. In fondo era solo un ragazzo di diciannove anni che giocava a fare il grande, con abiti di lusso, sguardi pieni di sfida e risposte taglienti.

Solamente quando si ritrovava da solo, nella sua camera, davanti al grande specchio della sua cabina armadio ritornava ad essere quello che era davvero: un semplice ragazzo che ancora doveva crescere tanto, un ragazzo arrabbiato con il mondo intero, un ragazzo che ce l'aveva con tutti ma soprattutto con se stesso. Perché nonostante avesse mentito a tutta la sua famiglia, là fuori c'erano comunque persone che prima erano parte costante della sua quotidianità, che sapevano tutta la verità.

Era appoggiato allo stipite della porta della stanza di sua sorella, stava combattendo contro se stesso per entrarci e perdersi per un po' tra i ricordi che affollavano quel luogo.

Però proprio non ci riusciva.

Non riusciva a fare un passo in più verso quella camera in cui ancora c'era il suo profumo.

Chanel n°5, il suo preferito.

Non ce la faceva a farsi strada tra quelle pareti in cui ancora la sentiva la sua presenza e riusciva ancora ad immaginarsela con quei due occhi scuri come la notte più buia di sempre e freddi come un masso insormontabile formato da ghiaccio che neanche il sole più caldo d'estate sarebbe riuscito a sciogliere.

Aria era una piccola versione di sé al femminile, glielo ripetevano sempre i suoi genitori, eppure in quel momento nel ricordare la mattina del 31 agosto, fu inevitabile scuotere la testa con insistenza.

Non era per niente uguale a lei, non lo sarebbe stato mai. Aria era migliore di lui.

Poi prese coraggio e un passo dopo l'altro si ritrovò nel bel mezzo di quella stanza.

Le sembrò persino di rivederla lì intorno, mentre scendeva le scale svogliatamente, nel momento in cui camminava scalza nella sua immensa cabina armadio alla ricerca dell'outfit perfetto e quando guardava qualche film sul letto con un'intera confezione di gelato al cioccolato tra le mani che aveva senza alcun dubbio conservato fino a quel momento nel piccolo frigo nascosto in un'anta dell'armadio e che - ingenuamente - credeva che nessuno ne fosse a conoscenza.

Si affacciò sulla grande vetrata che dava al giardino anteriore di Villa Lawrence con gli imponenti grattacieli tutt'intorno che andavano a formare il meraviglioso skyline newyorkese che aveva sempre amato osservare la mattina appena sveglio. Si sentiva terribilmente fortunato ad essere nato in quella parte del mondo e sopratutto in quella città in cui la maggior parte delle persone desiderava vivere.

I vetri delle finestre erano sporchi, non venivano puliti da un bel po' ormai, Lisa aveva dato ordine al personale della villa di non mettere mai più piede in quella stanza quasi dimenticata da tutti. Nessuno aveva osato contraddirla, troppo impauriti da quei suoi occhi glaciali e dalla sua espressione fredda e distaccata.

Era sempre stata una donna sulle sue, riusciva ad essere se stessa solo con le persone a cui teneva davvero, ma da quando aveva assistito all'omicidio a sangue freddo di Adua, la sua migliore amica, alla misteriosa e del tutto improvvisa morte di suo fratello Jordan e infine alla partenza di sua nipote Aria, non riusciva più a mettere da parte quel lato di lei, con nessuno, neppure con suo marito.

Era rigida, severa, fredda, distaccata e non ammetteva che qualcuno disobbedisse ai suoi ordini, solo in quel modo era riuscita a corrompere l'esecutore testamentario e chi di dovere affinché la Lawrence Company non finisse nelle mani di Aria.

Nicholas si voltò lentamente, distogliendo a malincuore lo sguardo dal paesaggio, e si spostò nella cabina armadio. Salì in punta di piedi i gradini, proprio come faceva da bambino quando non voleva farsi scoprire dalla sorella minore. Si mosse con estrema lentezza tra quegli spazi così perfettamente curati in ogni minimo dettaglio, la carta da pareti con rifiniture in color oro, la grande vasca da bagno accanto alla finestra, l'ascensore circolare in vetro bloccato lì sopra da un po'.

Arrivò fino alla cabina armadio, era grandissima, ci si poteva perdere dentro, tra tutti quei corridoi, vestiti di chissà quale marca e décolleté lucide.

Quando era andata via, Aria aveva portato con se solo lo stretto necessario, riempiendo solo una valigia. Non riusciva a ragionare razionalmente, l'unica cosa che desiderava era scappare, evadere, correre lontano da quel posto e da quelle persone. Non aveva neanche fatto caso a tutto quello che si sarebbe lasciata dietro, concentrata com'era ad immaginare solamente ciò che l'attendeva dall'altra parte del mondo.

Improvvisamente il suo cellulare prese a squillare insistentemente e per un solo attimo Nicholas si illuse che potesse essere lei.

Se lo portò accanto all'orecchio e rispose a quella chiamata come se nulla fosse, facendo finta di niente «Pronto? Gideon?»

Il fratello dall'altro capo del telefono lo informò che non sarebbe ritornato a casa per via del lavoro e quindi avrebbero dovuto annullare il pranzo che avevano prenotato in un importante ristorante di Manhattan.

Nicholas annuì distrattamente anche se lui non potesse vederlo e senza pensarci troppo gli staccò la telefonata in faccia dopo un saluto appena accennato.

Continuò a passeggiare tra quelle corsie che sembravano infinite, soffermandosi di tanto in tanto su qualche abito che ancora ricordava bene, quello della festa dei suoi sedici anni per esempio. Teneva ancora il cellulare tra le mani quando gli venne in mente che seppur la sorella avesse bloccato i numeri di tutti loro, non era a conoscenza del suo cellulare aziendale. Lo recuperò dalla tasca dei suoi pantaloni e compose quella sequenza di numeri che conosceva ancora a memoria. Cliccò subito dopo sul simbolo dei messaggi e cominciò a digitare freneticamente le lettere sulla tastiera, fino a comporre parole, frasi, proposizioni e periodi lunghi e complessi.

Lo rilesse più di una volta e proprio mentre era sul punto di inviarlo, cancellò tutto, trovandolo troppo lungo.

Ricominciò a scrivere, quella volta optò per qualcosa di più semplice e breve.

Riri, ciao, sono io, Niklaus. Mi dispiace per tutto, mi manchi tanto.

Era stato coinciso, era andato dritto al punto.

Ma non gli sembrava abbastanza.

Era troppo poco per tutto quello che le aveva fatto.

Quelle parole che si potevano contare sulle dita delle mani erano inutili, non avrebbero risolto un bel niente.

Eliminò nuovamente tutto.

Scriveva e cancellava, parole su parole, scuse e pentimenti.

Mise un punto a tutto quello che aveva scritto per l'ennesima volta, ma nel rileggerlo si sentì mancare il respiro.

Nulla gli sembrava adotto, nessuna lettera al mondo sarebbe mai bastata per chiederle scusa, per farsi perdonare.

Era tutto inutile.

Era inutile anche solo provarci.

Niente avrebbe cancellato il suo grande errore e niente gli avrebbe riportato sua sorella indietro.

O forse era solamente lui ad avere paura.

Paura di ciò che aveva fatto, ciò che le aveva fatto.

Paura per la persona che stava diventato.

Paura per il riflesso che vedeva allo specchio ogni giorno.

Era arrivato al punto di farsi schifo da solo, sapeva di meritarselo e si sentiva persino meglio nel provare quel disgusto nei suoi stessi confronti.

Grace Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora