30. Parole pericolose

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La domenica passò in fretta. Di mattina Michelangelo andò ad assistere alla partita di basket di Federico e chiacchierò sugli spalti insieme a Tommaso. Esultarono a ogni canestro del loro migliore amico e si sentirono assai fieri di lui quando la sua squadra riuscì a portare a casa la vittoria.

A fine partita Federico andò a pranzare con i suoi compagni di squadra, mentre Michelangelo e Tommaso tornarono ognuno a casa propria.

Avevano voglia di passare più tempo insieme, ma lo studio non lo permetteva. Avevano una verifica di matematica il giorno seguente e anche se Michelangelo in quella materia eccelleva e non necessitava di molto tempo per esercitarsi, al contrario il suo migliore amico aveva assai bisogno di passare il pomeriggio sui libri.

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Di lunedì, dopo aver trascorso la mattinata a scuola e aver svolto la semplice prova di matematica, Michelangelo uscì dall'edificio con l'ansia che gli aggrovigliava lo stomaco.

Quella mattina aveva ricevuto un messaggio da parte di Zeno, in cui il ragazzo gli chiedeva se potevano vedersi dopo scuola. Suo malgrado aveva accettato.

Controllò l'ora sul cellulare e, salutati i suoi migliori amici, si diresse verso la fontana che si trovava al centro della piazza antistante al loro liceo.

Era lì che avrebbe incontrato Zeno.

Il ragazzo si guardò attorno, mordendosi distrattamente il labbro inferiore, e controllò più volte l'ora. Zeno era in ritardo, proprio come Ginevra il sabato prima, quando dovevano prendere l'autobus.

Quei due erano più simili di quanto Michelangelo riuscisse ad ammettere.

Dopo minuti che parvero ore, una chioma riccioluta fece finalmente la sua presenza.

"Ehi, Zeno" lo salutò Michelangelo.

"Ehi, Martini!" ricambiò il saluto il moro, sorridendo in modo sghembo e porgendogli una mano. Michelangelo la strinse con poco entusiasmo.

Era assurdo quanto la parvenza di simpatia che aveva provato nei suoi confronti quando lo aveva rivisto dopo anni, il giorno in cui si erano incontrati in pizzeria e Michelangelo aveva conosciuto Ginevra, fosse del tutto scomparsa. Al suo posto si erano insinuati nel cuore del castano un fastidio e una repulsione dettate unicamente dalla gelosia.

"Ho preso sei e mezzo in una prova di matematica" annunciò il moro, felice.

Per un attimo Michelangelo si sentì fiero di se stesso per l'aiuto che gli aveva offerto quella volta in biblioteca.

"Se non fosse stato per me..." lo sbeffeggiò, incrociando le braccia al petto e godendosi quel momento di gloria.

"Smettila" disse Zeno, dandogli un colpetto sul braccio, ma non riuscendo a trattenere una risata.

L'unica cosa da augurarsi, secondo Michelangelo, era che non gli venisse la strana idea di chiedergli ulteriori aiuti in quella materia.

Senza dire altro i due ragazzi si avviarono verso una delle panchine situate su un lato della grande piazza alberata. Lì posarono gli zaini.
Poi però rimasero in piedi a fronteggiarsi, a circa un metro di distanza l'uno dall'altro.

"Allora, come sta andando con Ginevra?".

Michelangelo per poco non si soffocò con l'acqua che stava bevendo dalla sua borraccia.

"Che cosa ti ha raccontato lei?" farfugliò, dopo aver tossito a lungo.

"Tutto, ovviamente" disse l'altro ridendo. "Siamo migliori amici, è logico che ci raccontiamo le cose che ci accadono".

Quelle parole turbarono Michelangelo, che inconsciamente pensò a Tommaso e Federico e a quanto li sentisse lontani da sé ultimamente, per colpa di ciò che aveva deciso di nascondere loro.

"Mi raccomando, trattala bene" aggiunse il moro, fulminandolo con lo sguardo, ma apparendo anche divertito.

"Certo" borbottò Michelangelo, alzando gli occhi al cielo per l'ovvietà della questione.

