Capitolo 47

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Could you take care of a broken soul?

Will you hold me now?

Oh, will you take me home?


Jess Glynne, "Take me home"


ANNO 2020

3 giugno, mercoledì

Città Grande


Tea se ne stava immobile, coi gomiti poggiati alla balaustra del balcone e la testa incassata nelle spalle.

Per quanto osservare quella scena le procurasse una pena infinita, non riusciva a staccare gli occhi dalla finestra spalancata sulla processione di traslocatori che, pezzo per pezzo, portavano via la vita del professore.

Un alito di vento le scompigliò i capelli. Tea inspirò profondamente quella ventata di aria pulita che scendeva dalle montagne: la stessa di sempre, eppure così diversa. Il cielo, prossimo all'ora del tramonto, brillava d'oro. Non una nuvola a offuscare quella vista. Le sembrava di aver già colto, in passato, quelle sfumature, di essersi già persa in pensieri di quel tipo in un'epoca lontana, quando tutto era più semplice, più leggero.

Nessun cielo sgombro avrebbe mai potuto riportare il sereno nel suo cuore, ora. Se si fosse mossa da lì, se avesse deciso di andarsene da quel balcone, insieme a lei sarebbe svanito l'ultimo pallido alone di certezze sulla sua vita prima dell'incidente. Così restava, immobile e disorientata, in quel luogo che avrebbe dovuto parlarle di casa e sicurezza, cercando inutilmente di placare il dolore che la lacerava dentro.

In fondo, anche supponendo di riuscire a recuperare la memoria, a cosa sarebbe servito? Nulla sarebbe più stato come prima.

Era così assorta che non sentì la serratura scattare, né i passi che le si avvicinavano alle spalle. Per questo sussultò, voltandosi di scatto, all'udire quell'esclamazione di sorpresa.

"Tea...? Sei tu? Perdonami, non sapevo che fossi qui. Me ne vado subito, giusto il tempo di cercare..."

"Scusami tu Daniel" rispose lei mesta, rivolgendogli una rapida occhiata per poi tornare ad affacciarsi al balcone. "Sono venuta qui senza preavviso. Tra poco me ne vado", concluse, continuando a fissare gli uomini che smantellavano l'appartamento di fronte.

Stupito da quella reazione, Daniel si avvicinò ulteriormente, affacciandosi alla portafinestra. "Va... tutto bene?" chiese, cauto.

Tea ci mise un po' prima di mettere insieme le parole, ma invece di riuscire dare una risposta, sulle labbra sentì affiorare solo nuove domande.

"È... è questo il punto? Va sempre così? Deve finire sempre in questo modo?" sbottò, con la voce che tremava. "Bisogna per forza perdere qualcosa... o qualcuno, per rendersi conto di quanto fosse importante per noi prima, quando c'era?"

Daniel tacque, spiazzato. Poi mosse lento qualche passo in direzione di lei, affiancandola sul terrazzo. "Posso fare qualcosa per te?" domandò piano.

Lei scosse il capo, solamente. Nessuna parola in risposta, non le era più possibile parlare. Non le era più possibile trattenersi. Silenziosi singulti presero a scuoterla. Stava piangendo.

Finalmente, dopo tutto ciò che aveva scoperto, sofferto, accumulato e represso negli ultimi mesi, le lacrime erano giunte a liberarla dal peso dei sentimenti negati.

"Non... non serve a niente, a niente!" protestò tra i singhiozzi. "Scegliere per il bene delle persone che si amano, tacere per paura di ferire, rinnegare i propri sogni per seguire la via più giusta... Non serve a niente!" sbottò, voltandosi di scatto e tuffandosi tra le braccia di Daniel.

Non c'è una nuvolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora