XVII - Non sapevo chi chiamare

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Magari non sei stato
il mio primo amore
ma sei stato
l'amore
che ha reso tutti gli altri amori
marginali.




Quella mattina di novembre il cielo era ricoperto di nuvoloni grigi che non promettevano proprio niente di buono

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Quella mattina di novembre il cielo era ricoperto di nuvoloni grigi che non promettevano proprio niente di buono.

Quando Beth uscì di casa di buon'ora per arrivare puntuale a scuola, sua madre le corse dietro con un ombrello tra le mani in caso un temporale avesse deciso di scaraventarsi sul suolo newyorkese. Ad aspettarla lungo il viale del giardino c'era invece un'auto dai finestrini oscurati guidata da suo padre. Per arrivare al suo grande ufficio di architettura nel bel mezzo di New York sarebbe passato davanti al liceo, quindi decise di aspettarla e accompagnarla.

Una volta arrivata davanti alla scuola si sedette sull'unica panchina libera e tirò fuori dal suo zaino un quaderno pieno di appunti perfettamente scritti e decorati, aveva persino disegnato l'interno di una cellula accanto alla sua definizione.

Beth amava quel genere di cose lì.
Amava innanzitutto l'ordine, ma ancor di più l'arte, trovava sempre un pretesto per inserirla in tutto ciò che faceva. Ne era sempre stata affascinata, forse perché ci era cresciuta con essa fin da quando ancora non sapeva parlare o camminare. Guardava i suoi genitori dare vita a palazzi e grattacieli e sognava di fare lo stesso un giorno, ed in quel momento a poco più di un passo dal vivere la vera vita da adulta, prendere le proprie scelte e diventare per davvero indipendente, le sue idee erano piuttosto confuse. Diventare architetto non era più il suo sogno, con il tempo aveva capito di non essere portata per quelle linee talmente dritte e precise da far paura. Voleva qualcosa di più astratto, a lei piaceva quell'arte improvvisata che prendeva vita dalla voglia di sentirsi liberi.

Non sapeva ancora cosa aveva in serbo il futuro per lei, magari alla fine tra un altro paio d'anni avrebbe smesso di amare tutte quelle cose che in quel momento la facevano essere felice.

Aveva solo sedici anni in fondo, c'era ancora tempo per preoccuparsi di quelle cose. A quell'età non si deve fare altro che uscire con gli amici, divertirsi, prendere decisioni per non avere rimpianti e non di certo perché sono quelle giuste. A sedici anni bisogna sbagliare, fare testa e muro, perdersi e non preoccuparsi di ritrovarsi, perché tanto si ha un'intera vita davanti per farlo. Bisogna sentirsi invincibili perché ancora non si sa quali siano i veri problemi della vita. Vivere senza pensieri, ignorare tutti i problemi, e non sentirsi responsabile per tutto. Ricordare che un brutto voto a scuola alla fine non è nulla, non cambia di certo le sorti dell'umanità. A sedici anni bisogna vivere e basta, non di certo preoccuparsi di quello che verrà.

«Ehi Beth» Kyle le passò davanti e notando il suo sguardo assente la richiamò preoccupato «Ti sei incantata?»

Beth si riscosse immediatamente dai suoi pensieri ed alzò lo sguardo dagli appunti delle cellule vegetali, posandolo sul suo amico che si era appena seduto al suo fianco, seguito ovviamente dalla sua fidanzata che le aveva appena rivolto un sorriso con il capo basso. Si sentiva in colpa per aver fatto la spia con Dimitri, ma era preoccupata per Beth. Era da un paio di settimane che la vedeva diversa, il viso pallido e sciupato, gli occhi spenti e la voce stranamente piatta, senza alcuna emozione. Sapeva di non essersi comportata al massimo della correttezza nei suoi confronti, ma non sarebbe di certo arrivata a tutto quello se non fosse stata terribilmente preoccupata per lei.

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