"Ginevra è una tipa particolare e, scusa se te lo dico, ma è probabile che si stufi di te in poco tempo" fece Zeno con noncuranza.

A quelle parole Michelangelo strinse i pugni e si conficcò le unghie nei palmi. Doveva controllare la rabbia che provava in quel momento e l'unico modo efficace per farlo era soffrire un minimo di dolore fisico.

"Con me è restata a lungo e sono stato bravo a non aver lasciato che si allontanasse da me, anche dopo che la nostra relazione era finita".

"Lei voleva allontanarsi?".

Zeno sorrise, ma era un sorriso spento. "No, non voleva. Lei mi adora".

Michelangelo sbuffò.

"Che c'è?" chiese Zeno, per la prima volta, forse, veramente contrariato.

"Magari ti adora anche, ma adesso sono io quello che avrà la priorità. Quindi vedi di restare un po' alla larga".

Non sapeva neanche lui da dove gli fosse venuto il coraggio di dire quelle parole. Forse era stato semplicemente il pensiero di vedere Ginevra tra le braccia di quel ragazzo a spingerlo a non avere peli sulla lingua.

Dal canto suo, Zeno rimase per qualche istante senza parole. Poi però sorrise e si avvicinò a Michelangelo.

Era alto qualche centimetro in più di lui e approfittò della leggera differenza di statura per guardarlo dall'alto in basso.

"Tu non sai com'è fatta Ginevra. La conosci da poco tempo, anzi, da  pochissimo tempo. Ginevra è un mistero, è un'incognita. Lei è un'anima libera, artistica, contraddittoria. Io la conosco da quando eravamo piccoli e sono forse la persona che la comprende meglio, quindi non pensare che resterò alla larga e che permetterò che un bambinetto come te riesca a sottrarla alle mie cure e al mio affetto".

Michelangelo avrebbe avuto voglia di tirargli un cazzotto in pieno volto.

Vedeva la calma nei suoi occhi e sentiva il fuoco nei propri e gli dava fastidio questa differenza. Tuttavia doveva mantenere un certo contegno, perché non poteva permettere che quel ragazzo l'avesse vinta.

Anche se non ci credeva minimamente, Michelangelo continuò a ripetersi in testa, come un mantra, che lui era più forte di Zeno, e anche più intelligente.

"Sai che ti dico?" sputò fuori, dopo alcuni istanti passati a lacerarsi le membra a vicenda con la sola forza dello sguardo. "Forse è vero che non conosco ancora Ginevra, ma lei si fida di me e con il tempo mi racconterà tutto. In ogni caso, non ti lascerò giudicare la nostra relazione".

Voleva dire altro, ma non era bravo con le parole. Inoltre la rabbia e la gelosia che gli stavano bruciando le viscere non gli permettevano di pensare lucidamente.

"Fa' come vuoi, Martini. Non so neanche perché sono qui a perdere tempo con te. Ti auguro una buona giornata" concluse Zeno, afferrando lo zaino e facendo per andarsene.

Sembrò ripensarci, però, perché dopo qualche istante di esitazione aggiunse: "Ma ricorda che tu Ginevra non la conosci affatto".

Detto ciò se ne andò, senza neanche lasciare a Michelangelo la possibilità di ribattere.

Anche il castano afferrò il suo zaino, se lo mise in spalla con un fluido movimento del corpo e si incamminò dalla parte opposta, diretto verso casa.

La cosa che lo turbava di più, nonostante il trattamento che il moro gli aveva riservato, erano le sue parole riguardo a Ginevra.

Lui stesso sapeva che c'erano tante cose della ragazza che gli erano ancora ignote. Tuttavia, da come Zeno si era espresso, sembrava che non fossero cose da poco e che avrebbero potuto perfino cambiare il modo in cui il castano la vedeva.

Era come se la ragazza avesse dei segreti che soltanto il suo migliore amico conosceva. Michelangelo moriva dalla voglia di esserne anche lui a conoscenza, eppure in quel momento una strana sensazione si fece strada in lui.

Il giovane impiegò un'oretta per riconoscerla, ma infine capì di che cosa si trattava.

Michelangelo aveva paura di conoscere quella parte nascosta di Ginevra.

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