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Non ero pronta per quella ondata.
Per quanto soffrissi ad avere la casa così vuota, non ero certo preparata a vederla invasa da una quindicina di persone indaffarate.
La troupe era arrivata la mattina dell'otto gennaio, puntuale.
Era composta per lo più da italiani, ingaggiati per l'occasione, ma c'era anche qualche esponente coreano.

Fui davvero sorpresa di udire una voce famigliare. «Signora Quadrari...»
«Signor Choe? Choe Doyoon?» chiesi, sorpresa, osservando l'alta figura che si stagliava davanti a me.
L'uomo annuì. Chissà perché mi ero immaginata un omino piccolo, magrolino e stempiato, con gli occhiali tondi sul naso. Invece, quello di fronte a me, era un uomo sui quarantacinque anni, alto, con le spalle larghe, qualche filo grigio tra i capelli e alcune rughe che cominciavano solcare il viso mascolino. Solo gli occhiali, dalla montatura più moderna, però, corrispondevano all'idea che mi ero fatta del mio referente alla Hybe.
«Oh, mio Dio, che ci fa, lei, qui?» Non mi aspettavo proprio di trovarmelo a casa.
Doyoon sorrise. «Serviva qualcuno che venisse qua e mi sono offerto. Ero curioso di conoscere la donna con cui ho parlato per mesi.»
«Mi ha fatto proprio una bella sorpresa!» Quanto meno, c'era un volto amico, seppur nuovo, in mezzo a quella marmaglia di gente.
Mi spiegò che, nel giro di due o tre giorni, avrebbero effettuato tutte le riprese e avrebbero levato le tende.

«Come potrà immaginare, eviteremo domande di natura troppo personale, ed è pregata di non rivelare troppo» mi raccomandò. Non ero così stupida da servire su un piatto d'argento i miei quattro mesi di flirt, sesso e amore con tre quarti della band.
Mi chiesero di mostrare le camere in cui dormivano i ragazzi. Non mi ero ancora decisa a cambiare le lenzuola ma, quanto meno, avevo rifatto i letti.
Poi mostrai il resto della casa, fecero riprese alla gatta, che li guardò diffidente e scappò nei suoi angolini sicuri. Li portai in saletta e palestra, poi in giro per il paese; al bar di Cristiana, che si fece intervistare con piacere, poi lungo i percorsi nei boschi e sul fiume.
Visitammo il ristorante vicino casa, dove Hobi aveva lavorato, così come il supermercato dove avevano faticato Yoongi e Jungkook.
Seguirono il giardiniere Giovanni in un pomeriggio lavorativo e fecero un sopralluogo alla scuola dove, gli altri tre, avevano seguito i loro corsi.

In paese c'era fermento perché "c'erano quelli della televisione". Quasi nessuno aveva capito che, il programma, sarebbe andato in onda solo sul web, su un sito coreano, fra l'altro. Vedendo diverse facce italiane fra la troupe, pensarono si trattasse della Rai o Mediaset e, soprattutto la gente di una certa età, si avvicinava agli operatori, chiedendo su che canale potevano rivedersi.
Paolo, che aveva una cornacchia ammaestrata, si fece riprendere mentre la chiamava e, il volatile, arrivava in picchiata sulla sua bicicletta per un tozzo di pane.
Mi venne da ridere. Gli Army avrebbero pensato che, i Bangtan, erano finiti in una specie di circo dei freak, e la cosa mi divertiva un mondo. Il nostro piccolo universo di campagna era molto diverso da ciò che erano abituati a vedere.

A fine giornata mi sentivo quasi ubriaca, per quel via vai. La casa era piena di cavi, luci, riflettori, gente che andava e veniva. Rischiai più volte di inciampare e farmi male. Anche Aria era stordita e turbata da quell'invasione.
«Domani registreremo le interviste, a lei, Aria, e la signora Dalla. Ne abbiamo anche altre da fare, ad alcuni compaesani e colleghi di lavoro, ma lei non sarà coinvolta» mi spiegò il signor Choe. «Stasera le va di venire a cena con la troupe?»
«Per prima cosa smettiamo di parlarci con tutti questi onorifici. Usiamo un linguaggio più informale. Ormai ci conosciamo da mesi, signor Choe. Mi chiami Chiara. Forse, in questo caso, potrei valutare di venire a cena.»
«Va bene, Chiara. D'ora in poi ti parlerò in modo più informale. Va bene? Quindi, verrai a cena con noi? Non andremo lontano. Mangeremo al San Giacomo, dove ha lavorato Hoseok.»
«Beh, devo percorrere neanche cento metri. Direi che non posso rifiutare!» Ero stremata, ma, quel volto dall'incarnato dorato e gli occhi a mandorla, mi faceva sentire meno sola.

7 in più sotto il tettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora