Capitolo 4

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Oh, crystal ball, hear my song,

I'm fading out, everything I know is wrong

So put me where I belong.

Keane, "Crystal ball"


ANNO 2020

8 marzo, domenica

Panesecco


Aggrappato con le sue fondamenta al fianco scosceso della montagna a nord del lago, con le sue vie ricurve e le tortuose salite e discese, Panesecco faceva parte di quella categoria assai vasta di paesi anonimi in cui nulla mai accade.

Gli scambi sociali più intensi avvenivano una volta alla settimana, nella mattina del mercato, quando gli abitanti si incontravano tra le bancarelle a comprare mercanzia dai forestieri. L'apice degli eventi mondani, poi, era l'annuale sagra d'autunno: un'intera settimana durante la quale i frutti della montagna erano rivenduti, condivisi o cucinati, e le giornate terminavano in allegre serate danzanti sotto i tendoni approntati in piazza.

Situato ad un'altitudine sufficiente per poterlo definire una località di montagna, con le beole sui tetti e le case in legno e pietra, Panesecco non era però attrezzato e confortevole a sufficienza per essere considerato una buona meta turistica. E in fondo, ai suoi abitanti stava bene così.

A quelli da una certa età in su, quantomeno. Tutto quello stare appartati in compagnia del vento e dei boschi non andava esattamente a genio ai più giovani: appena era possibile si compravano una casa a fondo valle, a Città Grande, o in uno dei paesi vivaci e soleggiati che si affacciavano sul lago, e tanti saluti alla terra natia.

Così la popolazione del paese si stringeva attorno alle proprie consuetudini e alla certezza di essere circondati sempre dai soliti volti, solo un po' più segnati dalle rughe via via che passavano gli anni.

Non c'era quindi da stupirsi che parecchie facce curiose si affacciassero alle finestre e ai balconi, in quel ventoso pomeriggio di marzo, mentre l'ambulanza risaliva con prudenza le stradine strette, per fermarsi infine davanti alla villetta dei Guisan.


*****


La signora Celeste stava terminando di rigovernare la cucina, quando dalle tendine della finestra intravide il mezzo posteggiare davanti al cancello. Ne scesero due persone abbigliate in modo così curioso che sulle prime la donna pensò che i Bisson, quegli arroganti apicoltori che abitavano lì accanto, fossero accorsi ancora in tenuta da lavoro soltanto per il gusto di intromettersi in quella faccenda tanto personale. Uscì di casa all'istante, zampettando rapida, asciugandosi alla meglio le mani sul grembiule.

Mormorando qualche imprecazione contro gli impiccioni, raggiunse in fretta il veicolo di soccorso per andare incontro a un'inattesa mortificazione quando le due figure in tuta bianca, che in realtà erano i paramedici dell'ambulanza, la invitarono con gentile fermezza a rimanere a distanza.

Interdetta, dovette limitarsi ad indicare con un cenno l'entrata secondaria della villetta: una portafinestra che dal piccolo giardino sul retro conduceva direttamente a una delle camere da letto.

Gli infermieri ringraziarono, scaricarono con cura la barella e la spinsero traballando lungo l'acciottolato che circondava la casa, per poi sparire attraverso il piccolo vano.

Non c'è una nuvolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora