«Sì» annuimmo entrambe.
Il giovane che ci aveva interpellate si rivolse, nella sua lingua, a un altro ragazzo che era con lui.
«Parlate inglese?» ci chiese.
«Sì.»
Di nuovo, il ragazzo dai capelli tinti di un rosso acceso si rivolse all'altro, che li portava più corti e castani.
«Lui parla meglio di me. Io sono Jung Ho-seok» si presentò il rosso dagli zigomi alti e il sorriso allegro.
«Ciao,» disse in italiano l'altro, «Io mi chiamo Kim Nam-joon.»«Io sono Chiara e lei è Elsa.» Strinsi loro la mano. Questa cosa che si presentavano col nome completo mi mandava sempre in tilt. Ancora non capivo che i loro nomi erano composti per lo più da tre sillabe – di cui la prima era sempre il cognome – e questi cognomi erano quasi tutti uguali. Era come se in Corea fossero tutti signor Rossi, signor Ferrari e signor Bianchi. In Italia avevamo una grande varietà di cognomi, alcuni ormai appartenenti solo a poche famiglie. Non si poteva certo dire la stessa cosa del Sud Corea e, per noi italiani, veniva automatico pensare che fossero tutti parenti.
«Elsa, come quella di Frozen!» commentò Nam-joon.
«Sì, ma io non ho il potere del ghiaccio» ridacchiò la mia amica, che poteva sembrare più ad Anna di Arendelle che a Elsa, con i suoi lunghi capelli rossi dovuti all'uso costante di henné.
«Chiara, cosa significa il tuo nome?» mi chiese il ragazzo, con sguardo curioso.
«Come te lo spiego? Chiara, in italiano, è un aggettivo che indica qualcosa di chiaro, di luminoso; colori chiari e colori scuri, per esempio.»«Tu però sei molto scura di capelli» osservò Ho-seok, indicando la mia chioma corvina.
«Già. Sono un paradosso vivente.»
Quei due volti mi erano famigliari. Dove li avevo già visti? Forse mi sbagliavo. Qua si somigliavano un po' tutti. Dopo diversi giorni, ancora faticavo a distinguere fra alcune mie alunne: ce n'erano tre che si vestivano allo stesso modo, stesso taglio di capelli e stessi tratti dolci del viso. Puntualmente, chiamavo l'una col nome dell'altra.
«Siete qui in vacanza?»
«No, io sono qua per lavoro e Elsa mi fa compagnia» spiegai.
«Io, in un certo senso, sono davvero in vacanza» aggiunse la mia amica.
«Ah, e quale lavoro fai?» si rivolse a me Nam-joon.
«Sono una consulente d'immagine, ma sono qui per insegnare.»
«Bello!» Si guardarono fra loro, si dissero qualcosa in coreano, e poi ci chiesero: «Possiamo sederci con voi? Siamo un po' scomodi a parlare così.» Indicarono il proprio collo, girato in modo poco confortevole.
«Certo» rispose Elsa, spostandosi un po' con la sedia.
I due, prese le loro sedie, si misero al nostro tavolo.
«Vi piace Seoul?» chiese il rosso.
«Molto, abbiamo visitato tanti posti in pochi giorni, è veramente pittoresca» rispose Elsa.
Io continuavo a tenere lo sguardo fisso sui due, avevo la netta sensazione di conoscerli.
«Voi cosa fate invece, qua a Seoul?» chiesi.
«Ci viviamo» rispose Ho-seok, ridendo. Tra i due sembrava il più estroverso. Lo spilungone, invece, mi parve un tipo più riflessivo, seppur molto socievole.
«Questo era quasi scontato. Cosa fate? Studiate, lavorate?»
I due si guardarono, quasi scoppiando a ridere.
«Lavoriamo» rispose Nam-joon.
«Cosa fate?» chiesi, ancora.
«Tante cose...» Rimasero sul vago.Continuammo a conversare. Ci chiesero se ci piaceva la cucina, poi ci raccontarono di aver visitato sporadicamente l'Italia e di aver apprezzato i nostri piatti.
Nam-joon aggiunse che, da grande appassionato d'arte, desiderava tornarci per poter visitare meglio il nostro Paese, che considerava un museo a cielo aperto.
«Di certo, in Italia, non ci si annoia, se si amano arte e buon cibo» affermai con certezza.
«Dopo cosa fate?» ci chiese il ragazzo alto.
«Dopo cena, intendi?»
Annuì.
Io ed Elsa ci guardammo. Era ancora presto, ma io avevo sonno, come sempre.
«Niente, penso torneremo in albergo.»
«Capisco. Siete stanche. Vi va di rivederci, domani? Quando avrai finito col tuo lavoro» propose Ho-seok.
Restammo in silenzio, un po' dubbiose.
«Non siamo maniaci. Ci è piaciuta la vostra compagnia e vorremmo goderne ancora, prima che voi partiate» ci rassicuro Nam-joon.
«Va bene. Perché no?» mi gettai. Mi chiesi come mai non ci scambiammo i numeri, ma ci diedero appuntamento alle diciotto nella hall del nostro hotel. Di solito, la prima cosa che si fa, è scambiarsi un contatto, anche solo un nickname Telegram.
STAI LEGGENDO
7 in più sotto il tetto
FanfictionAccetteresti di ospitare a casa tua un'intera boy-band? È l'offerta che viene fatta a Chiara, un'italiana che, poche settimane prima, si trovava in Corea per lavoro e ha passato alcune serate spensierate in compagnia della sua amica Elsa e di due mi...