7. Primi passi

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Dopo alcuni minuti, che a Michelangelo sembrarono ore, Ginevra si fermò e sorrise. Non guardò Zeno, guardò soltanto Michelangelo.

"Balli davvero bene" la elogiò lui ricambiando il sorriso. Avrebbe voluto dire un milione di altre cose, ma la sua mente sembrava diventata all'improvviso incapace di comporre frasi articolate.

"Grazie. A te è piaciuto, Zeno?" chiese lei, spostando la sua attenzione sul moro.

"Sì, sei stata molto brava, Ginny".

Poi si alzò e le diede un bacio sulla guancia, ma Ginevra parve non accorgersene nemmeno. Il suo sguardo non riusciva a staccarsi da quello di Michelangelo e quando il ragazzo se ne rese conto sentì il suo battito accelerare.

Gli occhi della ragazza erano grigi, come il mare in tempesta, e in quel momento non erano nascosti da un paio di occhiali, perché lei li aveva posati per terra prima di iniziare a ballare.

"Vieni, ti insegno" esclamò di punto in bianco la corvina porgendo una mano a Michelangelo, per aiutarlo ad alzarsi in piedi. Zeno intanto la fissava confuso.

Michelangelo accettò la sua mano, che si rivelò essere piuttosto calda, e nel giro di pochi secondi si ritrovò faccia a faccia con Ginevra. 

Non erano distanti neanche un paio di spanne e il ragazzo era in grado di sentire il respiro affannoso di lei. Di sicuro era ancora provata dalla fatica per aver danzato fino a un attimo prima. La sua fronte brillava di sudore, il suo sguardo era acceso e luminoso e le sue guance leggermente tinte di rosso.

Michelangelo sentì un brivido lungo la schiena quando Ginevra gli prese anche l'altra mano.

In quel momento tutto scomparve. C'erano solo loro, ancora praticamente due sconosciuti, che si guardavano negli occhi.

La città e la scuola appartenevano a un'altra realtà. Perfino Zeno apparteneva a un'altra realtà.

Dopo qualche istante la ragazza abbassò lo sguardo e Michelangelo la imitò. Notò che teneva i piedi allargati, ma con i talloni che si toccavano.

"Questa è la prima posizione. Dai, prova anche tu" lo esortò con un sorriso.

Dopo aver lanciato una breve occhiata a Zeno, che li stava osservando da non molto lontano, Michelangelo mise i piedi nella stessa posizione in cui li aveva messi Ginevra.

"Ottimo. Ora fai così" continuò la ragazza, lasciando le mani del castano per aprire le braccia e tenerle perpendicolarmente al resto del corpo. "Questa è la seconda posizione delle braccia".

Michelangelo cercò di eseguire alla perfezione anche quell'esercizio, perché voleva disperatamente sentire Ginevra complimentarsi con lui.

Non sapeva esattamente quale fosse il motivo dietro a quel suo desiderio di essere all'altezza delle aspettative della ragazza. Semplicemente voleva renderla felice e in quel momento il modo migliore di farlo era obbedirle.

Sembrava infatti che la ragazza ci tenesse davvero tanto a insegnargli le basi della danza classica.

"No, non è proprio così" disse però Ginevra, procurando a Michelangelo un certo dispiacere.

Ridacchiando sistemò la posizione delle braccia e delle mani del ragazzo. Fece degli aggiustamenti minimi, tanto che Michelangelo si chiese se fossero davvero necessari o se quella che aveva davanti fosse un'instancabile perfezionista, proprio come lui.

"Ora prova a piegare le ginocchia e a scendere, mantenendo il busto bello dritto. Guarda come faccio io" disse Ginevra mostrandogli il movimento corretto.

Sembrava semplice e Michelangelo credette di poterlo eseguire anche lui senza molte difficoltà, ma si sbagliava. Ci provò più volte, ma la ragazza non era mai soddisfatta.

Il castano fu sul punto di dirle che non poteva pretendere così tanto da lui, quando Ginevra lo sorprese facendo una cosa che gli fece sciogliere il cuore e dimenticare quel breve momento di fastidio. Gli prese una mano e con un gran sorriso gli sussurrò: "Okay, per oggi può bastare. Sei stato molto bravo, Michelangelo".

Il cuore gli danzò in petto a sentire Ginevra pronunciare il suo nome. Quindi non se l'era dimenticato...

"Sì, direi anch'io che per oggi può bastare, Michelangelo" la scimmiottò Zeno sbuffando. Michelangelo lo osservò e non poté non notare la sua espressione infastidita o quasi... sofferente?

"Senti, Zeno, a te ho provato a insegnare queste cose almeno un miliardo di volte e tu non hai mai mostrato il minimo interesse" gli urlò contro Ginevra. "Michelangelo, invece, ha ascoltato attentamente tutti i miei consigli e ha eseguito gli esercizi quasi perfettamente, direi".

Michelangelo non poté non sentirsi lusingato. Zeno, invece, sembrava sul punto di esplodere di rabbia. 

"Non importa a nessuno della danza classica, Ginevra! Né a me, né a Michelangelo. È solo troppo gentile per dirtelo".

Ginevra corrugò la fronte, imbronciata, ma si vedeva da lontano un miglio che quelle parole l'avevano ferita. Interrogò Michelangelo con lo sguardo, come per chiedergli se il moro stesse dicendo la verità.

Il ragazzo aprì la bocca, sul punto di difendersi e rassicurare Ginevra. Voleva farle capire che a lui quella breve lezione, e in generale quel momento sul tetto del manicomio abbandonato, erano piaciuti tantissimo.

Non riuscì però a dire niente, perché Zeno si alzò in piedi e si allontanò.

"Zeno, aspetta!" urlò la ragazza, precipitandosi poi dietro all'amico. Entrambi scesero di corsa le scale di servizio e scomparvero dalla vista.

Dopo alcuni secondi passati a osservare il disco dorato del sole che tramontava, Michelangelo li seguì.

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Percorsero insieme un pezzo del tragitto di ritorno. Una volta arrivati in centro città, invece, le loro strade si divisero.

Michelangelo aveva i piedi doloranti per via della lunga passeggiata, ma nonostante ciò non prese l'autobus per tornare a casa.

Voleva camminare perché così avrebbe avuto più tempo per pensare a cosa era successo quel pomeriggio.

Aveva ancora la mente e il cuore in subbuglio e soltanto per colpa di quella ragazza dai lunghi capelli neri e dalla salopette di jeans.

Il modo in cui gli aveva sorriso, lo aveva preso per mano e gli aveva insegnato le basi della danza classica era stato incredibilmente prezioso per lui. Per non parlare poi del modo in cui aveva ballato lei.

Michelangelo non sapeva quando l'avrebbe rivista e a dir la verità non sapeva neanche se gli convenisse rivederla. Aveva paura, ma era anche terribilmente affascinato da lei.

Non riusciva a non pensare alla sua aura di mistero e alla sua figura che danzava al tramonto, sulle note di un malinconico pezzo di musica classica.

Quel pomeriggio in sua compagnia, sul tetto del manicomio abbandonato, era stato magico. Era stato così diverso dalla sua quotidianità che gli era parso come vivere in un sogno.

Michelangelo non sapeva ancora quasi nulla di Ginevra, ma di una cosa era certo: quella ragazza e la sua danza lo avevano stregato.

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