XXXI - Nulla è perduto, tutto è recuperabile

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Amiamoci sotto le stelle
e chiediamo loro di mantenere il segreto.



Maggio aveva finalmente preso il posto di aprile, e questo significava solo una cosa: New York era nel bel mezzo della primavera

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Maggio aveva finalmente preso il posto di aprile, e questo significava solo una cosa: New York era nel bel mezzo della primavera.

Gli alberi in fiore e un dolce profumo di fresco circondavano Central Park, creando un forte contrasto con lo smog che continuava invece a persistere nel resto della città.

New York non era una città per tutti e Nicholas ne era sempre più convinto, eppure si chiedeva allo stesso tempo come qualcuno potesse non amarla in ogni sua sfaccettatura.
Lui, che ci era nato e cresciuto, non riusciva neanche ad immaginare una vita lontano dalla Grande Mela. L'amava in inverno quando era sommersa dalla neve, durante il Ringraziamento con la tradizionale parata che affollava le strade e le rendeva inaccessibili, a Natale quando tutto gli appariva più magico. L'amava in autunno, con il ghiaccio che si scioglieva sui fiumi e le foglie - con diverse sfumature di marrone, giallo e rosso - abbondavano in ogni dove. In primavera, quando quest'ultime scomparivano e si respirava tutt'altra aria. E l'amava persino in estate, quando il caldo torrido e umido non risparmiava nessuno, eppure lui l'amava lo stesso. Poteva rifugiarsi negli Hamptons e godersi quella nostalgica atmosfera che tanto ricordava il proibizionismo. La festa in grande del quattro luglio, la grigliata di rito a Saint Trude Long Beach e i fuochi d'artificio che sembravano non finire mai.

Amava persino il traffico, rimanere bloccato per un tempo indeterminato in una coda di cui non si vedeva né l'inizio né la fine.
Eppure quel giorno sembrava odiarlo con tutto se stesso.

Si era accorto troppo tardi di che ore fossero e non aveva fatto in tempo ad avviarsi prima. All'uscita dalla Lawrence Company era stato per di più assalito da fotografi e giornalisti, tutti su di giri per l'imminente conferenza stampa che aveva annunciato solo qualche ora prima.

L'azienda non distava poi molto dal liceo di Saint Breath, eppure ci stava mettendo più del previsto. Spostava spazientito lo sguardo dalla strada davanti a sé all'orario accanto al volante. Mancavano solamente venti minuti al suono dell'ultima campanella. Aveva ormai imparato gli orari di Beth e ricordava a memoria i giorni in cui si tratteneva un'ora in più del previsto per via degli allenamenti delle cheerleader, come quel venerdì.

Quando finalmente riuscì a liberarsi da quel trambusto di macchine e taxi, voltò a destra e poco dopo si ritrovò davanti il suo vecchio liceo. Parcheggiò in un vicolo lì vicino e mandò un messaggio a Beth, dicendole che l'aspettava lì fuori come promesso.

Nel mentre si sfilò la giacca, che per la fretta ancora non aveva tolto da quando si era messo in macchina, poi stufo di stare seduto, uscì fuori e si sgranchì le gambe, nel momento esatto in cui vide comparire i primi studenti che correvano come mandrie impazzite verso il cortile. Si appoggiò alla macchina e con le braccia conserte scrutò uno ad uno tutti quei ragazzi entusiasti che finalmente fosse venerdì e un'altra settimana fosse giunta al termine. Gli sembrava impossibile credere che neanche un anno prima anche lui si trovasse lì, a passeggiare tra quei corridoi con l'immancabile giacca della squadra di basket, con cui divideva il ruolo di capitano con Dimitri. Le lezioni saltate per fumare negli angoli più appartati possibili, le pause pranzo infinite nel giardino e nella mensa, con Beth che si lamentava di quanto fossero difficili quegli esercizi di matematica che le erano stati assegnati e Aria che roteava gli occhi verso l'alto perché proprio non ne poteva più, Kyle che mangiava qualunque cosa rientrasse nella definizione di commestibile e Veronica che squadrava dalla testa ai piedi ogni persona che sorpassava l'entrata della grande mensa.

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