13. Spie

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"Quindi i tuoi l'hanno scoperto... Ma com'è potuto accadere?" domandò Tommaso a bocca aperta, non riuscendo a capacitarsi dell'acutezza dei genitori del suo migliore amico.

"Non ne ho idea" rispose Michelangelo. 

Poi si passò una mano tra i capelli e si guardò attorno, fissando a uno a uno i suoi compagni di classe. Doveva ancora suonare la campanella della prima ora, ma in aula si trovavano già come minimo dieci persone.

All'improvviso il suo sguardo incrociò quello di Patrick, un ragazzo dai capelli biondo cenere con cui Michelangelo aveva combattuto fin dall'inizio del liceo una lunga guerra di voti.

Erano entrambi assai studiosi e per questo si rubavano a vicenda il titolo di migliore della classe dopo ogni verifica o interrogazione.

Michelangelo ormai si era stancato di quell'infantile competizione, ma non Patrick, anzi, quell'anno il biondo sembrava più inferocito che mai.

Michelangelo gli lanciò un'occhiata penetrante, mentre Patrick gliela restituì accompagnandola a un ghigno divertito.

"Ma che...? Ancora con Patrick? Non la vuoi smettere di comportarti come un bambino?" esclamò Federico allibito.

"Non capisci, Fede. Quello lì ha in mente solo i voti ed è dalla prima che vuole distruggermi" cercò di spiegare Michelangelo.

I suoi migliori amici lo fissarono annoiati. 

"Credi che non lo sappiamo? Siete uno peggio dell'altro! Questa competitività non vi fa bene, anzi, un giorno vi farà andare fuori di testa" disse Federico abbassando la voce. "Hai diciotto anni, Michi, e hai studiato più di me e Tommi messi assieme, ma non hai ancora capito il senso della scuola. Sei rimasto uguale a com'eri in prima: un bambino".

Michelangelo sospirò. Non era la prima volta che i suoi migliori amici lo rimproveravano per via della competitività tra lui e Patrick, ma quel giorno Federico aveva usato parole più severe del solito.

"Se mi lasci finire, Fede, forse posso arrivare al punto. Patrick è l'unico che vuole mettermi i bastoni tra le ruote. È l'unico che potrebbe arrivare a telefonare ai miei genitori e dire loro che ho marinato, solo per il gusto di farmi un dispetto".

"Avanti, come poteva saperlo?" sbottò Tommaso esasperato.

In quel momento la campanella suonò, ma nessuno dei tre ragazzi si mosse.

"L'altrioieri, mentre eravamo qui in classe, abbiamo parlato della nostra intenzione di marinare, vi ricordate? Ti ricordi, Tommi, che ti ho detto di abbassare la voce?".

Il rosso annuì, sospirando pesantemente.

"Beh, secondo me Patrick ci ha sentiti, anche perché non eravamo molto lontani da lui. Deve aver trovato sull'elenco telefonico, o chissà dove, il numero dei miei genitori e aver deciso di fare loro uno squillo" spiegò Michelangelo.

Il suo cuore batteva velocemente e i suoi occhi brillavano. Era fiero di se stesso per essere riuscito a trovare la soluzione dell'enigma ed era convinto di ciò che diceva. Non poteva che essere andata così.

"Non so te, Fede, ma questa spiegazione non mi convince" commentò Tommaso mettendosi a sedere, dato che l'insegnante della prima ora era appena entrata in classe.

"Non convince nemmeno me" ammise Federico imitandolo. 

La lezione incominciò, ma Michelangelo non riuscì a concentrarsi del tutto. Era arrabbiato con i suoi migliori amici perché non gli credevano e con Patrick perché aveva osato giocargli un brutto tiro.

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A Michelangelo quel giorno sembrò durare un'eternità, forse perché non fu per niente piacevole. Il ragazzo aveva l'umore a terra e non riusciva a trovare dei motivi per rallegrarsi.

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